I brutti quadri appesi alle pareti di molti ristoranti, pizzerie, osterie costituiscono un topos consolidato, e sono da sempre oggetto di perculatio di varia qualità: si va dall’autore celebre che scrive in punta di penna stroncature raffinate (Arbasino, Monelli) a più ruvide e volgari recensioni su Tripadvisor.
Le cosiddette croste che affliggono la vista del cliente sono nella grande maggioranza nature morte a tema gastronomico, pagliacci tristi, vedute marine con qualche rozza barca a vele spiegate, tramonti.
Non mancano ritratti di pora nonna, gatti con gomitoli, gondole.
Una categoria dello spirito direttamente imparentata con le croste da locale pubblico è costituita dalle etichette brutte delle bottiglie di vino.
In questo ambito la fantasia del grafico incapace – e più spesso del committente dai dubbi gusti estetici – trova anzi un’ampiezza di esiti infelici molto maggiore. Personalmente – in oltre trent’anni di attività stappatoria – ho visto etichette sulle quali il tacere è bello, altre da denuncia alla corte dei diritti dell’uomo (e del bevitore), altre ridicole al punto di spruzzare di vino i commensali per le risa, dopo l’arrivo della boccia a tavola.
La ricorrenza statistica vuole che a etichette sgraziate corrispondano vini mediocri. Difficile sfuggire a tale legge non scritta. La Riserva della Guarnigione Ussara 2015 – oro e nero, con stemmi nobiliari, ufficiali in grande uniforme e motto latino in bella vista – annuncia di solito un rosso pachidermico, dai tannini di ghisa e dal grado alcolico incendiario. Le rare eccezioni creano una piacevole contraddizione tra l’etichetta indubbiamente poco riuscita e un liquido buono o eccellente: succede di rado, ma succede.
A me è capitato alcuni giorni fa, insieme ad amici e sodali alterati, con una bottiglia di Bardolino, il Montebaldo Eocene Bigagnoli (“Bigagnoli organic wines”) del 2020; 2020 se ben ricordo: non ho più la pignoleria notarile di quando facevo guide dei vini, bevo e basta. Un rosso preannunciato da un’etichetta piuttosto velleitaria, sfrangiata ai bordi, intimidatoriamente dorata nella sua superficie maggiore; ma un rosso di qualità davvero notevole.
Deliziosamente profumato, leggero ma non acquoso, anzi di una sua tenacia tattile e gustativa, ricamato nei tannini, succoso nel frutto, aggraziato nel finale. Insomma, un rosso buonissimo. In questi casi dell’etichetta uno se ne può allegramente fregare.
E noi ce ne siamo fregati.
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