Il Consorzio Club del Buttafuoco Storico presenta l’annata 2017

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© Cristian Castelnuovo

Lo scorso 15 novembre, presso il Ristorante Identità Golose Milano di via Romagnosi, il Consorzio Club del Buttafuoco Storico ha presentato il proprio territorio ed i propri vini, con un focus particolare riguardo l’annata 2017. Per l’occasione Federico Sgorbini, chef stella Michelin del Ristorante Lino di Pavia, ha creato un menu ad hoc con piatti della tradizione (e ingredienti rigorosamente stagionali) rivisitati e presentati come si confà ad un professionista dell’alta cucina. La masterclass, rivolta esclusivamente a stampa ed esperti di settore, è stata condotta dal vicepresidente del Consorzio Giulio Fiamberti, preceduto dal presidente in carica Davide Calvi, che ha saputo illustrare con dovizia di dettagli le peculiarità e la storia del Buttafuoco dellOltrepò Pavese, o Buttafuoco, rinomato vino della provincia di Pavia fregiatosi della DOC dal 1970.

Il nome è alquanto curioso, non c’è dubbio, e come spesso accade in Lombardia tutto nasce dalla forma dialettale: “Al buta me al feüg”, ovvero “brucia come il fuoco”, una frase che potrebbe trarre in inganno, soprattutto in un’epoca in cui i vini più in voga, in Italia, sono quelli dotati di freschezza, ariosità, grazia, soprattutto per quanto concerne la beva. Il Buttafuoco, tuttavia, rispecchia la tradizione lombarda dei ricordi, del popolo, della buona tavola; un vino robusto che possiede l’alcolicità necessaria a contrastare i piatti opulenti dell’Oltrepò Pavese, e soprattutto in grado di fornire – soprattutto all’epoca – le calorie necessarie ad affrontare la dura vita nei campi.

Oggigiorno è risaputo, lo stile di vita è piuttosto sedentario: come si fa dunque a rendere il Buttafuoco un vino “contemporaneo”? La risposta è semplice: attraverso la ricerca assoluta della qualità, il concetto di zonazione, lo studio costante di tutti quegli elementi in grado di garantire al prodotto finale doti di armonia ed equilibrio. Con questi presupposti, e con tanti altri fattori a complemento, nel 1996 è nato il Consorzio Club del Buttafuoco Storico.

Come spesso accade, in questi casi l’idea nasce quasi per gioco, complice qualche serata di degustazione comparativa organizzata da tutti quei produttori che ancor prima di creare un’Associazione erano soliti ritrovarsi per scambiarsi pareri circa le azioni da mettere in campo per migliore sempre di più la qualità media dei vini prodotti. Personalmente ritengo che solo grazie all’unione d’intenti un territorio possa diventare grande, non c’è spazio per l’invidia né tantomeno per le gelosie. Dalle parole di Giulio Fiamberti e Davide Calvi, presenti alla serata in rappresentanza dei 18 produttori del Consorzio, questo spirito è emerso in maniera inconfutabile, e non posso che darne atto.

Veniamo all’essenza del Club Buttafuoco Storico, ossia all’idea che c’è dietro questo progetto. Il disciplinare è molto rigido: le uve devono provenire necessariamente dalle sole vigne che storicamente hanno dato vita a Buttafuoco di elevata qualità. Coltivate all’interno della zona storica, devono essere e iscritte all’albo vigneti della Regione Lombardia con il loro nome tradizionale. Le pratiche agronomiche devono rispettare canoni ben precisi vòlti alla tutela dell’ambiente: basse produzioni, inerbimento, concimazioni organiche, con il fine di preservare al massimo il ciclo vitale delle piante. Tassativa è inoltre la presenza di sole uve autoctone dell’Oltrepò Pavese: croatina, barbera, uva rara, ughetta di Canneto.

E’ istituita una “commissione di campagna” dedicata che monitora costantemente tutte le vigne ricadenti nel progetto e, in base all’andamento dell’annata, decide in quali giorni sarà possibile effettuare la vendemmia. In cantina la vinificazione delle quattro uve avviene obbligatoriamente in maniera congiunta e in un unico vaso vinario. L’affinamento viene svolto in botti di rovere per almeno 12 mesi, segue ulteriore riposo all’interno della cosiddetta “Bottiglia Storica”, dov’è ben visibile il bollino che riporta il numero progressivo e il numero dei fuochi (valutazione dell’annata), deciso da una commissione esterna di cantina, secondo la scheda dell’Union International des Oenologues.

Il territorio del Buttafuoco Storico è letteralmente abbracciato da due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, mentre i comuni coinvolti sono Canneto Pavese, Montescano, Castana e parte dei comuni di Broni, Stradella, Cigognola, Pietra de’ Giorgi in provincia di Pavia. L’areale di produzione si estende su una superficie di soli 22 ettari. Impossibile non citare alcune tra le peculiarità che contraddistinguono il clima e le giaciture di questo antico angolo di Lombardia: in inverno il freddo è significativo, tuttavia l’estate è sempre caratterizzata da caldo e ventilazione costante; inoltre il noto Sperone di Stradella, nato da un accavallamento tra la placca alpina e quella appenninica – al di sotto della pianura – sovrasta le nebbie del catino padano. L’esposizione è un altro fattore determinante, perché consente una lunga e completa insolazione giornaliera, di contro – nelle ore serali – correnti ascensionali piuttosto calde coinvolgono i filari. Questi elementi, salvo annate particolarmente calde e siccitose come le ultime che abbiamo vissuto, garantiscono una maturazione graduale e completa dei grappoli.

Nonostante il numero esiguo di ettari vitati del Buttafuoco Storico è possibile trovare ambienti geologici e pedologici differenti, elemento quest’ultimo che caratterizza le peculiarità di ogni singola vigna dell’areale. Il Consorzio punta tutto sulla promozione dei vigneti storici, tanto da presentarli chiaramente in etichetta. Ogni produttore è titolare di quello che potremmo considerare a tutti gli effetti un vero e proprio cru del Buttafuoco Storico.

© Cristian Castelnuovo

Considerato il grande lavoro che è stato fatto, trovo necessario elencarli tutti: Vigna Poggio Cà Cagnoni e Vigna Poggio della Guerra – Azienda Agricola Diana, Vigna Pregana – Agricola Quacquarini Francesco, Vigna Sacca del Prete e Vigna Solenga – Azienda Agricola Fiamberti Giulio, Vigna Badalucca – Azienda Agricola Il Poggio di Alessi Roberto, Vigna Catelotta – Tenuta La Costa, Vigna Pitturina – Azienda Agricola Poggio Rebasti, Vigna Costera e Vigna Rogolino – Azienda Maggi Francesco S.S. Agricola, Vigna Bricco in Versira – Azienda Agricola Piovani Massimo, Vigna del Garlenzo – Agricola Giorgi Franco, Vigna Casa del Corno – Azienda Giorgi F.lli, Vigna Pianlong – Cantina Scuropasso, Vigna di Frach – Azienda Agricola Cignoli Doro, Vigna Casa Barnaba – Azienda Agricola Colombi Francesco, Vigna Canne – Azienda Agricola Riccardi Luigi, Vigna Ca’ Padroni – Piccolo Bacco dei Quaroni, Vigna Montarzolo – Azienda Vitivinicola Calvi, Vigna Carì – Azienda Agricola Bruno Verdi.

Tutte queste aziende, e dunque tutti i cru specifici, rispondono a una precisa collocazione geografica contraddistinta da una matrice dei suoli diversificata e in parte responsabile delle differenti peculiarità dei vini prodotti. Sostanzialmente le componenti del terreno si possono riassumere in ghiaie (alcolicità e acidità), arenarie (alcolicità, componente tannica), infine le argille (corpo e struttura).

Durante la masterclass abbiamo avuto la possibilità di degustare 6 vini provenienti da zone differenti per microclima, esposizioni e suoli, e in effetti le diversità sono apparse evidenti. L’annata 2017 indubbiamente ha messo a dura prova gli addetti ai lavori: caldo torrido e siccità le caratteristiche per cui verrà ricordata. I vini degustati hanno in parte evidenziato proprio i limiti intrinseci del millesimo: tonalità rubino calde e profonde, frutti neri piuttosto maturi – spesso in confettura – spezie dolci, note di sottobosco, fiori leggermente appassiti e un alcol sostenuto che in questa fase necessita tassativamente dell’abbinamento col cibo, anche per domare il tannino e la prorompente sapidità.

Non dimentichiamoci che il Buttafuoco non apparterrà mai alla cosiddetta categoria di vini da “sbicchierare” all’ora dell’aperitivo o a bordo piscina con 40 gradi all’ombra; è un vino che richiede uno studio particolare nell’abbinamento gastronomico, meglio ancora se prettamente territoriale, ciò che ha saputo fare egregiamente lo chef Federico Sgorbini del ristorante Lino di Pavia. Il Consorzio Club del Buttafuoco Storico, per promuovere ulteriormente il territorio, ha per l’appunto scelto un ristorante di queste colline che da sempre utilizza materie prime del pavese quali ad esempio tartufo nero dell’Oltrepò, cipolla di Breme, maialino della Lomellina… che sono stati alcuni dei protagonisti del menu presentato per l’occasione presso il Ristorante Identità Golose Milano.

In aggiunta è stata presentata l’annata 2017, firmata dall’enologo Michele Zanardo e frutto della cuvée speciale del Buttafuoco Storico, seguita dalla 2016. Ogni anno, a partire dal 2011, il Consorzio affida a un enologo scelto appositamente l’assemblaggio di alcune partite di vino atte a divenire l’etichetta ambasciatrice nel mondo del Consorzio Club del Buttafuoco Storico. Questo progetto varia di anno in anno in tema di proporzioni, parametri fissi, scelte di cantina; tutto dipende dal tipo di vendemmia e, ovviamente, dalla sensibilità interpretativa dell’enologo. Durante la cena abbiamo degustato annate ben più datate di Buttafuoco, sino ad arrivare alla 2012; il tempo ha saputo smussare alcol e tannini regalando doti di armonia ed equilibrio, caratteristiche appannaggio solo dei grandi vini.

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Crediti fotografici dell’autore, salvo dove indicato

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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