Territori da scoprire in Toscana: la Valdera (e il Valdarno inferiore)

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Nel variegato e sfaccettato vigneto italico ci sono i territori forti, quelli di fama e potenzialià conclamate, insomma i “superclassici” come Langhe, Montalcino, Chianti Classico, Valpolicella, dei quali si analizzano minuziosamente stili, sottozone e cru nelle loro sfumature più nascoste. Ci sono quelli appena meno classici ma comunque ormai stabilmente sotto i riflettori. E poi ce ne sono tanti altri, da nord a sud, che è bello scoprire. Dove si lavora lontano dalla ribalta, si studia con attenzione la propria terra e si fa di tutto per estrarne il meglio, cercando anche di esplorare le nuove tendenze, emergenti e magari sperimentali, avendo le “mani libere” da tradizioni secolari incombenti e stringenti, o blasoni da custodire. Tendenze che  possono essere forse ragg

ruppate (almeno) in un paio di filoni: approcci biologici e/o biodinamici in campagna, e poi fare vino tentando di convogliare e riassumere sempre di più tutto e solo quello che viene dalla campagna, cercando di limitare influenze esterne. Quindi: attenzione per le uve del territorio; viva le bollicine, ma quelle che sono il risultato di una prosecuzione della fermentazione “originaria” del vino; la scelta dell’anfora come contenitore che non aggiunge tannini o caratteri olfattivi/gustativi, e così via.

Un esempio di questa tipologia di territorio è quello della Valdera, che prende il nome dall’Era, affluente dell’Arno: una striscia della provincia di Pisa che si distende nella direttrice nord-sud fra costa ed entroterra, e  che vede protagonisti tanti bravi produttori, come dimostra questo  report di una degustazione che ha coinvolto alcuni di essi con qualche “ospite” di un altro distretto viticolo della zona, quello di San Miniato. Un piccolo evento organizzato dal biodistretto della Valdera, una associazione che comprende anche allevatori, casari, agricoltori, produttori di farine, eccetera.

Appunti di degustazione

Il rifermentato: In Fermento 2021 – Fattoria di Fibbiano (Terricciola)
Una famiglia lombarda si trasferisce in Toscana acquisendo questa tenuta nel 1997 e da allora lavora con tenacia e umiltà: nel solco della tradizione c’è la fedeltà a un marchio come il Chianti (ottimamente riuscito quest’anno il Superiore Casalini 2019) ma anche l’esplorazione di nuove frontiere. Ecco quindi l’idea originale di un vermentino “pet-nat” in cui il percorso della fermentazione è bloccato portando il mosto ad una temperatura di 10 gradi per poi proseguire in bottiglia. È un vino vitale, con una bollicina delicata ma di grana vivace e spiccate note agrumate espresse anche in una beva di bella dinamica.

Il metodo classico: L’Erede 2016 – Cupelli Spumanti (San Miniato)
Uno degli ospiti della degustazione, dal borgo di San Miniato: in questa azienda è grande la passione per il metodo classico e dunque le procedure si incanalano dentro il solco della tradizione, ma la scelta è di spumantizzare il vitigno autoctono del bere quotidiano toscano, ossia il trebbiano. La prima fermentazione avviene in cemento, alla quale seguono 36 mesi in bottiglia sui lieviti  ed altri tre dopo la sboccatura. I profumi spaziano dalla classica mela a più delicati fiori bianchi, e le note aromatiche dei lieviti appaiono sullo sfondo espresse da spunti di crosta di pane.

Il macerato in anfora: L’Uva e la Terra 2021 – Podere Spazzavento (Ponsacco)
Da un’azienda che possiede nove ettari con certificazione biologica da quasi vent’anni di nuovo un trebbiano, la cui fermentazione avviene in anfore di cocciopesto da 350 litri una volta finita la quale le bucce rimangono a macerare a contatto col vino per un anno. Qui il colore è giallo vivo, e sono ben focalizzate le note di mela renetta, frutta gialla e miele. La beva, dinamica, si conclude con una “carezza” tannica che stimola il palato.

Il rosé in anfora: Pink Panther 2021 – Usiglian del Vescovo (Palaia)
Anche qui l’anfora gioca un ruolo, stavolta da contenitore per affinamento di questo sangiovese in rosa, che lascia filtrare ossigeno senza aggiungere altre componenti dopo che il mosto è fermentato in parte in barrique e il vino è sostato in acciaio. Il colore è aranciato e le note sono di ciliegia lieve e di arancia sanguinella. Palato lieve, di buona scorrevolezza, con una spiccata spina acida che dinamizza la beva.

Il vecchio saggio: Era 2009 – Terre del Ving (Peccioli)
Siamo a Chianni: un borgo molto conosciuto, oltre che da chi ci vive, dagli stranieri che si sono comprati casali con incantevoli viste sulle colline e che d’estate invadono le strade assieme a nugoli di bambini. Qui da sempre si fa vino a livello famigliare e qui Stefano Gonnelli, ingegnere con trascorsi all’agenzia spaziale europea ha abbracciato in tutto e per tutto la vita in campagna assieme alla compagna Nicoletta Dicova, docente all’università di Pollenzo, fondando il Podere San Donato in Bellaria. Per ora però è operativa Terre del Ving, la sua azienda nella vicina Peccioli, in cui si seguono i precetti dell’agricoltura biodinamica. Questo vino, un bianco autoctonissimo (trebbiano, malvasia, san colombiano) da invecchiamento è infatti, dopo 13 anni in ottima forma: naso limpido ed espressivo con frutto bianco maturo, note di miele di acacia e intriganti sfumature di erbe aromatiche, e beva spessa, che arriva con bella energia ad un finale saporito.

Sua maestà il sangiovese: Opera in Rosso 2019 – Podere La Chiesa (Terricciola)
Il sangiovese è l’uva che innerva la viticoltura toscana, sulla quale si spendono tante energie e parole perché ha tante sfaccettature a seconda della terra dove affonda le sue radici. Qui c’è un bell’esempio di espressione del sangiovese “pisano”, meno austero/nervoso e più polposo/suadente. Dopo la fermentazione in acciaio a temperatura controllata affina 24 mesi in tonneau e 18 in bottiglia, ed esprime una ricchezza di materia ben imbrigliata, opulenza di frutto e beva scorrevole.

Il vitigno ritrovato: Sanforte 2019 – Cosimo Maria Masini (San Miniato)
Anche se è presente in modo sporadico nelle vigne di questa zona, il sanforte è un’uva che è sempre di più sotto la lente d’ingrandimento di ricercatori e di vignaioli perché  dà origine a vini assai interessanti come questo, ottenuto da vigne vecchie e vinificato in piccoli tini aperti con follature manuali, fermentazione malolattica spontanea in barrique usate, dove poi il vino matura dai 12 ai 18 mesi. Il risultato nel bicchiere è seducente, scattante, senza alcun appesantimento boisé ma al contrario sfoggia intensità aromatica e dinamismo: una vera sorpresa.

L’internazionale: Scopaiolo Syrah 2019 – Pieve de’ Pitti (Terricciola)
Caterina Gargari conduce con energia e passione questa bella realtà immersa nel cuore delle colline pisane, evitando l’uso di pesticidi, fertilizzanti chimici, diserbanti. Questo Syrah, tratto da uve che affondano le radici in terreni sabbiosi esposti a Nord-Ovest e su colline limose ricche di scheletro,  punta sul  dinamismo della beva ma sa esprimere anche il frutto seducente tipico della  tipologia.

Il sorprendente: IXE Tempranillo Toscano 2018 – Pietro Beconcini (San Miniato)
IXE: la lettera X evoca  mistero e incognita, come incognita era l’uva presente nelle vigne di Pietro Beconcini. Si scoprì poi che era il tempranillo, il vitigno dei grandi rossi spagnoli Rioja e Ribera del Duero, arrivato a San Miniato attraverso i pellegrinaggi fra cammino di Santiago e via Francigena.  Dopo la fermentazione in cemento con lieviti indigeni e macerazione di 30 giorni, si affina 15 mesi per metà in botte e metà ancora in cemento. È un vino dalle affascinanti note di erbe aromatiche e sensazioni boschive che affiancano un frutto importante, confermato in una beva avvolgente e sapida.

Dulcis in fundo: Vin Santo del Chianti Riserva 2015 – Sorelle Palazzi (Terricciola)
Le sorelle Palazzi dopo aver fondato la cantina nel 1973 hanno passato la mano a favore di Marina Romin, che ne prosegue degnamente l’opera, modernizzandola ove necessario. Questo Vin Santo del Chianti (13.5% di alcol) colpisce per freschezza e bevibilità, ed è seducente nella sua dolcezza accennata e non stancante.

Riccardo Farchioni

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