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Il Jura e la cultura enologica

A gennaio abbiamo intrapreso un viaggio che ci ha portati prima a Beaune, poi a Chavot-Courcourt presso Èpernay, infine ad Arbois e Poligny nel Jura. Abbiamo così attraversato, in poco meno di quattro giorni, tre delle zone più rinomate e caratteristiche della Francia enoica. Se delle altre due zone si è già parlato su L’AcquaBuona, questa è stata l’occasione per prendere contatto e raccontare un po’ della particolarità e della cultura enoica che accompagna la nomea dei vini del Jura.

Storicamente il Jura ( che ora fa parte della regione Borgogna-Franca Contea), come altri territori della Francia che guardano a est, è zona contesa tra i regni germanici e gallici, e successivamente tra la Francia e la Svizzera; si estende per parte del massiccio del Jura, da cui la regione prende il nome e che, per la sua valenza paleontologica, ha dato la denominazione da un’era geologica: il Giurassico

Il clima è fra i più rigidi di Francia e spesso negli anni si sono registrate temperature molto al disotto dello zero per lunghi periodi nella stagione invernale e alte temperature in estate, ma la presenza quasi quotidiana di temporali estivi, unita alla elevata piovosità ( la più alta della Francia continentale), sono fattori mitiganti. Data la connotazione continentale, il periodo estivo termina precocemente e la zona più fredda della regione si trova al sud, a ridosso delle Alpi svizzere.

La storia enologica della regione nasce sicuramente in età gallo-romana ( Plinio Il Giovane forse ne fa menzione… ) ed è caratterizzata dalla influenza germanica nella prima parte del medioevo, austriaca e spagnola successivamente. Sono però gli ecclesiastici a mantenere in vita la viticoltura come nel resto dell’Europa cristiana, essendo il vino necessario per le celebrazioni liturgiche.

Nel 1774, proprio per caratterizzare e garantire la qualità dei vini della zona, venne stilata una lista di 14 vitigni (“bons plants pour le vins“) che divenne obbligatoria per i produttori e che determinò la scomparsa degli altri vitigni presenti nell’area. Sotto questa spinta, dalla Rivoluzione fino alla fine del 19° secolo, le superfici viticole si ampliano a favore degli ecclesiastici e degli aristocratici. 

All’inizio del Ventesimo secolo, in un mondo del vino dove il meglio si confronta con il peggio, i mezzi per combattere le frodi sono irrisorie. Nel 1902 Alexis Arpin, segretario dell’azienda vitivinicola Arbois, aderisce al sindacato di difesa nazionale della viticoltura. Nel 1906 è lui a consentire ai viticoltori di Arbois di ottenere un certificato di origine che garantisca la provenienza dei vini, proteggendo così il marchio “Vin d’Arbois”. 

Successivamente si costituisce la prima cooperativa di produttori vitivinicoli ad immagine di quelle già presenti nella zona per la produzione dei formaggi Comté. Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale si riconoscono al Jura ben 4 denominazioni  di origine: Arbois, Château-Chalon, L’Étoile e Côtes du Jura, ma dopo il conflitto la situazione si altera, tanto che negli anni ’70 del secolo scorso la superficie viticola rappresentava solo l’8% della superficie agricola della regione. Infatti, se alla fine del 1800 la superficie viticola era stimata in 20.000 ettari, ad oggi si contano nelle AOC regionali circa 2000 ettari! Le cantine rimaste, o rinate dalle ceneri delle precedenti e che rinnovano la tradizione, hanno fatto della qualità il loro obiettivo primario.

La cultura del vino in Jura

Luis Pasteur da Wikipedia

Che la cultura enologica in Francia sia ben distribuita nelle varie aree del paese è cosa nota, ma in Jura abbiamo avuto in passato degli studiosi che hanno veramente lasciato il segno nel mondo enologico e vitivinicolo. Stiamo parlando di Luis Pasteur e di Alexis Millardet: il primo considerato il padre dell’enologia moderna, il secondo inventore di quella poltiglia bordolese che consentì -e consente ancora- la protezione delle vigne dalla peronospora, e colui che avviò gli studi di ibridizzazione delle viti europee con quelle americane, aprendo la via alla realizzazione di ceppi resistenti alla fillossera. 

Ma oltre agli studiosi e agli scienziati, gran parte della cultura enologica viene dalla tradizione e dalla sapienza popolare. La tipologia di vini Jaune o la tradizione dei vins de paille traggono la loro forza dalla attenta osservazione dei fenomeni naturali e dall’ingegno dei viticoltori locali. 

La tradizione dei vini bianchi e rossi ricavati da quei vitigni che oggi sono considerati tipici del Jura origina dalla particolarità dei luoghi e dalla complessa storia del territorio, non a caso la tecnica utilizzata per i vins jaune si avvale della presenza dei lieviti flor, qui riconoscibili nella tipologia voile, che sono anche quelli dello Jerez. Ma la cultura enologica è portata avanti anche nel legame con la natura e il rispetto per l’ambiente: molti produttori ormai sono biologici o biodinamici, in un percorso che, partito negli anni Ottanta del secolo scorso, si è affermato come principale metodo di produzione ; non a caso i due produttori che abbiamo visitato sono entrambi bio.

Le varietà

Le varietà coltivate nel Jura, come abbiamo visto, sono cinque: due bianche e tre rosse. Le bianche sono lo Chardonnay e il Savagnin, che i produttori locali si accertano che non sia confuso con il Sauvignon, vitigno più conosciuto. Lo Chardonnay in queste zone è coltivato dal X secolo, e ha origine nella vicina Borgogna; qui cresce su suoli calcarei e leggeri e dà luogo a vini floreali, fruttati di agrume e pesca e con note spesso di nocciola; la freschezza è il suo patrimonio principale.

Il Savagnin è tipico del Jura. Coltivato preferibilmente sulle marne grigie, matura lentamente ed è il vitigno caratteristico dei vins jaune che si evolvono “sur voile“, originando note complesse di burro, sottobosco, noce, mandorla e spezie. Nella versione non ossidativa, detta “ouillé“, ovvero controllata perché le barrique restino colme, rilascia profumi di limone, minerali e floreali.

Per le varietà a bacca rossa, che rappresentano in totale il 20% circa della produzione complessiva, la più diffusa è il Poulsard, altrimenti detto Ploussard. Predilige terreni forti, argillosi o marnosi, e dà uve non molto colorate da cui nascono vini freschi e fruttati, con colori tenui e non destinati all’invecchiamento.

Altro vitigno della zona è il Trousseau, originario della Franca Contea, un vitigno esigente che richiede suoli leggeri, sassosi e caldi per dare vini speziati che ricordano il pepe bianco, il peperone e i frutti rossi.

L’ultimo è il Pinot noir, che qui si declina in vini molte volte da invecchiamento, con struttura e colore intensi e profumi di ciliegia, e per questo viene utilizzato anche in taglio con gli altri rossi. Cresce in preferenza su suoli ciottolosi e in zone soleggiate, dove può arrivare presto a maturazione.

Le visite

Arrivati in zona ci rechiamo a Chateu d’Arlay per una degustazione. Castello storico della zona, oltre che azienda vitivinicola, è residenza dei principi di Arlay ed è stato edificato nel 1774 sui resti di un precedente convento. Solo la cantina storica rimane come vestigia del convento mentre la struttura, di stile neoclassico, si circonda di un grande giardino romantico che è anch’esso censito per il valore paesaggistico.

L’azienda vitivinicola si compone di oltre 22 ha dislocati tutto intorno al castello. I terreni sono al confine tra la piana della Bresse a ovest e il Revermont a est. I terreni sono marne grigie del Lias, miche calcaree e fossili. I vitigni classici sono tutti rappresentati, ma lo chardonnay e il savagnin coprono la maggior parte dei vigneti. Allo scoccare delle 14,00 ci accoglie nella sala di degustazione e vendita Didier Magadoux, simpatico anfitrione che vanta origini italiane e che ci introduce alla storia dell’azienda. Viticoltura rispettosa del terroir e delle natura, nessun utilizzo di lieviti commerciali, solforosa solo dove strettamente necessario e adesione ai dettami della viticoltura biologica. 

Contrariamente a quanto normalmente si fa in altre zone viticole e in generale nelle degustazioni, qui partiamo dai vini rossi, considerati, forse a ragione, di beva più semplice che non i bianchi. Partiamo con il Cotes du Jura Corail 2017, un coacervo di uve bianche e rosse ( Pulsard, Trousseau, Pinot n., Chardonnay e Savagnin ) figlio di una antica tradizione ormai quasi scomparsa: vino di pronta beva, anche a detta del nostro ospite, destinato a bevute estive e quotidiane.

Il Cotes du Jura Pinot noir 2017 ha colore granato e limpido ed è molto giocato sulla freschezza e sul floreale; di corpo esile, deriva da terreni marnosi intorno al castello. La gamma  dei vini bianchi di distingue tradizionalmente tra le due tipologie “ouillés”  ( detti anche Floraux ) e Traditione. I primi sono in genere prodotti in maggioranza con Chardonnay e sono colmati (Ouiller ) e controllati a occhio ( il verbo ha unaassonanza con oeil, occhio ), i secondi invece, dopo essere stati messi in barrique sono lasciati scolmi per favorire la crescita del lievito flor in superficie, detto “voile“, che fa da riparo al contatto con l’ossigeno ma che produce sostanze odorose e acetaldeide , caratteristiche particolari di questi vini.

Così Didier ci fa assaggiare lo Chardonnay En Treize Vent 2020, un vino che nasce da terreni leggeri e che dimostra come anche in queste zone, complici i cambiamenti climatici, le gradazioni possano salire a 14/15 % Vol. di alcool. Il vino è comunque fresco e fruttato, con note di biancospino e tiglio, e in bocca scorre lineare su sensazioni minerali. 

Passando ai Vins Jaune, tipologia  nata nelle vicinanze del castello, a Chateau – Chalon, assaggiamo il Cotes du Jura Vin Jaune 2006;  il periodo di invecchiamento obbligatorio per questi vini è 6 anni e 3 mesi. Questo particolare calcolo del tempo è legato all’anno lunare e non a quello terrestre.  I vino, 100 % Savagnin,  si mostra di colore giallo dorato fluido, al naso evidenzia già le note caratteristiche della tipologia con chiari rimandi alla noce e al mallo di noce, alle spezie e alla mandorla verde. In bocca si avverte la complessità e la struttura del vino che si espande su note di mela verde, zafferano, frutta secca e curry. La tradizione lo abbina al formaggio locale, il Comté, ma la struttura e il particolare aroma lo vedono potenzialmente abbinato a molti piatti sia francesi che internazionali.

L’ultimo vino che assaggiamo è il Cotes du Jura Vin de Paille 2001. Il vino nasce da uve appassite dei vitigni presenti nella zona sia rossi che bianchi, lasciati a disidratarsi su letti di paglia, nella tradizione locale, oggi su graticci. Dopo tre mesi, quando il contenuto zuccherino è salito al 28/30 %, si procede all’ammostatura attraverso la pressatura; fermenta in legni piccoli per almeno 3 anni. Il vino è denso, di colore ambrato, con un aroma estremamente complesso che spazia dalla frutta secca, al miele di eucalipto, alla arancia candita, le spezie e il sottobosco. In bocca è concentrato, intenso, ampio, con rimandi allo spettro olfattivo e con un equilibrio ammirevole tra zuccheri e acidità.

La signora Christine Villet

La signora Christine Villet

Salutato il simpatico Didier, ci aspetta una visita il giorno successivo alla azienda di Gerard Villet, ad Arbois. E’ da poco nevicato e la visita, concordata per le 9 del mattino in una via che si allunga dal paese alla campagna, inizia con la ricerca dell’azienda che espone solo un cartello sul lato stradale della cantina.
Come detto in precedenza, il vino di Arbois è stato riconosciuto come la prima AOC di Francia. E la storia di questa azienda è legata a questi inizi.

La proprietà è stata sempre nelle mani dei parenti degli attuali conduttori, ed ora ai coniugi Villet si è aggiunto il figlio. In agricoltura biologica dal 1988, quando ancora il biologico era semi sconosciuto, l’azienda, di 5,4 ha totali, coltiva tutte le cinque varietà della AOC e tradizionali della zona e produce una vasta gamma di vini. Ci accoglie, facendoci strada nella piccola ma riscaldata sala di degustazione, la signora Christine, consorte del proprietario. La simpatica signora ha compreso che abbiamo una certa esperienza del vino e della lingua, e si avvia spedita alla descrizione dei suoi diversi vini.

Dei vini rossi degno di menzione un convincente e particolare Arbois Trousseau 2021, che si contraddistingue per l’aroma speziato di pepe verde, menta e frutti rossi ( cassis), e in bocca per una struttura e una freschezza intriganti. La nostra ospite ci fa la storia di questo vino raro e difficile da coltivare e vinificare: il Trousseau , secondo tradizione, deve essere vinificato dopo che la rugiada autunnale ha bagnato i grappoli. L’annata 2021 in zona fu secca fino alla fine di settembre e molti viticoltori locali raccolsero l’uva temendo la tignola e la botrite. In azienda invece si decise di attendere e all’arrivo delle rugiade d’ottobre si è proceduto alla raccolta. Il vino, se pur poco, ha soddisfatto i requisiti aziendali di qualità e tipicità e ci ha consentito di assaggiare un prodotto integro e caratteristico.

In verità, nella presentazione dei suoi vini, la signora Christine è sempre molto chiara: indipendente dal tipo di conduzione agricola ( biologica, biodinamica ecc.), è la qualità che deve essere l’obiettivo. Così assaggiamo gli altri vini, tra cui segnaliamo per tipicità e qualità il  Arbois Savagnin Typé 2019, un Savagnin  voile che esprime con eleganza e autorevolezza la tipologia ossidativa di questi vini. Il vitigno qui si fonde bene con la tipologia ed esprime aromi complessi di fiori di acacia, noce , mandorla verde, spezie e sottobosco, in bocca vince in freschezza e mineralità, oltre che per una ampia sensazione di corpo e persistenza. Ottimo vino.

L’Arbois Vin Jaune ha data 2015, praticamente l’ultima annata, ma si riconosce lo stile aziendale e ls ricerca del dettaglio nella finezza aromatica e nella consistenza quasi tattile della trama gustativa. Soavi sentori di nocciola si stagliano oltre la noce e le spezie, a impreziosire, una nota di tartufo nel finale. 

Passiamo all’Arbois Vin de Paille 2018. Rispetto al precedente vino assaggiato a Chateau d’Arlay siamo di fronte ad un vino ancora giovane, ma già impostato su note fragranti di miele e frutta secca, oltre che sun una bella nota di zafferano e agrumi. Bocca dolce ma non stucchevole, con bella presenza acida di sottofondo che sostiene una lunga persistenza.

L’altro prodotto simbolo è il Macvin, un mosto mutizzato con Marc (distillato di vinacce) della zona e invecchiato almeno 12 mesi in legno. La versione di Gerad Villet conserva i sentori dell’uva e del sole in una calda sensazione donata dall’alcol aggiunto, che viene distillato a gradazione alcolica di 60/70 gradi per conservare gli aromi della vinaccia.

Si conclude qui la nostra esperienza nel Jura, che ci ha regalato sensazioni e incontri importanti per comprendere la cultura e la tradizione di questa zona della Francia che molto ha ancora da raccontare.

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