Il vino del Circolo Polare Artico

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Se una ventina di anni fa qualcuno avesse suggerito di produrre vino in Scandinavia, sarebbe stata presa da tutti come una semplice battuta. Io poi, che di iperboli me ne intendo, sarei andato oltre e avrei sostenuto l’opportunità di piantare viti al Circolo Polare Artico. Oggi, amarissimamente, si è passati dallo scherzo alla realtà.
Si fa vino nei pressi del Circolo Polare Artico. Non ci credete?

A causa del cambiamento climatico in atto, intere regioni vitate “classiche” vanno esaurendo la loro parabola vitale e scivolano, nemmeno tanto lentamente, verso la coltivazione di bananeti.
Un lunghissimo articolo apparso nel sito della BBC (LEGGI QUI)  espone con dovizia di esempi la tesi che nel prossimo futuro – non fra due secoli, nel prossimo futuro – la fascia produttiva dei vigneti europei sarà spostata più a nord di centinaia ovvero migliaia di chilometri rispetto alle regioni mediterranee tradizionali.

Secondo Debbie Inglis, direttore dell’Istituto di Viticoltura del Canada, “Un aumento della temperatura globale di 2°C potrebbe far sparire il 55% delle regioni vinicole di tutto il mondo, e uno di 4°C potrebbe eliminare la produzione di oltre il 70% di queste regioni“.
Rimanendo in Canada, “il clima della Nuova Scozia è oggi la copia carbone di quello della Champagne 25 anni fa”: parola di Jean Benoit Deslauriers, primo enologo dell’azienda Benjamin Bridge.

E qui continua una serie di osservazioni che suonano controintuitive. Sveneric Svensson, presidente della Swedish Wine Association, afferma che il crescente successo dei loro vini sia dovuto al fatto di coltivare uve tedesche, “troppo al caldo nel luogo di origine, ma perfette nel nostro clima”. Uve tedesche troppo al caldo? ho letto male? È il mondo alla rovescia. Secondo Svennson la varietà ibrida resistente solaris, creata a Francoforte nel secolo scorso, non darebbe il massimo in Germania, “dove matura in modo brutale”, ma si esprimerebbe con la massima felicità in Svezia.

Questo vertiginoso rimescolamento delle carte sembra dare ragione agli osservatori non esperti di ampelografia, agronomia, climatologia – come me – che avevano a grandi linee intravisto una quindicina d’anni fa il piano inclinato su cui si stava rotolando. Era una visione superficiale, amatoriale e abborracciata quanto si vuole: ma era ahinoi fondata. Ricordo i commenti giustamente risentiti di esperti di coltivazione della vite: non si possono trarre conclusioni prive di fondamenti scientifici sul rischio di sparizione della vitis vinifera soltanto sulla base osservativa dell’aumento della gradazione alcolica in alcuni vini. Le variabili in gioco sono molto numerose, generalizzare è privo di senso.

Tutto giusto. Però oggi stiamo più o meno dove si temeva che saremmo stati. Nelle Langhe ormai è pressoché normale avere Barolo a 14 gradi, 14 gradi e mezzo, e – ciò che più dispiace – spesso più statici, caldi e “larghi” che longilinei e reattivi. Lo stesso dicasi per Montalcino poi, zona calda “de suo”, direbbero a Roma, dove trovare un po’ di slancio e freschezza non è così usuale. E così anche a eccetera eccetera.

Non è un caso che si moltiplichino le vigne a quote altimetriche sempre più elevate o in aree un tempo fredde e inospitali per la vite. Qualche mese fa sono stato a trovare dei produttori che hanno messo a dimora un impianto presso Amatrice (peraltro supportati da un eccellente e stimatissimo agronomo piemontese). Ma di esempi se ne potrebbero fare a decine.

Nel 2122 i critici si troveranno a recensire i succhi di ananas di Serralunga d’Alba? speriamo vivamente di no. Nel frattempo le prove dei vini scandinavi saranno di sicuro in crescita qualitativa, non ne so nulla. So solo che l’unico bianco (un Solaris 2018 di una casa vinicola svedese) provato poco tempo fa, a casa di un amico – stappato da un paio di giorni e quindi con il beneficio del dubbio – era un vinello dalle marcate note vegetali, con qualche sfumatura amilica (vernice fresca), magretto e acidulo al palato. Qualche margine ancora l’abbiamo.

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Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

2 COMMENTS

  1. Caro Fabio,
    a me sorge spontanea un’altra riflessione: se la vite si sposterà sempre più a nord verso climi meno roventi, noi che in quei territori l’aumento della temperatura ce lo dovremo sorbire per forza, ben difficilmente continueremo a consumarne, a meno di una dealcolizzazione spinta, perché stai sicuro che con un clima sempre più caldo e arido, avremo molto più bisogno di acqua che di vino.

  2. Assaggiato qualche anno fa alla Tampere Wine Fair un vino prodotto in (udite udite) in Finlandia, che era convintamente terrificante. Non ricordo i vitigni, quelli sono riuscito a rimuoverli: mi par di ricordare che trattavasi di quel tipo di varietà sviluppate in tempi non sospetti a beneficio dei climi freddi.

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