Normalmente il bevitore di vino irride l’acqua, contrapponendo in modo banale la sua “piattezza” alla forza esaltante dell’ebrezza alcolica.
Non è una novità. “Il vino è in tavola, ma l’acqua avanza”, scrive già Leonardo; dove il “ma” ha funzione rafforzativa: “il vino è in tavola, perciò l’acqua avanza”. L’acqua è però portatrice di significati di carattere vertiginoso, e anche il bevitore di vino ha da tenerne il debito conto.
Una delle opere meno note e purtuttavia più degne di attenzione del pluricompianto Luigi Veronelli è un libriccino dal titolo Sorella acqua, pubblicato per i tipi – guarda caso – della Veronelli Editore nel 1994.
Annoto per pura vanteria che lo stesso Veronelli me ne regalò una copia a suo tempo, copia finita nel gorgo eliminatorio della consorte (che soffre di quello che gli anglosassoni chiamano compulsive decluttering, “sgombro compulsivo”, ovvero l’opposto della sindrome degli accumulatori seriali).
Grazie ad Arturo Rota ho potuto tornare in possesso del prezioso volumetto, del che lo ringrazio.
In Sorella acqua l’autore offre un florilegio di testi della nostra letteratura che citano l’acqua e i termini derivati: acquerella, acquetta, acquazzone, acquicella, acquaccia, acqua viva, acqua acciaiata, acqua concia, e via via.
Impresa tanto più notevole se si considera che all’epoca Veronelli non aveva a disposizione un comodo accesso alla sterminata risorsa della rete, e doveva quindi compulsare centinaia di libri – e/o ricorrere alla memoria legata alla sua cospicua cultura – per trarne il relativo materiale.
Nelle pagine iniziali Veronelli sottolinea quanto l’acqua sia intimamente connessa al vino. Il primo capitolo ha come intestazione: Dove l’autore, conosciuto come il maggiore enofilo, si ribella alla fama di idrofobo.
Più avanti, nel capitolo nono, il titoletto recita: Dove l’autore chiarisce come l’acqua costituisca la maggior parte tra i costituenti del vino e perché non ci si debba minimamente preoccupare.
Ecco per me il cuore del libro: l’acqua presente nel vino, all’80% circa, è “acqua vitalizzata. Avendo origine metabolica è un vero e proprio elemento vivo. Racchiude nella sua struttura molecolare un quid spirituale, estremamente labile, che sfugge all’analisi del chimico ma non a quella del palato. In parole povere: non ha sapore… di acqua”.
Qui sta la grandezza di Veronelli, o una delle sue molte grandezze. L’aver sempre tenuto presente l’elemento elusivo, imponderabile, e tuttavia presente nel vino, che ne marca l’autenticità e il valore. L’elemento elusivo che resiste all’interpretazione razionale, e che allo stesso tempo resiste alla riduzione in bevanda industriale replicabile ai quattro angoli del pianeta. Scrive più avanti Veronelli, assumendosi in modo esplicito il rischio di essere frainteso: “massì, per un quid animistico”.