Le Nozze di Cana/2

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Nel precedente articolo (LEGGI QUI) abbiamo analizzato alcune delle cause che secondo noi hanno portato a un graduale innalzamento del tenore alcolico dei vini e, in molti casi, anche ad un maggiore apprezzamento degli stessi vini da parte del consumatore.  Ma l’eccessivo contenuto alcolico porta con sé alcune conseguenze che la Comunità Europea ha stigmatizzato. Vediamo dunque alcuni interventi possibili che potrebbero far tornare su gradazioni più consone i vini odierni.

La Vigna – I portinnesti

Nella pratica il numero e le varietà di portinnesti utilizzati nella costituzione di nuovi impianti si è evoluto nel tempo; abbiamo ancora però molti portinnesti a bassa vigoria o importati da zone climatiche diverse,  che in passato sono stati usati per favorire la concentrazione delle uve e aumentare il numero di ceppi per ettaro.

Dai dati del CREA di Conegliano possiamo risalire a questa evoluzione, che ha sicuramente influito sul comportamento delle vigne odierne dato che molti dei nostri vigneti sono stati impiantati nel decennio 1990-2000, dove in molte zone si è avuta una vera innovazione nelle tecniche e nelle filosofie di impianto.

Sulla falsariga della viticoltura francese, in molte zone si optò per un aumento delle densità per ettaro e per una riduzione della vigoria della pianta, al fine di poter realizzare quegli impianti fitti e bassi tipici delle aree del bordolese. Per un certo periodo si diffusero così i portinnesti francesi (e non) tipo il 3309 C , il 101-14, 41 B, ecc. Purtroppo molti di essi riducevano la vigoria attraverso la riduzione dello spazio esplorato dalle radici, o per un angolo geotropico molto ampio che induceva le radici a restare in superficie e accresceva la competizione tra i ceppi.

Si è dunque predisposto il vigneto ad essere particolarmente suscettibile alla siccità, visto il poco spazio esplorato dalle radici e la loro tendenza a non approfondirsi nel terreno, condizione ideale per il territorio bordolese, dove la falda in molti casi si trova a pochi metri dalla superficie, ma non certo per i terreni sciolti e semiaridi di molte aree viticole italiane.

Appassimento per ondata di calore 2021

Negli ultimi anni questi concetti sono stati rivisti e si è ripresa la diffusione, in verità al sud mai interrotta, dei portinnesti più resistenti, quali il gruppo dei Paulsen ( che prendono il nome del professor Paulsen, direttore del Vivaio Governativo di Palermo) e i Richter. Questi portinnesti erano stati abbandonati a causa della elevata vigoria indotta, e anche (in particolare i Paulsen) per la tendenza a ritardare la maturazione. Questo entrava in contrasto, come abbiamo già visto, con la tendenza diffusa in un passato non troppo remoto di aumentare i sesti di impianto per indurre una minore produzione per ceppo e una minore vigoria delle piante, così da anticipare anche la maturazione delle uve.

Questa ridotta vigoria, oltre ad anticipare la raccolta e a ridurre la produzione, riduceva anche l’apparato fogliare, unico schermo naturale alle ondate di calore che anche quest’anno hanno colpito la viticoltura. Un ombreggiamento ragionato nel periodo estivo, indotto da una vigoria più marcata del portinnesto e della forma di allevamento, può essere una prima risposta alle ustioni solari dovute alle alte temperature estive e al forte irraggiamento diretto, che sopra una soglia fisiologica diventa causa di appassimento delle uve.

La vigna – gestione della chioma

Come accennato in precedenza, alla luce dell’evoluzione del clima e delle esigenze di contenimento dei tenori alcolici nei vini, va ripensato anche il sistema vigneto. Uno dei fattori che si è più studiato negli anni è l’efficienza fotosintetica dell’apparato fogliare e le sue interazioni con il  frutto. In particolare è stato evidenziato un rapporto diretto tra superficie fogliare esposta e qualità delle uve.

Un equilibrato rapporto tra superficie fotosintetica e peso della produzione per ceppo guida le scelte progettuali di molti vigneti moderni. Come dicevamo nell’articolo precedente, questo processo va nella direzione di produzione di vini con alto tenore in estratti e polifenoli (per i rossi) e molte volte anche con un correlato alto tasso alcolico.

É certo che un alto contenuto alcolico apporta,  almeno nella prima fase della degustazione, una sensazione dolce che può essere amplificata da pH elevati di uve completamente mature, e quindi può soddisfare un tipo di consumatore che predilige questa tipologia. Ma è anche fonte di una minore bevibilità e contrasta con un uso moderato dell’alcool.

Studi abbastanza recenti ci portano a porre un limite a questi risultati quasi ineluttabili, attraverso una gestione diversa della chioma che può consentire di abbassare il contenuto alcolico senza penalizzare troppo il contenuto polifenolico delle uve.  Il professor Paliotti e altri hanno evidenziato come una defogliazione drastica (del 35 %) delle foglie in fase di post invaiatura possa ritardare anche di due settimane la raccolta, contenendo al tempo stesso il grado alcolico senza compromettere il contenuto polifenolico delle uve e il livello acidico delle stesse. La tecnica interviene sull’equilibrio superficie fogliare/produzione, riducendo drasticamente la prima che, in questa fase, va soprattutto a discapito dell’accumulo di zuccheri.

La vigna – Il terreno

La sostanza organica nei terreni agrari sta diminuendo drasticamente da decenni. In circa 50 anni, nei primi 50 centimetri di terreno, ne abbiamo perso il 2-3%, che equivale in peso a circa 3300 kg. Come vediamo dalla mappa tratta da «The Soils of Italy», Fantappiè et al. (2010), le perdite purtroppo sono generalizzate e corrispondono molte volte ai terreni vitati.

Tra le conseguenze della perdita di sostanza organica nei terreni vi è anche quella della ridotta capacità idrica dei suoli e dell’aumento dei fenomeni erosivi superficiali, che intensificano gli effetti delle estati aride e delle ondate di calore. In una ottica di medio termine, recuperare sostanza organica nei suoli porta con sè una maggiore fertilità dei suoli stessi e una capacità di migliore risposta delle piante agli stress abiotici.

La cantina

Se con le tecniche descritte sopra, naturalmente non esaustive di tutte le possibilità, si può già contenere il grado zuccherino alla raccolta delle uve, anche in cantina si possono adottare soluzioni che possono contenere il grado alcolico, primo fra tutti l’utilizzo di lieviti che siano meno efficienti nella trasformazione degli zuccheri in alcool. Prima di addentrarci in una breve descrizione che potrete approfondire qui, è necessaria una premessa: il lievito che fermenta gli zuccheri e produce meno alcool produrrà in alternativa altri composti, a volte graditi, altre volte meno, che comunque andranno a modificare il profilo sensoriale del vino fermentato con questi ceppi o specie diverse dal Saccharomyces cerevisae.

Hanseniaspora uvarum

Ultimamente si sono affacciati sul mercato enologico alcuni ceppi di lieviti Saccaromyces cerevisiae ibridi, capaci di ridurre il tasso di produzione finale di alcool di 1,3 gradi %. Ma la strada per la riduzione in cantina del tasso alcolometrico passa anche da altre specie di lieviti, quali Hanseniaspora uvarum o Candida zemplinina, che pare sia promettente come applicazione in inoculo sequenziale con Saccharomyces cerevisiae.

In quasi tutti i casi però, i nuovi lieviti studiati raramente riescono a concludere la fermentazione alcolica e debbono essere quindi supportati da una presenza di un inoculo sequenziale di Saccharomyces cerevisiae; infatti la tolleranza all’alcool di queste specie è spesso inferiore a quella dei lieviti che guidano normalmente la fermentazione alcolica.

D’altra parte è cosa ormai nota, messa in evidenza dai primi studi sulla fermentazione alcolica, che le fermentazioni spontanee sono in realtà il prodotto della presenza, a volte collaborativa altre volte competitiva, di specie diverse di lieviti e batteri che vivono e si riproducono nel mosto. Lo sfruttamento di queste conoscenze è alla base dei nuovi studi sulla riduzione del grado alcolico nei vini, ma anche della bioprotezione dei mosti.

Il Consumatore

La forte pressione legislativa sull’abuso di alcol, specialmente per quando si è alla guida dei veicoli, sta dando i suoi frutti: la sensibilità del consumatore verso vini molto alcolici sta cambiando, in special modo nei confronti di quei vini di fascia media che sono anche i più venduti in termini di volumi di acquisto. Questo stimola il produttore a intervenire sulle tecniche produttive ma anche a cercare di non modificare il profilo sensoriale del vino commercializzato; un tentativo non sempre semplice, visto come la riduzione del tenore zuccherino delle uve e la conseguente minore produzione di alcol non sia immune da modificazioni organolettiche, anche importanti, nei vini.

D’altro canto il consumatore sta apprezzando sempre di più i vini “naturali”, dove l’assenza di lieviti selezionati e la gestione più “artigianale” delle fermentazioni produce sovente vini meno alcolici, anche se a volte non proprio impeccabili dal punto di vista della grammatica enologica. Comunicare quindi questo cambiamento di stile è il primo passo per avvicinare l’esigenza di vini meno alcolici a un nuovo paradigma del gusto, che il consumatore esperto e il wine lover è sempre più propenso a sperimentare.

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Lamberto Tosi

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