La Cantina Montecorvino al Re-Wine. Fra verticali e sorprese

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Abbiamo lasciato Andrea Fiacco come enologo dell’azienda Il Quadrifoglio nel 2013, dove insieme ai fratelli De Gregorio aveva messo a punto una produzione che nel tempo era andata rappresentando un riferimento per l’enologia dell’agro pontino. La scomparsa di Francesco aveva spezzato un po’ questa magia e per Andrea era diventato difficile continuare quel percorso senza un cardine del suo cammino. Nello stesso tempo, l’amico Giuseppe Palombo, titolare dell’azienda agricola La Valle dell’Usignolo, nel territorio di Sermoneta (ma con appezzamenti di vigne compresi fra Doganella, Sermoneta e Bassiano), forniva ad Andrea un’occasione e uno stimolo per creare insieme una realtà vitivinicola che gli permettesse di esprimere la sua filosofia di vino.

Nasce così la Cantina Montecorvino, in cui Cristian Zoppellaro, titolare del ReWine di Latina, ma soprattutto esperto sommelier e importatore di Champagne, ha creduto fin dall’inizio, al punto di conservare, dalle prime annate, molte delle etichette prodotte da Andrea. Ne è nata una serata unica, in cui si sono susseguite diverse verticali, tra piatti di eccellenza, nuove etichette e progetti che un’etichetta ancora non ce l’hanno.

Trebbiano Metodo Classico

Questa bottiglia, appunto senza etichetta, proposta inaspettata da Andrea per avviare la serata con un effetto sorpresa, ha lasciato tutti con una piacevole sensazione. Un progetto in embrione, avviato con curiosità e prudenza, senza fretta, valutando l’opportunità di accumulare qualche annata per strutturare una cuvée più adatta a un Metodo Classico che già promette bene, accompagnando alla grande l’entrée di Cristian: un bignè farcito con burro della Loira aromatizzato alla salvia. Questa prima sboccatura risulta dunque bene eseguita, quasi didascalica, certamente in evoluzione, e stimola il palato con il giusto brio e una gustosa rotondità, fragranze fruttate sostenute da una corretta spinta acida e una persistenza sapida particolarmente gradevole. Stuzzicante.

Fiorile 2020

Etichetta nuova, prodotta con 70% di viognier e 30% di greco, variabili in assestamento per il futuro, che gioca col naso ravvivando gli occhi, mentre la cucina del ReWine propone una tartare di cefalo lusrino e gel al prezzemolo. Il vino presenta un colore intrigante, paglierino, ma con riflessi verdolini, un bouquet ampio e avvolgente, tendenzialmente floreale, ma con note fruttate fresche. In bocca si muove in equilibrio tra una spinta acida notevole e un complesso aromatico congruo, concretizzando una beva pingue e coinvolgente che termina con una bella scia iodata. Suggestivo.

Petrara 2020-2019-2018-2017

Ed eccoci allo Chardonnay, quello che aspettavo per ritrovare un po’ quello stile già apprezzato nella precedente esperienza di Andrea. Ma da questa verticale esce uno stile nuovo, figlio certamente della materia prima che, seppure provenga da zone limitrofe alle produzioni del passato, certamente si distingue per microclima, dettagli ampelografici e magari anche diversi particolari di vinificazione. Detto questo, ci addentriamo nel tragitto delle varie annate.

Si parte dall’ultima, un 2020 sicuramente fresco e bevibile, minerale e agrumato, in perfetta armonia con il risotto Pila Vecia mantecato con bisque di pannocchie che Cristian ci abbina. E’ nel confronto con le annate precedenti, in assenza di cibo, che perde un po’ di smalto, o forse il confronto, mostrando alcuni limiti (non difetti) di gioventù, peraltro tipici, ma ci accompagna splendidamente con il piatto,  in attesa di raccontare altre storie. Inesplorato.

L’annata 2019 mi ruba il cuore, o forse il palato, certamente le papille … mi piace, con i suoi ricchi profumi e il suo gusto profondo, acido, croccante, verticale, intimo. Lo annuso e lo sorseggio, poi lo metto da parte, voglio provarlo ancora dopo le altre due annate, non deluderà. Impeccabile.

Passando al 2018 mi aspetto una ulteriore evoluzione, che di fatto ritrovo, ma con meno enfasi di quello che immaginavo. Il naso è certamente piacevole, floreale, con note più appassite e una leggibilità meno spinta, ma sempre ottima. Al palato resta meno incisivo, ma solido, armonioso e fluido, con polpa e gusto. Maturo.

La 2017 ,forse per una lavorazione in cui mancava l’apporto di una vigna poi entrata in produzione, o forse per le caratteristiche climatiche di quell’annata, presenta qualche cedimento, soprattutto ai profumi, con un assaggio che lascia percepire ancora sfumature fruttate e un residuo minerale tipico del territorio. Mite.

Ceviano 2020-2019-2018

Giungiamo al Trebbiano e a quella che per me ha rappresentato la sorpresa maggiore, o meglio il merito maggiore che va ascritto ad Andrea, non tanto per accorgimenti di cantina particolari, ma per la visione e l’intuizione di pensare che il trebbiano, vitigno a me storicamente ostico, potesse esprimersi in modo così peculiare nel nostro territorio. Confesso una certa debolezza pregiudiziale nei confronti di un’uva che in alcuni interpreti (e penso non a caso a Valentini in Abruzzo) trova punte di eccellenza indiscutibili; però in generale mi aspetto sempre vini dalla personalità non proprio spiccata. Ecco invece lo schiaffo, enologicamente parlando, che ho ricevuto da queste tre bottiglie, premettendo che queste vigne in particolare, invece di collocarsi alle pendici dei Monti Lepini come il resto della produzione di proprietà, sono posizionate nella frazione di Borgo S. Maria, al livello e non distante dal mare, con l’aggiunta di un piccolo appezzamento del territorio di Aprilia, con meno sabbia, ma sempre di pianura.

Il Ceviano 2020 accompagna i plin cacio e pepe e sposa alla perfezione un piatto che è squisito di suo. Già nel calice si distingue per limpidezza e vivacità, ma al naso si apre in un composito variegato di aromi che ritroviamo in bocca, dove entra con calore e morbidezza, sostanza e profondità, lasciando presagire un potenziale esplosivo, almeno per me. Emozionante.

Passiamo alla 2019, dove rileviamo note evolutive percepibili ma non destabilizzanti, fedeli al timbro della precedente. E’ caratterizzato da profumi integri, una beva agile e un gusto pieno, più sottile ma sempre nitido, verticale e sapido. Disinvolto.

L’annata 2018 è ancora simile, non presenta cedimenti, ritroviamo una costanza gusto-olfattiva che conferma la bontà del progetto, ma soprattutto la piacevolezza di beva, che acquisisce un’impronta forse più aristocratica e meditativa. Riflessivo.

La Casetta 2016-2015

Se il Petrara era uno Chardonnay vinificato solo in acciaio, con La Cassetta approcciamo una versione di questo vitigno che affina per nove mesi in tonneau da 500 litri, per acquisire quella connotazione che Andrea concepisce come evolutiva per effetto della traspirazione attraverso il legno, e non come “condimento” al gusto di legno.

La versione 2016 è complessa, al naso conserva intatti aromi agrumati e floreali, che in bocca virano anche su note più esotiche, con una persistenza piacevolmente speziata e minerale. Vellutato.

La 2015 presenta tratti più stanchi, ci raccontano dell’utilizzo di un tipo di tappo diverso, forse troppo traspirante, ma non leggo cenni di ossidazione, piuttosto note di idrocarburo, con una beva più magra e lineare che non ampia e opulenta. Esile.

Prima di passare ai rossi, aggiungo una nota a margine, figlia di una puntatina in azienda che ho voluto fare per togliermi ancora qualche dubbio e qualche curiosità, fuori dal protocollo della degustazione. Nell’occasione Andrea ha voluto farmi provare in anteprima La Casetta 2020, che traccia una linea di demarcazione tra la genesi di questa etichetta e il nuovo corso, dove viene utilizzata unicamente la vigna omonima, il piccolo appezzamento che circonda “la casetta” vera e propria, centenaria costruzione dove ha sede l’azienda, nel comune di Bassiano, diversamente dall’ubicazione della cantina che resta nella proprietà della Valle dell’Usignolo, in Sermoneta.

La Casetta 2020, un vero e proprio cru, è dunque un nuovo progetto, che lascia il legno per cercare in acciaio la sua vera connotazione, il suo aspetto più puro, che nel calice riversa una trama aromatica ricca di sfumature floreali, vagamente fruttate, ma assolutamente in cammino verso nuove colorazioni. In bocca è fresco, pulito, aromatico ma non troppo, con un gusto che mi ricorda lo stile Chablis, ma mette in mostra il carattere dei Monti Lepini, dell’aria di mare e dell’escursione termica propria di questo angolo di territorio. Eccellente.

Rapiglio 2020-2019-2018

Entriamo nel mondo Merlot, che Andrea vinifica con la consueta attenzione al dosaggio del legno, mai troppo invasivo, lasciando riposare questo vino per un anno in tonneau. La cucina presenta in abbinamento ai rossi un morbidissimo e saporito campanello di vitella con salsa olandese.

Partiamo dal 2020 con un prodotto ancora bello carico, sia nei profumi, ancora compressi, che nel gusto, croccante e solido. Le note fruttate di prugna sono evidenti, i tannini sono percepibili ma perfettamente amalgamati, e il sorso rilascia note di cuoio e liquirizia. Equilibrato.

La versione 2019 ha un grado di maturazione ideale per me, che apre l’approccio olfattivo ad un bouquet floreale di viola e rosa canina; al palato il vino si offre morbido, polposo, con note di amarena e tannini ancora più felpati, lasciando un retrogusto speziato che ricorda il tabacco da pipa, il cacao e il pepe nero. Elegante.

La 2018 è coerente, ma trasmette meno energia, meno consistenza, seppure con un complesso gusto-olfattivo intatto e leggibile, coerente e fluido. Sobrio.

La Rave 2019-2015

Ci spostiamo di poco, o meglio selezioniamo le vigne di Merlot, nei nostri assaggi nella zona di Doganella, ma che dal 2020 dovrebbe essere in una nuova posizione, tra gli ulivi. Quello che non dovrebbe cambiare è la vinificazione, con affinamento prevalentemente in tonneau, ma con l’aggiunta di qualche barrique.

Provando il 2019 riconosciamo l’appeal del Merlot nelle sue note di sottobosco e frutta rossa, al naso percepiamo sentori erbacei che ritroviamo anche al palato, in un assaggio bello vivo, corposo, con tannini solidi ma non spigolosi, dal sorso caldo, profondo e avvolgente. Robusto.

La Rave 2015 è un vino che pur giungendo a piena maturazione mostra i segni evidenti di una evoluzione ancora in itinere, con profumi di rovo e violetta, con note di tabacco e concia. In bocca entra con passo soffice e progressivo, in un crescendo di fragranze e calore, sostenuto da un’acidità integra e tannini levigati. Il sorso è pieno, vigoroso ma carezzevole, lungo e abbacinante, con un ritorno retronasale che restituisce aromi di caffè, cioccolato, noce moscata e tracce di erbe officinali. Notevole.

Dulcis in fundo, nel vero senso della frase, Cristian ci regala una bavarese alla mandorla con salsa di albicocche secche e crumble al ginepro, Andrea ci offre in abbinamento una sorpresa.

Pian dei Peschi 2020

Questa è una vera sorpresa. Andrea ha pensato di valorizzare una piccola vigna di Petit Manseng con un esperimento di passito da sole 500 bottiglie … perfettamente riuscito. Il vino si presenta ambrato, con profumi di miele e fioritura, con fragranze di albicocca candita, dolce ma non stucchevole, fresco e dinamico, avvolgente come uno sciroppo e piacevolmente acido. Sorprendente.

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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