Antichi vigneti Manca. Essenza di Mediterraneo

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Devo all’ascolto del bellissimo podcast Vino al Vino di Antonio Boco e Paolo De Cristofaro, la dritta per arrivare alla piccola azienda Antichi Vigneti Manca: siamo a Sorso, zona vocatissima del nord Sardegna di fronte al Golfo dell’Asinara, su dolci colline orientate verso il mare. Qui lavorano le vigne di famiglia le sorelle Alessia e Noemi Manca insieme a Giampaolo Ledda, marito di Alessia. Sei ettari di vecchie vigne ad alberello, 6-7000 bottiglie prodotte all’anno, rese che si attestano sui 20-30 quintali di uva a ettaro. La valle dove sono piantate le vigne, nello specifico, si chiama Badde Pira (valle dei peri), mentre le altitudini stanno attorno ai 100-150 metri.

Per inquadrare questa piccola azienda va subito detto che si trova nella Romangia (regione storica del nord Sardegna che corrisponde pressappoco con gli attuali comuni di Sorso e Sennori), zona storicamente vocata alla produzione vinicola, benedetta dalla tipologia dei suoli (marne, calcare, gesso, con presenza di limo) e dall’esposizione delle valli, che digradano verso nord e affacciano tutte verso il Golfo dell’Asinara, ricevendone ventilazione, salsedine, alternanza termica e alle volte tremendi venti di scirocco.

Qua la viticoltura è la coltura principale insieme alla frutticoltura, agli olivi e agli orti, che occupano le parti più pianeggianti e irrigue. È una terra vocatissima (con una superficie vitata non indifferente), ma storicamente poco dinamica: le uve da sempre vengono vendute per fortificare vini prodotti in altre zone, e qui storicamente si produce il Moscato di Sorso, vino dolce che da anni sconta una carenza di domanda ormai cronica. Poche le aziende vinicole che si segnalano per dinamismo: nelle vicinanze Nuraghe Crabioni, realtà più grande che lavora su volumi diversi, e più a monte, a Badde Nigolosu, le vigne di Alessandro Dettori, che ha avuto il merito di accendere i riflettori della critica enologica sulle potenzialità di queste terre e di queste vigne a alberello.

Alessia, Noemi e Gianpaolo hanno voluto dare ai loro vini un carattere fortemente ancorato alla tradizione, con il massimo rispetto per le uve e per il territorio, valorizzando i cloni storici presenti in vigna: il retagliadu nieddu, clone locale di cannonau (“ritagliato nero”, nome che deriva dal fatto che le piante fanno numerosi e piccoli grappoli che costringono in vendemmia a tanti tagli per la raccolta), vermentino (clone locale ad acino grosso) e girò bianco (vitigno sardo assai in disuso, dalla buccia molto spessa). La tecnologia entra in campo, ma soprattutto in fase di monitoraggio delle maturazioni e degli eventuali stress idrici nelle parcelle di vigneto, mentre le fermentazioni vengono svolte con lieviti indigeni e lunghe macerazioni.

«Abbiamo cercato di imparare da mio padre e dai nonni – racconta Alessia – ovviamente abbiamo un’ottica nuova, dobbiamo aprirci verso l’esterno, ma l’imprinting è quello che abbiamo preso in famiglia. Le nostre vigne producono pochissimo ma sono un’eredità dal patrimonio genetico incredibile. A proposito della resa: pensa che per riempire una cassetta d’uva, dobbiamo vendemmiare dieci piante».

Essendo vini artigianali, o “non convenzionali” come preferisce chiamarli Gianpaolo («Non mi piace il termine vini naturali, mi sentirei ingabbiato in una definizione che non sento mia»), il rispecchiamento dell’annata è un elemento centrale per i loro vini, e l’approccio in degustazione è spiccatamente verticale. Ecco quindi le tre annate finora prodotte dei due vini aziendali, Li Sureddi bianco e Li Sureddi rosso (li sureddi significa “le sorelle”, riferito a Alessia e Noemi)

I bianchi

Li Sureddi bianco 2019 (Romangia IGT) (15%)
Vendemmia in più tempi, con una prima raccolta precoce, per avere più acidità, seguita da vendemmie parcellari a seconda dei livelli di maturazione. Fermentazione spontanea in cemento, con macerazione delle bucce di 48 ore, affinamento sulle fecce fini in acciaio con batonnage. Colore dorato leggermente velato, si apre su un naso di ostrica e fiori gialli, arancia candita e sorprendenti note di resina di pino e incenso. In bocca è rotondo, dal corpo pieno e grande sapidità che bilancia la ricca dotazione alcolica. Con l’ossigenazione il quadro olfattivo si arricchisce di erbe aromatiche, assenzio, santoreggia.

Li Sureddi bianco 2018 (Romangia IGT) (15,5%)
Sempre 48 ore di macerazione sulle bucce, fermentazione in cemento poi affinamento in acciaio, colore dorato più carico del ’19, l’annata è stata piovosa e difficile. Alessia racconta che per questo 2018 durante la fermentazione in cemento la temperatura è salita molto fino a farli preoccupare per il buon andamento del processo; la parte finale della fermentazione in acciaio è invece stata fatta a temperature controllate. Naso assolutamente affascinante di tabacco semiappassito, sentori balsamici molto caratterizzati di incenso, pinolo pestato (quindi resine e burro), vino morbido e balsamico allo stesso tempo. In bocca è personale e connotato da pino mediterraneo, cremosità, calore e succo allo stesso tempo; bevibile e ampio, è un vino splendido.

Li Sureddi bianco 2017 (Romangia IGT) (alc. 15%)
Annata caldissima, macerazione di 2 mesi sulle bucce a vasca aperta. Colore aranciato velato, ha un impatto al naso più tenue rispetto al 2018: alterna note calde (scorza di arancio candito, albicocca appassita) e inaspettati slanci di freschezza (susina gialla fresca), una nota marina affilata che richiama certe assonanze con in vini del Carso. Colpisce la tempra affilata in un corpo classicamente da annata calda. In bocca è sontuoso, amplissimo e salato. Arioso, sorprendentemente verticale.

I rossi

Li Sureddi rosso 2019 (15,5%)
Rubino brillante dall’unghia violacea, ha un impatto olfattivo tipicamente mediterraneo giocato tra frutta (ciliegia matura) e erbe aromatiche (timo essiccato, fieno). In bocca è sapido e speziato, con un tannino di buona finezza a corroborare la beva e tenere a bada la poderosa spinta alcolica.

Li Sureddi rosso 2018 (16,5%)
Rubino intenso trasparente ai bordi, naso fruttato, in bocca si evidenzia una giovanile nota di frutta, piacevole e molto morbida, ingentilita da una trama tannica molto fine. A dispetto del grado alcolico, non ricorda un cannonau tutto potenza, anzi, ha nella finezza – non seriosa – la sua dote principale. Già godibilissimo adesso, sarà interessante riassaggiarlo tra qualche anno per osservarne l’evoluzione terziaria. Un “finto semplice” da tenere d’occhio.

Li Sureddi rosso 2017 (15%)
Vendemmia difficile a causa della siccità, che ha costretto a un lavoro certosino per tagliare via tutti i grappoli con segni di appassimento. In vinificazione gli acini sono stati separati da raspo e non schiacciati. Colore scarico, quasi nebbiolesco, naso di ciliegia fresca, spezie, richiami marini. In bocca ha un tannino setoso, grande allungo, incredibile morbidezza ma senza alcun segno di affaticamento per l’annata calda. «Pensa che molti ci dicono che alla cieca ricorda molto i vini del Rodano…» confida Gianpaolo.
«È stata la nostra prima annata imbottigliata. Mi ricordo ancora quanto abbiamo penato con quella stagione torrida, quanto lavoro abbiamo fatto in vigna per tagliare via i grappoli appassiti...» racconta Alessia, ripensando alle trepidazioni del 2017.
«Fare un vino non convenzionale – aggiunge Gianpaolo – non ti fa dormire la notte. Non hai una ricetta da seguire. Sei tu che di volta in volta devi scegliere tempi, modi, strade… E non è facile»

Alessia sintetizza alla sua maniera: «Io faccio sempre questo paragone: fare un vino è come fare un quadro. Per me è questo il bello del nostro lavoro».

Fuori lista…
E tra una parola e l’altra spunta una bottiglia di moscato, ancora non etichettato. Si tratta del Moscato di Sorso dell’annata 2016 «Pensa, lo abbiamo vendemmiato che aveva 30 gradi Babo (una concentrazione zuccherina che teoricamente svolta in alcol darebbe valori attorno ai 20 gradi alcolici ndr), lasciandolo fermentare fino a quando solo rimasti 5 grammi/litro di zucchero residuo».

È monumentale nella sua ampiezza e dolcezza ma quel che affascina è che rispecchia appieno i caratteri del territorio dove nasce e fa emergere e note di sale, la balsamicità del pino, un accenno di caffè, qualche sbuffo sulfureo, sale, il tutto supportato da una buona acidità.
«Uaiua! Questa era la tipica espressione di stupore di mia nonna – racconta Alessia. Pensa che lei offriva sempre a tutti quelli che venivano in casa una tazza di moscato e un biscotto. Era il suo segno tangibile di accoglienza».

Ripenso a distanza di mesi al concetto di accoglienza, di come ci hanno aperto le porte di casa Alessia e Gianpaolo, con semplicità e sensibilità. Ripenso alla frase che fare il vino è come fare un quadro. In Romangia hai la certezza di non partire mai da un foglio bianco: parti con una tavolozza già imbevuta di mare, di resine di pino, di una finezza inusitata fornita da un terroir più conosciuto per la potenza. E invece il ponte ideale con il Rodano che questi vini dichiarano indica una strada tutta da percorrere, una potenzialità ancora da esplorare. Un’idea di classicismo contemporaneo. Basta avere la capacità d’ascoltare, di studiare, di incuriosirsi. E l’umiltà di assecondare le annate, stagione dopo stagione.

 


Antichi Vigneti Manca
Località Badde Pira
Strada Provinciale 29, Sorso (Sassari)
info@antichivignetimanca
www.antichivignetimanca.it
Le foto dei vigneti sono state gentilmente fornite da Antichi Vigneti Manca. Assaggi effettuati nel mese di agosto in azienda e in dicembre a Milano.

GALLERIA

 

 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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