Siro Buzzetti e i Terrazzi Alti in Sassella: Valtellina allo stato puro

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Un altro incontro che mi ha letteralmente rapito, durante il mio ultimo tour dedicato alla Valtellina del vino, è quello con Siro Buzzetti, titolare dell’Azienda Agricola Terrazzi Alti la cui cantina è situata a Castione Andevenno, in provincia di Sondrio. Amo immensamente questo distretto vitivinicolo lombardo, caratterizzato da ripidissimi terrazzamenti in pietra che compongono un paesaggio fiabesco. Allevare la vigna da queste parti costa quattro volte la fatica rispetto a gran parte delle aree vitate italiane; giusto per fornire qualche numero riguardo “ore di lavoro per ettaro”: se in Piemonte ne bastano in media 330, fra queste colline pseudo montane ne occorrono 1200.

Proprio per questo, oltre ad essere considerata viticoltura eroica, l’arte dei muretti a secco della Valtellina rientra pienamente nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, assieme ad altre aree simili presenti in Italia, quali Carema, comune a confine tra Piemonte e Valle d’Aosta, Cinque Terre liguri, Costiera Amalfitana… Anche in altri stati europei è possibile trovare questo particolarissimo sistema d’allevamento: Cipro, Grecia, Croazia, Francia, Spagna, Svizzera e Slovenia; il desiderio di visitare tutti questi fazzoletti di terra strappati alla montagna è sempre molto grande, lo ammetto.

Amo il nebbiolo da sempre e in tutte le sue eleganti vesti, l’abito che indossa in Valtellina prende il nome di chiavennasca, in dialetto “ciu venasca” (vitigno vigoroso). A queste altitudini non indifferenti, in grado di toccare tranquillamente gli 800 metri sul livello del mare, il vitigno raggiunge vette di eleganza e finezza – soprattutto a livello olfattivo – difficilmente replicabili in altre altre zone d’Italia, dov’è ben noto per altre caratteristiche ugualmente importanti. Non è questione di eleggere il migliore o il peggiore, s’intende, e me ne guardo bene, semplicemente la grazia di alcune note floreali frammiste ad erbe officinali, piccoli frutti rossi e toni silvestri – unite ad un corpo quasi mai imponente e a un tannino aggraziato – accomunano il chiavennasca più al pinot noir borgognone che allo spanna dell’Alto Piemonte, salvo alcuni Lessona o prünent ossolani, per certi versi simili, per non parlare dei noti michet, lampia e rosè langaroli diametralmente opposti.

Aborro decretare il miglior vino o dare punteggi troppo restrittivi, proprio perché la grandiosità di un’uva come il nebbiolo ha talmente tante sfaccettature, ed è in grado di leggere così bene il territorio dove viene allevata, che ogni etichetta ha le sue peculiarità, e le stesse – data per scontata la qualità di base del prodotto – incontrano sempre il gusto soggettivo. Siro Buzzetti lo sa molto bene ed è stata la sua grande passione per la viticoltura, e dunque per il vino, a trasformare il sogno in realtà.

Le sue vigne sono situate in Sassella, una delle sottozone più vocate della Valtellina (le altre, per dovere di cronaca, sono Maroggia, Inferno, Grumello e Valgella). Tra questi ripidi pendii, caratterizzati da muretti a secco che risalgono ad un passato mai stato così remoto, ho avuto il piacere di toccare con mano il lavoro artigianale che ogni giorno compie il nostro protagonista, tra mille difficoltà soprattutto riguardo la fatica fisica. Risulta già complicato passeggiare in maniera spensierata tra questi sentieri che possono tranquillamente rientrare nella categoria medio-esperti di trekking, figuriamoci effettuare i trattamenti con un atomizzatore a spalla che pesa 30 kg.! Occorre davvero tanta passione e spirito di sacrificio.

Ciò che amo ancor di più della Valtellina è che incarna perfettamente l’esigenza di far vino e non la moda, o peggio, il doversi inventare qualcosa per lanciare un nuovo business. In epoche lontane le genti del posto hanno dovuto inventarsi di sana pianta la viticoltura, e dico inventare perché ogni singolo centimetro quadrato di vigna è stato strappato in maniera surreale alla montagna, e l’hanno dovuto fare per non morire di fame, non per arrotondare lo stipendio.

Al pari delle patate o delle mele, l’uva veniva considerata fonte di sussistenza, più nello specifico di calorie necessarie per poter lavorare chissà quante ore al giorno. In senso assoluto la vigna, e dunque l’uva chiavennasca, è ancora più antica, si parla d’epoca carolingia (750- 987 d.C.), elemento quest’ultimo che porta a pensare che dopotutto il nebbiolo sia nato proprio qui.

Tornando a Terrazzi Alti e al nostro buon Siro Buzzetti, la sua Valtellina è quella dei Grigioni, ovvero la Sassella che guarda a ovest. La sua personalissima storia è iniziata nel 2005 con 1000 m², l’esperienza come perito agrario indubbiamente l’ha aiutato molto, ed essendo ancor oggi il suo lavoro principale l’esigenza di trovare un fazzoletto di vigna attorno a Sondrio – dove tuttora risiede – era indispensabile.  Passo dopo passo, vendemmia dopo vendemmia, la passione per la viticoltura è cresciuta sempre più, tanto che nel 2008 Siro decide di chiedere un part time per poter dedicare metà del suo tempo al mondo del vino.

Un altro elemento che caratterizza questo territorio è la presenza del bosco, che svolge una funzione termoregolatrice, inoltre le vigne in Valtellina godono di ben 1900 ore di sole l’anno, le stesse di Pantelleria, che si trova geograficamente agli antipodi. Proprio per questo tra i filari e i ripidi sentieri caratterizzati da muretti a secco è possibile trovare piante appartenenti alla macchia mediterranea, erbe aromatiche presenti solitamente sulla Costa Ligure, per non parlare dei fichi d’India. Incredibile ma vero, dopotutto ci troviamo in una regione geografica alpina corrispondente al bacino idrico del fiume Adda a monte del lago di Como, assieme alla Valchiavenna formano la provincia di Sondrio e con la Punta Perrucchetti, alta 4.020 metri e appartenente al Massiccio del Bernina, raggiunge la massima altitudine della regione.

Il terreno, in Valtellina, e dunque anche nella sottozona Sassella e tra le vigne di Siro, è prevalentemente di tipo sabbioso con presenza di scisto ossidato, ovvero una roccia metamorfica a grana medio-grossa. Durante il periodo del ritiro dei ghiacciai, che un tempo coprivano sostanzialmente la regione, i rilievi si sono formati per via dello sfaldamento delle rocce granitiche. Particolarmente indicato alla coltivazione della vite, il terreno è di tipo permeabile. I ristagni d’acqua sono particolarmente rari e, nonostante il cambiamento climatico che ha colpito alcune annate soprattutto recenti (è difficile che in Valtellina la vite soffra di estrema siccità e conseguente stress idrico).

Il motivo è il seguente: le radici, in special modo quelle dell’uva chiavennasca, sono in grado di attraversare la roccia anche per 5/6 metri in profondità; così facendo riescono a trovare l’acqua, fonte di nutrimento per la pianta. Ai giorni nostri Terrazzi Alti produce soltanto due tipologie d’etichette, 5 mila bottiglie annue, e gestisce in tutto 1,5 ettari di vigneto suddivisi in tre corpi sul versante Retico ovest della Sassella – zona dei Grigioni – esposti a sud e sud-est; un appezzamento dei tre è situato attorno alla cittadina di Sondrio. Le altitudini variano tra i 400 e i 500 metri sul livello del mare. Il guyot modificato, altresì chiamato archetto valtellinese, è una forma d’allevamento antichissima, tipica della zona, e fortemente voluta da Siro. L’obiettivo è riportare la vite in Valtellina alle origini, agli insegnamenti nei nostri avi che intelligentemente, con molti meno mezzi di noi, erano in grado di osservare con astuzia le peculiarità del territorio, spinti dalla necessità di concretizzare un risultato adoperavano le migliori soluzioni. Pur non appartenendo a nessuna categoria specifica, l’azienda s’impegna a produrre una gamma di vini particolarmente rispettosa dell’ambiente circostante, reale patrimonio da difendere ad ogni costo; i trattamenti vengono ridotti al minimo al solo scopo di tutelare il sano sviluppo della pianta. Dopo l’allegra sgambata tra i ripidi sentieri di uno dei vigneti del cuore di Siro, colti da un improvviso scroscio di pioggia, ci dirigiamo presso la cantina per i consueti assaggim che di seguito illustrerò.

Valtellina Superiore Sassella 2018

Ultima annata prodotta da Siro Buzzetti, frutto di una vendemmia manuale, 100% nebbiolo, localmente chiamato chiavennasca, fermentazione alcolica spontanea con lieviti indigeni e macerazione sulle bucce per 14 giorni, affina un minimo di 12 mesi in botte grande. Tinge il calice con grazia, trama cromatica vivace e luminosa, il rubino cede il posto al granato e viceversa a seconda dell’inclinazione del bicchiere. Dapprima colmo di suggestioni floreali che rimandano alla rosa selvatica e alla viola, il frutto, con lenta ossigenazione, appare nitido, maturo, carnoso eppur vitale: marasca, lampone, susina rossa attraversati qua e là da incursioni di pietra arsa al sole, timo e rabarbaro. Timbro di buona intensità perfettamente in linea con il corpo del vino, è un sorso soprattutto succoso e caratterizzato da un tannino elegante, vispo e dolce; ciò che stupisce più di ogni altra cosa è la lunga scia sapida in chiusura che lo rende perfetto in abbinamento a preparazioni a base di carni rosse stufate e formaggi stagionati di latte vaccino.

Valtellina Superiore Sassella 2017

A dispetto di molte altre regioni vitivinicole italiane, tutto ciò mi è stato confermato da Siro Buzzetti e da tanti altri produttori della zona, l’annata 2017 non è stata così torrida in Valtellina; ancora una volta il particolare microclima di questo territorio è unico e inimitabile. Lo conferma ampiamente questo Valtellina Superiore Sassella del suddetto millesimo, con quel suo respiro intenso e aggraziato che rimanda a suggestioni balsamiche di mentolo e pino mugo, frutti rossi maturi e pellame, legno di rosa, pepe del Sichuan – notoriamente agrumato – e incenso; un naso che cambia registro di continuo ed evolve anche ben oltre l’ora dalla mescita. In bocca risulta esplosivo grazie ad una sapidità marcata e ad un corpo per nulla adombrante, l’insieme è sorretto da una vena acida che apporta tanta freschezza e un tannino coeso eppur tangibile; l’alcol è perfettamente integrato alla materia, la stessa scivola con disinvoltura lasciando un ricordo d’estrema pulizia e coerenza con quanto percepito al naso. Sublime l’abbinamento con un piatto di salmì di cervo alla valtellinese.

Valtellina Superiore Sassella Riserva 2016

Nonostante il mondo enoico la pensi esattamente all’opposto per logiche prettamente commerciali, a mio avviso, dall’inizio del nuovo millennio, non sono tante le annate degne della menzione Riserva. Questo Siro Buzzetti lo sa bene infatti le centellina, è anche vero che un millesimo regolare e pieno di grazia come il 2016 non poteva sfuggire, dunque in questo caso sono perfettamente d’accordo con la scelta di produrre tale etichetta. Il granato, per ovvie ragioni d’affinamento protratto, si fa via via più evidente, con ricordi rubino vivaci e onnipresenti; roteando il vino all’interno del calice salta all’occhio una certa consistenza, dunque una materia di tutto rispetto. Al naso incenso, sottobosco, susina rossa matura, arancia rossa sanguinella e amaretto; le sfumature risultano sottili con incursioni finemente terrose e lievemente ematiche – financo ferrose – sovviene la ruggine e la grafite e un vago ricordo di erbe officinali da grande amaro alpino. In bocca il vino mostra una silhouette degna delle migliori dive del cinema anni Cinquanta: carnose, linee suadenti eppur slanciate, insomma piene della materia che appassiona noi ometti; come del resto la Riserva 2016 piena di succo, polpa, progressione gustativa e scia sapida interminabile. Un grande vino squisitamente valtellinese che ha un glorioso futuro davanti a sé. Abbinato ad un formaggio Casera, stagionato 180 giorni, fa venir voglia di tornare in cantina da Siro immantinente per godere delle bellezze di questa regione vitivinicola lombarda che porterò sempre nel mio cuore.

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Crediti fotografici di Danila Atzeni

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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