“Quando a Milano non c’era ancora il tramvai, già si gustava il panettone Baj”. Storia di una rinascita

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Come per gli spaghetti o per la pizza, anche per il panettone è in corso una diatriba per l’attribuzione dell’origine di questo dolce delle feste. È milanese, siciliano, piemontese o campano? Almeno stavolta non si sono registrate rivendicazioni cinesi, come nel caso degli spaghetti. Dagli archivi storici si attesterebbe la presenza di un dolce lievitato con l’uvetta già nel tredicesimo secolo nell’hinterland milanese. Di sicuro, il nome “Panettone” deriverebbe dallo chef Toni, al servizio di Ludovico Il Moro.

Sono molti i dolci della tradizione nati per pura casualità o da errori degli chef, ed è questo il caso del povero Toni, che aveva bruciato il dessert preparato per un banchetto importante del Moro: senza aver nulla da presentare in tavola, si mise a creare un dolce con ingredienti di fortuna come l’uvetta, e da qui ebbe origine la fortunata storia del Pan dei Toni. A fine Ottocento molte pasticcerie storiche milanesi producevano ormai il panettone in grandi quantità, e fra queste c’era la Confetteria Giuseppe Baj, con sede in via Radegonda, direttamente sotto La Madonnina del Duomo.

Giuseppe Baj era un offellajo (come scritto sui documenti dell’epoca) con uno spirito imprenditoriale e una capacità di comunicazione davvero spiccati. Purtroppo, dopo gli anni d’oro caratterizzati anche da un export davvero raro per l’epoca, e dopo la scomparsa del fondatore alla fine degli anni Trenta, la confetteria Baj cessò la sua attività.  Grazie all’intraprendenza del pronipote di Giuseppe, Cesare Baj, e del figlio Tomaso, nel 2016 la storica attività di famiglia riapre. La pasticceria Baj si trova ora in provincia di Como, e grazie alla ricetta originale di Giuseppe è tornata ad essere il marchio di un prestigioso panettone.

Abbiamo intervistato Tomaso Baj per capire quali sono le caratteristiche che hanno reso celebre il dolce meneghino in tutto il mondo.

La ricetta originale del panettone vede un lievitato assai più basso rispetto alle varietà destinate alla grande distribuzione; c’è una differenza nel metodo di preparazione o negli ingredienti?

Tomaso Baj: ”Il panettone “alto” è un’invenzione del Novecento. Il panettone milanese classico è “basso”.”

Baj è un purista del panettone. Cosa ne pensa delle versioni  talmente ricche di creme e ingredienti secondari da far quasi scordare che si tratti di un panettone?

Tomaso Baj: “Di fatto non sono da intendere come “panettone”, ma come dolci derivati, ma diversi. La ricetta del panettone è ben definita, e la qualità finale dipende dalla qualità degli ingredienti, dalle loro proporzioni, dal lievito madre e dalle modalità di lavorazione.”

Ricordiamo, infatti, che l’uvetta e la frutta candita arrivano direttamente dalla riviera di Levante, mentre la vaniglia proveniva, già ai primi del ‘900, dal Madagascar o da Tahiti. Ingredienti genuini ma di elevata qualità, come il burro o il lievito madre, caratterizzano da sempre la produzione Baj.

Nello storico cartellino della confezione del panettone Baj si trova l’indicazione che il dolce può conservarsi integro per diversi mesi, dopo che è stato sfornato.

Renderlo un dolce “da tutti i giorni” significherebbe snaturarne l’essenza?

Tomaso Baj:  “Non necessariamente; in molti Paesi del mondo il panettone è consumato lungo tutto l’arco dell’anno, così come lo era nella Milano dei secoli passati. Da noi oggi è un prodotto stagionalizzatissimo. Non è facile che la gente cambi questa radicata abitudine a consumarlo per le feste natalizie.”

Giuseppe Baj, oltre che sapiente pasticcere, aveva di sicuro un talento per il marketing. Con il panettone Baj venivano regalate delle figurine illustrate da collezionare. Anche le scatole che lo contenevano erano curatissime, con stampe liberty ispirate alla Belle Epoque, riutilizzabili come biscottiere. Che dire poi degli slogan: erano talmente orecchiabili da far impallidire gli strapagati pubblicitari di oggi. Uno dei più celebri era: “ Quando a Milano non c’era ancora il tramvai, già si gustava il panettone Baj”.

“Quanto furono importanti, nell’avventura imprenditoriale del maestro Baj, la réclame e -oggi potremmo dire- il merchandising?”

Tomaso Baj: “Molto importante. Il nostro antenato usò ogni mezzo immaginabile per promuovere la vendita: cataloghi estremamente raffinati, libretti-strenna pubblicati ogni capodanno, pubblicità su riviste e pubblicità “mobile”, con le insegne sui tram, cura maniacale delle confezioni, uso di gadget nei prodotti, uso di testimonial quali Marinetti e Bolza, partecipazione ad esposizioni nazionali e internazionali e ottenimento di prestigiosi premi, accoglienza in pasticceria a un alto livello di qualità di servizio (con anche musiche suonate al piano), adozione immediata di innovazioni, quali l’illuminazione elettrica, apertura di sedi commerciali in altre città (Chiasso e Genova), trasferte commerciali all’estero, anche in Paesi lontani (Russia). Facciamo fatica a immaginare una cura promozionale del prodotto più estesa e raffinata, anche in tutte le produzioni del settore successive.”

Baj ha citato Marinetti e Bolza. Spieghiamo ai lettori come la confetteria di via Radegonda fosse diventata un salotto per scienziati, artisti e letterati, fra cui appunto il fondatore del futurismo Filippo Tommaso Marinetti. La Milano del tempo era in pieno fermento culturale, con il Teatro della Scala appena inaugurato e l’apertura dell’Accademia di Brera.

È possibile nel 2022 ricreare l’atmosfera culturale ed artistica della confetteria Baj, come il classico salotto milanese frequentato da artisti e personaggi di spicco della cultura?

Tomaso Baj: “Certo, e sarebbe quello che Milano, ormai meta top tra le metropoli del mondo, meriterebbe. Non abbiamo la forza di aprire un “Baj store” – per usare un neologismo – in centro a Milano, ma magari unendo le forze con un partner opportuno… Certo non ci interesserebbe aprire una pasticceria come un’altra, seppure usando il nostro marchio storico; un salotto culturale – museo – pasticceria sarebbe quello che rifletterebbe di più la nostra sensibilità, in presenza di libri e strumenti musicali…”

Dal 2016 è “ripartita” l’impresa del Panettone Baj, e probabilmente vi sarete dovuti “scontrare” con una realtà completamente cambiata rispetto all’epopea Baj. Faccio riferimento a regole europee sulla produzione alimentare, il gusto ed i palati moderni molto diversi da quelli di un tempo ma anche esigenze diverse anche più salutistiche. Come avete affrontato questa sfida: una ricetta antica per un mondo nuovo?

Tomaso Baj: “Per fortuna la ricetta classica del panettone si adatta perfettamente alle regolamentazioni moderne. La catena produttiva, dai prodotti originari al panettone finito e confezionato, è oggi sottoposta a regolamentazioni enormemente più stringenti di uno o due secoli fa, sotto il profilo dell’igiene e della sicurezza, ma il prodotto finito non è diverso. Semplicemente è garantito a un elevatissimo livello di igiene e di qualità organolettica.”

Una preparazione slow per un mondo sempre di corsa?

Tomaso Baj: “Il panettone è già il dolce più diffuso al mondo… sia esso fast o slow. La velocità non è nel prodotto, ma nelle nostre menti, nel modo in cui viviamo, e anche nel modo in cui consumiamo panettone.”

Ricordiamo che sia Cesare che Tomaso, prima del 2016, portavano avanti con successo carriere che nulla avevano a che fare con la pasticceria. Mentre Cesare è uno scienziato e progettista di giochi scientifici, Tomaso è un designer della comunicazione. La stima per l’impresa famigliare dell’antenato li ha spinti a studiare insieme a esperti pasticceri l’antica ricetta e a metterla nuovamente in produzione. A differenza degli Alemagna che hanno creato un nuovo brand, i Baj hanno scelto la conservazione del marchio storico.

Avevate pensato anche all’opzione di fondare un nuovo marchio o c’era la ferma volontà di riprendere la storia di famiglia?

Tomaso Baj: “Abbiamo avuto la fortuna – il vero merito è del bisnonno – di ereditare qualcosa che ha una storia e oggi di essere l’unica entità del settore che è ancora nelle mani della famiglia originaria.”

La vostra sede ora è nel comasco, avrete in programma un ritorno a Milano?

Cesare Baj: “Mio padre nel dopoguerra si trasferì a Como per impiantare un’industria tessile, quando l’avventura di suo nonno (Giuseppe) era già finita da mezzo secolo. Io e mio figlio siamo cresciuti a Como, che è comunque una città-satellite di Milano, avendo comunque avuto la fortuna di ereditare lo spirito milanese dalla famiglia. Il ritorno a Milano: solo se si prospettasse un’opportunità come quella già descritta.”

Ancora oggi, oltre al prodotto eccellente, c’è anche un packaging curato nei minimi dettagli. Quanto è importante l’immagine oggi in rapporto all’indubbia eccellenza del prodotto?

Tomaso Baj: “Molto. Oggi i prodotti non si vendono come tali, salvo i più comuni e dozzinali, ma bisogna che raccontino una storia, che trasmettano un’emozione, che facciano sentire chi l’acquista partecipe di un’avventura, sia essa industriale, culturale o di altro tipo. C’è chi tutto ciò lo deve inventare, a volte forzando anche un po’ la mano, ma si sa… nel commercio, in guerra e in amore tutto è concesso. Noi invece ce lo siamo trovati tra le mani già belleffatto. Il compito che abbiamo assolto è stato riscoprire e valorizzare questo patrimonio storico-culturale-industriale. Da ricordare che il bisnonno produceva anche confetteria e cioccolato e importava alcolici da tutto il mondo, di cui aveva un ricchissimo catalogo.”

Avrete anche delle attrezzature storiche, immagino, molto curiose?

Tomaso Baj: “Certo, abbiamo centinaia di “collectibles” originari dell’epoca del bisnonno, confezioni, oggetti, materiale cartaceo di ogni tipo. Purtroppo nulla è rimasto delle attrezzature.”

Infine una domanda che è immancabile per il nostro magazine: con che vino o bollicina abbinereste il Panettone Baj?

Tomaso Baj: “ De gustibus… personalmente vini dolci o liquorosi dolci, ma il campo è apertissimo ad ogni altra scelta, inclusi i consueti Moscato o Champagne.”

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www.panettonebaj.it

Le immagini sono state gentilmente concesse in uso da Baj

 

Elena Pravato

Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato. Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta. Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.

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