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Si può trovare qualcosa di nuovo in un bianco?

Si può trovare qualcosa di nuovo in un bianco che l’appassionato non abbia già provato e riprovato, registrato, dato per assodato?
Pare difficile, ma vale la pena di cercare. Scrive in proposito Michel Bettane:

I bianchi, così come li conosciamo, sono molto più antichi dei rossi, dove la rivoluzione della bottiglia e ‘l’allumette hollandaise’ (lo stoppino di zolfo per sterilizzare le botti) hanno reso possibile la produzione di vini da invecchiamento, ma dopo il 1750. Anche a Bordeaux, meno di cinquant’anni fa, si producevano ancora molti più bianchi che rossi. Infine, e soprattutto, il vino bianco deriva dalla fermentazione esclusiva del succo d’uva, che è bianco da tutti i nostri vitigni nobili, anche dalle uve rosse. Il bianco non può giocare che sulla purezza del sapore e sulla qualità di ciò che esce dalla pressa. Non si può rimediare con espedienti enologici o con l’aiuto di bucce e vinaccioli, è il succo che comanda”.

Non solo:

Il succo esprime più precisamente la natura del suolo, il carattere del luogo e i geni del vitigno o dei vitigni che lo hanno generato, più o meno trascesi dall’esattezza della maturazione”.

Se tutto questo è vero, e lo è, il bevitore di vini conosce o dovrebbe conoscere molti più bianchi di qualità che rossi.  Quindi è abituato o dovrebbe essere abituato da tempo alle diverse palette aromatiche dei bianchi. Quando quindi un bianco ti spiazza e ti affascina con un repertorio di profumi del tutto inedito, o quasi, è un giorno da ricordare.

A me è capitato qualche settimana fa mettendo le narici in un bicchiere di Premno Tatsis, un vino greco dalla nordica regione della Macedonia. Da uve malagouzia, roditis, assyrtiko, più chardonnay (che vengono vinificate separatamente e poi assemblate), propone un ventaglio olfattivo davvero sorprendente. Qui devo far partire lo stucchevole trenino delle analogie, una tecnica descrittiva che detesto, ma che in questo contesto non è aggirabile. Esordisce con una zaffata di bergamotto, eucalipto e  menta, una specie di mitragliata balsamica per mettere subito le cose in chiaro. La volatile è evidente, ma non invasiva né tantomeno bruciante. Segue una rutilante parata di altri aromi, dalle erbe officinali alla gariga, con robusti inserti di frutta di ogni genere e colore. Scritto così, mi rendo conto, sembra il resoconto di una specie di carnevale di Rio privo di coerenza. E invece questa stordente varietà di sentori non restituisce una cacofonia, ma un insieme di suoni olfattivi e gustativi compatto e armonioso.
Davvero bizzarro e inatteso, piacevolissimo per me, che reggo quote di volatile non enormi ma neppure minime.
E costa pure poco, eh.

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