Hic et Nunc, enoturismo e salvaguardia dei vitigni autoctoni del Monferrato Casalese

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Un paio di mesi fa ho avuto il piacere di incontrare Massimo Rosolen, titolare della cantina Hic et Nunc di Vignale Monferrato (AL), e sono rimasto piacevolmente colpito dalla sua passione per i vitigni autoctoni del Monferrato Casalese. Ci troviamo a metà strada tra e Asti, Alessandria e Casale, sul confine tra Alessandrino e Astigiano, centro geografico del Basso Monferrato. Questo angolo di Piemonte, che riversa le sue antiche tradizioni verso la confinante Liguria, è ricco di fascino e di storia. Tra queste colline Patrimonio Unesco, come in gran parte della regione, la viticoltura ha una storia antica e si perde nella notte dei tempi. Al contrario, la cantina sopracitata ha visto i natali esattamente 10 anni fa, epoca in cui Massimo, assieme alla moglie Valentina Pascarella – e oggigiorno grazie alla preziosa consulenza enologica di Cristiano Garella ed agronomica di Pierluigi Donna – decide di avviare un progetto indubbiamente ambizioso, chiamandolo Hic et Nunc.

Progetto è proprio la parola giusta, perché nonostante ai giorni nostri l’azienda gestisca 21 ettari coltivati a vigneto su 100 totali di proprietà, l’idea del nostro protagonista va ben oltre la sola produzione vitivinicola, che tuttavia rimane l’attività più importante. Queste colline ci riportano indietro nel tempo, esattamente ai primi anni del Novecento, epoca in cui furono piantate le prime viti ritrovate negli appezzamenti di località Mongetto, poco più a nord di Vignale Monferrato, dove oggi si sviluppa il patrimonio viticolo di proprietà dell’azienda.

Massimo è ben consapevole che queste terre coservino un fascino a tratti impareggiabile, e non sto parlando solo della bellezza del paesaggio che varia ad ogni stagione, ma di tutta una serie di tradizioni, usi e costumi – uniti a una cucina tra le migliori del bel Paese – che devono essere ad ogni costo raccontate, vissute, assorbite da coloro che vogliono per un lasso di tempo indefinito lasciarsi alla spalle la nevrosi che circola attorno alle grandi città, e non solo. Iniziamo dal nome: “Hic et Nunc”, dal latino “qui e ora”; i grandi appassionati di letteratura avranno già riconosciuto uno dei versi celebri di Orazio, sommo poeta della letteratura classica. Una stupenda metafora che sintetizza ciò che molte zone vitivinicole piemontesi avrebbero dovuto già da tempo “tatuarsi addosso”, perché nonostante la viticoltura in questa regione sia una delle più importanti d’Italia, troppe zone – o microzone – ad oggi non vengono valorizzate a sufficienza, e potenziale ce n’è da vendere.

Il Monferrato Casalese ha un suo pubblico di fedelissimi, e negli anni ha conquistato fette di mercato non indifferenti, ma più che alla qualità estrema dei vini prodotti si pensa alla quantità, a tutta una serie di tipologie di etichette che ambiscono ad essere degne coprotagoniste della buona tavola, e nulla di più, salvo rare eccezioni. Gran parte delle motivazioni derivano da una produzione che negli ultimi 30 anni ha puntato molto, forse troppo, sui cosiddetti vitigni internazionali, lasciando in panchina veri e propri cavalli di razza come ad esempio l’uva cortese o il grignolino, solo per citare alcuni esempi.

Massimo Rosolen, al contrario, punta tutto solo ed esclusivamente sugli autoctoni, tanto per gli spumanti quanto nei bianchi, nei rossi sino ad arrivare ai vini dolci o alle grappe. Scelta che condivido appieno perché cultivar quali appunto cortese o grignolino, per non parlare della barbera, del nebbiolo, della freisa, o del dolcetto, sono le più indicate a tradurre fedelmente le tante peculiarità che caratterizzano Vignale Monferrato, a mio avviso tra i comuni più vocati dell’intero comprensorio.

I terreni sono di origine marina, presentano una matrice argilloso-calcarea e nel sottosuolo è possibile rinvenire blocchi compatti di calcare e arenarie dal classico colore giallo-ocra: le cosiddette “pietre da cantone”. Le stesse furono scavate dalle popolazioni locali fin dall’antichità e utilizzate anche in edilizia. Terreni indubbiamente poveri tuttavia dotati di microelementi che regalano ai vini struttura, finezza e, grazie alla presenza di calcare, spiccata sapidità.

Un altro elemento importantissimo di cui si avvale Hic et Nunc è la biodiversità paesaggistica, elemento piuttosto raro in una regione che oggigiorno ahimè si avvale sempre più della classica monocultura. Dei 100 ettari di proprietà il 79% è a seminativi, boschi, pioppeti, e il 21% a vigneto. Dai racconti di Massimo e da quelli del responsabile vigneti, Giovanni Ratibondi – colui che da sempre alleva le uve in località Mongetto – si evince un chiaro rispetto per l’ambiente, un interesse concreto nel voler difendere ad ogni costo ciò che la natura ha donato all’uomo.

Ritengo doveroso riportare proprio le loro parole. “La difesa attiva dei suoli e dell’ecosistema avviene attraverso pratiche quali inerbimento dei filari, attenzione a non esasperare la compattazione e il dilavamento dei suoli, riduzione dei trattamenti al minimo indispensabile. Pratiche virtuose adottate anche per il controllo “termico” del vigneto, fondamentale in una fase di cambiamento climatico come quella in corso. Inoltre, un doppio passaggio in vigna per lo sfoltimento della chioma in base all’esposizione, assicura ai grappoli di godere della luce solare in modo adeguato, ovvero senza scottature, lesioni degli acini o, peggio ancora, arresti di maturazione.

Una conduzione agronomica “ragionata” e calibrata sulla base di situazioni da valutare con attenzione vigneto per vigneto, anche in funzione dell’età e della vigoria delle piante, nonché delle giaciture e delle caratteristiche del suolo “.

Da agosto 2021 Hic et Nunc ha avviato la conversione al biologico dell’intero patrimonio viticolo, ulteriore riprova della filosofia aziendale. Tutto ciò a Massimo Rosolen, e al suo staff, non basta: la vendita dei vini consente di apprezzare la bontà del prodotto ma non si ha piena coscienza del potenziale di un territorio, parlo dei nostri sensi, quelli donati dal Padre eterno. Elementi quali aria, vista, profumi, colori e aneddoti riguardo tradizioni e quant’alto, vanno interamente vissuti in loco. Da quest’idea nel 2012 viene interamente restaurata Ca’ Milano, la casa colonica, trasformata in un wine resort denominato Ca’ dell’Ebbro. Un’oasi di pace inserita in un contesto rurale di rara bellezza, perfettamente integrata nel paesaggio circostante, come del resto è la cantina che gioca a nascondersi tra i filari. Cantina e wine resort si adagiano sulla dorsale che collega Vignale a Frassinello, un anfiteatro naturale di colline e vigneti attraversati da boschi, pioppeti, noccioleti, campi coltivati e pascoli. Hic et Nunc produce 60 mila bottiglie distribuite su svariate etichette, e dunque tipologie/denominazione quali Barbera d’Asti, Barbera del Monferrato Superiore, Monferrato, Piemonte, Spumante di Qualità e Grignolino del Monferrato Casalese.

Vino Spumante di Qualità “Mète” Brut Rosé

Martinotti-Charmat da uve barbera, rosa tenue con riflessi color cipria, bollicine fini e regolari. Naso di cosmesi, fragolina di bosco e lieve traccia balsamica. Medio impatto al palato, carbonica fine, cremosa, piuttosto dosato, pur tuttavia chiude pulito e piacevolmente fresco.

Vino Spumante di Qualità “Pandemonio” Brut Rosé

Martinotti-Charmat lungo, ovvero rifermentato a temperatura controllata in autoclave con affinamento sui lieviti di 9 mesi, colpisce già dalla trama cromatica, rosa cerasuolo con riflessi buccia di cipolla. Frutti rossi croccanti al naso, una vena di calcare su scia erbacea, note di cipria sul finale. Indubbiamente più teso del precedente, verticale, tuttavia il perlage cremoso anticipa un finale dominato dal frutto maturo e da una buona sapidità.

Metodo Classico Pas Dosé “Monbullae”

Affina 24 mesi sui lieviti, blend di barbera e cortese. Paglierino con riflessi chiari, bollicine fini e copiose. Naso intenso di frutta secca, agrume e lieve tostatura; con lenta ossigenazione affiora una vena di calcare e leggero smalto. Il sorso è ritmato da un’acidità notevole, in linea con una chiusura sapida e un ritorno di agrume in grado di lasciare il palato fresco e pulito; media la persistenza.

Piemonte Cortese “Monolite” 2020 e 2019

Cortese in purezza, il 90% della massa affina in acciaio, la restante parte in barrique. L’annata 2020 brilla all’interno del calice, paglierino con riflessi chiari e leggermente verdolini, la 2019 mostra una tonalità leggermente più calda. La prima ha un naso di kiwi, scorza di limone, susina gialla, tiglio e maggiorana su una scia di calcare fine e continua, la seconda evidenzia una parte minerale pronunciata su fiori freschi e torni erbacei, con finale leggermente speziato; entrambe sono dominate da una freschezza notevole, totale assenza d’alcol percepito e un finale che nella 2019 risulta interminabile grazie a una lunga scia sapida, che nella 2020 è ancora un po’ contenuta.

Piemonte Cortese “Tèmi” 2016

L’uva cortese dona vini longevi, si sa, dunque Massimo ci tiene a darmi un saggio delle potenzialità della stessa allevate tra i filari di Vignale Monferrato. Ai tempi il suo Piemonte Cortese si chiamava Tèmi, non Monolite, nonostante ciò la bevibilità di questo vino rimane impareggiabile, e mi ha davvero colpito. Paglierino caldo, buon estratto, naso di miele d’acacia, smalto, pietra focaia e refoli balsamici su un frutto ancora integro che sa di limone, susina gialla e melone d’inverno. Annata impareggiabile un po’ in tutt’Italia, ciò che colpisce maggiormente è la perfetta sinergia tra acidità, sale e un corpo perfettamente allineato alla struttura del vino.

Grignolino del Monferrato Casalese “Altromondo” 2020

Grignolino 100%, affinamento il solo acciaio. Rubino di media trasparenza, riflessi fucsia, buon estratto. Naso in cui la spezia fine domina affiancata a ricordi di ribes, lampone, arancia rossa sanguinella, grafite e una chiusura legata inesorabilmente al terreno argilloso e calcareo di cui è figlio. Il sorso è scattante e dal ritmo oserei dire sincopato: alterna guizzi sapidi a lampi di freschezza appagante, in grado di contrastare alla perfezione gli antipasti tipici della cucina del territorio; coerente il retronasale speziato/agrumato.

Monferrato Dolcetto “Mondano” 2019

Dolcetto 100%, affinamento svolto in solo acciaio. Rubino caldo con unghia violacea, media consistenza. Respiro intenso di mandorla tostata, amarena, pepe nero e liquirizia su un finale boschivo e lievemente balsamico. In bocca risulta morbido e dal tannino pronunciato, di media sapidità; si avverte un po’ di alcol sul finale, che tuttavia non disturba, la freschezza in questo caso è leggermente in disavanzo.

Barbera del Monferrato “Femminile Singolare” 2018

Barbera 100%, affinamento svolto in solo acciaio. Rubino squillante, unghia violacea, buon estratto. Al naso è un tripudio di frutti rossi maturi attraversati da tante pennellate floreali, in ordine di “apparizione”: amarena, susina nera, geranio selvatico e un ricordo di macchia mediterranea, chiodo di garofano e una chiusura balsamica che sa di eucalipto. Sorso scattante, tuttavia non privo di densità e allungo, cede un po’ sul finale mostrando un frutto leggermente maturo ravvivato da lampi di freschezza tuttavia confortanti.

Barbera d’Asti “L’Omonima” 2019

Barbera 100%, affina 4 mesi in tonneaux di rovere francese di secondo passaggio. Rubino caldo, trama piuttosto calda e impenetrabile. Avvicinando il calice al naso il timbro tostato ruba un po’ la scena al frutto che tuttavia, con opportuna ossigenazione, appare integro e ben lontano dai toni di confettura. Ricordi di noce moscata, ginepro, baccello di vaniglia, amarena e susina nera; in chiusura alloro e liquirizia. In bocca domina la potenza, ben supportata da un profilo in cui l’alcol non appare quasi mai protagonista, il frutto è coerente e rimane incollato per diversi minuti al palato, stuzzicato da un tannino dolce eppur presente.

Barbera del Monferrato Superiore “Monumento” 2018

Barbera 100%, affina un anno in serbatoi di acciaio e 15 mesi in tonneaux di rovere francese. Rubino vivace, unghia granata, grande consistenza. Naso esplosivo dominato ancora un po’ troppo dalla tostatura del legno, che conferisce un ricordo di vaniglia e lieve fumé. In seconda battuta amarena, prugna, ginepro, caffè e un floreale leggermente appassito di rosa rossa e geranio; un vino ancora troppo giovane a mio avviso. In bocca la trama è pressoché identica: tannino incisivo, materia leggermente adombrante, legno non ancora ben fuso e integrità fruttata che fatica a conquistare la scena; tuttavia al momento è un vino gastronomico in grado di contrastare alla perfezione secondi piatti della cucina del Monferrato Casalese.

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Contributi fotografici dell’autore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in Cantina, e serate dedicate all’enogastronomia, frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla usa compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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