

Il comunicato stampa è arrivato due giorni fa, in stile anodino, come una qualunque comunicazione aziendale: il rarefatto Château Climens ha cambiato proprietario. O meglio, il pacchetto di maggioranza della proprietà è passato a Patrimonia Development, società di Jean-Hubert Moitry.
Per i cultori del vino d’arte non è una notizia da poco. Berenice Lurton, la cordiale e al tempo stesso ieratica ex-titolare, per molti decenni è stata la rigorosa sacerdotessa di una vera e propria religione laica, se mi si passa l’ossimoro.
Château Climens è nell’opinione di molti enofili il vino liquoroso par excellence. Costituisce da sempre la controparte più sottile e meno mediatica del teatrale e luminosissimo Château d’Yquem. La loro diversità/rivalità sul piano stilistico e organolettico ha generato una sorta di contrapposizione tra tifoserie: chi ama la sontuosa avvolgenza gustativa di Yquem, la sua opulenza, la sua intensità olfattiva da un lato, e dall’altro chi predilige la complessità tutta “interiore” di Climens, la sua capacità quasi ipnotica di restituire al bevitore una tavolozza aromatica ricchissima di sfumature e mezzi toni.
Scrive Berenice Lurton (traduco all’impronta e grossolanamente i passaggi principali):
“Mi sono sempre considerata più come il custode temporaneo di Climens che come il suo proprietario, un anello nella straordinaria storia della tenuta. Mio padre e poi io ci siamo presi cura di questo gioiello con orgoglio, amore e con impegno senza compromessi. Tutte le annate create a Climens sono degne di portare questo nome, che risuona nel cuore degli amanti del vino.
Ho deciso di passare la mano e di aiutare una famiglia di acquirenti a comprendere il carattere unico di questo terroir e questo savoir-faire, con il desiderio di continuare a far brillare questo diamante in modo costante e disinteressato.
La storia di Climens è una storia di famiglia, ed era essenziale che questo carattere umano e intimo, che contribuisce a preservare l’identità di un vino, continuasse.
Sono particolarmente felice che Jean-Hubert Moitry e la sua famiglia abbiano scelto Climens, e sono molto rassicurata perché condividiamo gli stessi valori umani, lo stesso entusiasmo e la stessa visione. Così che Climens rimanga Climens, sempre unico ma mai uguale, a seconda delle annate…
E se mi sono liberata dalle incombenze di manager, accompagnerò volentieri i miei nuovi soci in questa avventura, per rafforzare la continuità che ha reso celebre Climens. Con Frédéric Nivelle, tanto discreto quanto efficiente, che vanta oltre 25 anni di esperienza nel settore, la continuità è garantita anche dal mantenimento del team in loco”
L’augurio è che i prossimi Climens rimangano dei Climens. Solo il tempo potrà rassicurare in materia.
Mentre questi accadimenti vagamente inquietanti hanno luogo in terra francese, mi consolo per una felice bevuta in terra italica. Venerdì scorso ho condiviso con i sodali Castagno e Gravina una bottiglia che ci ha proposto in assaggio il tosco David Landini, Il viaggio di Landò.
Si tratta di un rosso ottenuto da uve canaiolo di una vigna quasi centenaria a Palaia, nelle campagne pisane (mi scuso con i lettori labronici).
Finalmente non un rosso d’autore da sangiovese, abbiamo pensato; con tutto l’infinito rispetto per la nobile varietà. Questo Canaiolo ha tutto per sedurre l’enofilo à la page: colore leggero, non opaco, profumi ariosi, slanciati, sottilmente percorsi da una tipica vena speziata di pepe, sapore sciolto, senza legature tanniche e senza pesi alcolici, rinfrescante e succoso. L’inspirata etichetta, disegnata dal noto vignettista Sergio Staino, accompagna visivamente un’esperienza appagante e non punitiva per le mucose gengivali.