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Presentato a Roma
lAppello sul vino, il mercato e lenologia del terzo
millennio
Innovazione e competitività, il mondo del vino chiede meno chiusure ideologiche per non soccombere di Fabio Ciarla ![]() I tecnici, e forse nemmeno tutti, avranno capito subito il messaggio principale del testo che è già stato sottoscritto da numerosi importanti nomi del settore, ma per chi è meno addentro in certi discorsi pensiamo di poter sintetizzare lappello in un richiamo alla ragione e alla praticità. Enologi e imprenditori in prima fila, ma anche giornalisti, allunisono lanciano un grido dallarme sullinfelice connubio di una legislazione ormai superata con le sirene di un fantomatico ritorno al naturale, fattori che, uniti, rappresentano un serio pericolo allo sviluppo del settore con il rischio di vedere i prodotti tricolori diventare sempre meno competitivi sul mercato mondiale. Alcuni tra i più importanti esperti del mondo vitivinicolo italiano si sono trovati daccordo sullaprire un dibattito, prevenendo forse lesplosione delle maggiori difficoltà, chiedendo meno lacci alla ricerca e alladozione di tecniche davanguardia, dalla vinificazione al packaging, per non essere tagliati fuori da un mercato che non era minimamente pensabile quaranta anni fa quando, tanto per capirci e per fare un esempio pratico, sono stati realizzati i disciplinari delle DOC storiche. E allora entriamo nel dettaglio, usando le parole dei promotori dellevento e dando ove possibile una lettura critica, nel senso di non pedissequamente ripetitiva degli obiettivi e delle modalità con cui è stato redatto lAppello sul vino, il mercato e lenologia del terzo millennio. GLI INTERVENTI DEI PROTAGONISTI ![]() Piero Mastroberardino (produttore) Il produttore campano si è fatto subito carico del compito di introdurre i presenti al senso profondo dellappello: I nostri sono argomenti scomodi anche perché ora parlano di vino davvero tutti, compresi politici e associazioni di ogni tipo le cui finalità non sempre sono chiare. La trasversalità del vino come simbolo culturale rappresenta purtroppo anche una sua debolezza, in quanto può essere oggetto di strumentalizzazioni per raggiungere obiettivi di parte. Ormai è necessario essere competitivi sul piano internazionale e questo non sembra sia chiaro a molti. Anche quando il vino viene tirato in ballo da campagne antialcoliche o sulle stragi del sabato sera, senza chiarire che in quelle occasioni di solito sono sostanze illegali ad avere la responsabilità di tante vittime, bisognerebbe fare attenzione a non agire sullonda emotiva. Una riflessione sulla comunicazione quella proposta da Piero Mastroberardino, che non si è tirato indietro dal dare un corpo reale a quei temi scomodi di cui aveva accennato in apertura, scendendo poi ancor più nel particolare: Il tema dellappello non è tecnica in eccesso e allontanamento delle origini ma vogliamo una normativa che ci permetta di crescere potendo contare su basi imprenditoriali vere oltre che sui concetti di storia e arte che, da soli, non fanno una bottiglia di vino. Andrea Sartori (produttore) Dobbiamo essere più orientati al mercato, chiediamo la collaborazione politica nazionale ed europea per non rimanere fuori dal commercio internazionale. Per fare un esempio potrei citare il Nord Europa, dove il 50% del vino viene venduto nelle baging box, da noi non si può fare e quindi per lItalia quella fetta di mercato rimane sistematicamente esclusa. I disciplinari in vigore sono rigidi e confusi, bloccano il marketing di un settore dellagroalimentare che è il fiore allocchiello del made in Italy, come dimostra lessere tornati i primi esportatori di vino negli USA con 18 milioni di ettolitri nel 2006 per un valore di circa 3 miliardi di euro. Sono preoccupato per laria proibizionistica che si respira ultimamente. Filippo Mazzei (produttore) Noi lavoriamo sul territorio, allestero si lavora sul brand nel senso di marchio che comprende il territorio e il marketing del territorio. I risultati si ottengono con la ricerca ma in Italia lanello debole sono le Denominazioni, sono troppe e presenti anche in zone dove non esistono aziende. I disciplinari spesso sono stati adottati solo per dare un tono alla produzione e così ci siamo ritrovati con Doc vecchie, scritte male, impossibili da rispettare, non adatte ai tempi e allevoluzione tecnologica e che vanno contro il marketing. Qualcuno addirittura medita di uscire dalle Doc per potersi confrontare con il mercato ma poi vengono a mancare quelle sinergie che spesso sono fondamentali per le aziende. Non vogliamo abbandonare i vitigni autoctoni e le tradizioni, non è questo il rischio e i fatti dimostrano che non è questo quello che è successo in questi anni. Stefano Campatelli (direttore del Consorzio Brunello di Montalcino) - La posizione del direttore di un Consorzio, tra laltro così prestigioso, ha portato Campatelli a curare con attenzione soprattutto laspetto legato a chi consuma vino: Sono felice di essere qui oggi per confermare che se si parla di innovazione diciamo si e se si parla di sperimentazione diciamo forse, ma sempre tenendo presente che dobbiamo essere chiari con i consumatori su cosa proponiamo loro. Vittorio Fiore (enologo) Da tecnico, da persona pratica e abituata a non fare troppi giri di parole, Vittorio Fiore allultimo degli interventi programmati ha dato la sferzata finale e chiarito definitivamente i contorni dellappello. E evidente che cè un problema di comunicazione, in Europa sono entrati mondi e consumatori nuovi facilmente influenzabili, con laccenno allallargamento dellUE Fiore ha voluto far capire che spingere genericamente sul romanticismo, sulla letteratura legati al vino senza unadeguata e solida base scientifica può essere un danno anche a livello di immagine per lestero, dove si potrebbe scegliere la strada del blocco totale di qualsiasi innovazione tecnica preferendo le belle parole alla qualità. Le Doc sono entrate in vigore negli anni '60 ha continuato Fiore - ma non erano minimamente vicine alle esigenze di crescita del vino. In Francia il pragmatismo è la regola, ad esempio nel disciplinare del Bordeaux sono indicati 14 vitigni ma senza indicare in che percentuali essi vanno utilizzati dando spazio alle varie aziende per creare prodotti con caratteristiche diverse e riconoscibili. Ci vogliono poche regole, chiare e semplici e non come è ora con una legislazione che si regge sulla positività della legge, ovvero le norme ci dicono tutto quello che possiamo fare mentre tutto il resto è vietato. Compresi quegli aspetti dimenticati o non esplicitati purtroppo, lasciando il solito spazio alle interpretazioni che tanto piace al sistema giuridico del nostro Paese, una situazione francamente assurda. Fiore ha poi toccato un nervo scoperto di quei problemi di comunicazione dei quali si era fatto portavoce fin dallinizio: Parliamo dei trucioli. Io i trucioli nel 1964 li ho trovati nella cantina dove ho iniziato a lavorare, venivano utilizzati al posto degli attuali filtri meccanici con ottimi risultati. Davano stabilità e brillantezza e nessun problema di sanità del vino. Sui trucioli si è fatto dello scandalismo basato sullignoranza. La parola, dopo lintervento di un ricercatore che ha chiarito come lutilizzo delle schegge di legno sia stato scientificamente provato come privo di rischi per la salute, è tornata a Gabbrielli che ha definito la vicenda e le polemiche sui trucioli come Il peggior esempio di come si possa condurre un confronto su una questione marginale tirando in ballo emergenze sanitarie basandosi per di più su lacune storiche. IL DIBATTITO LE CITTA DEL VINO Allinizio dellappuntamento Gabbrielli aveva letto alcuni messaggi arrivati in sottoscrizione dellappello, lultimo dei quali portava la firma dellassociazione Città del Vino. A tal proposito dalla platea un giornalista del Corriere Vinicolo ha sollevato una critica a questa adesione, identificando il sodalizio come uno di quelli che maggiormente hanno lottato in passato per bloccare le innovazioni tecnologiche. Un rappresentante delle Città del Vino, presente a titolo personale, si è fatto ambasciatore della richiesta di chiarimenti mentre Gabbrielli ha voluto intelligentemente leggere, in questa imprevista adesione, il segnale dellapertura di un dialogo che non potrà che far bene al mondo del vino. ANALISI e RIFLESSIONI A fronte di un preoccupante atteggiamento di chiusura nei confronti dell'evoluzione della scienza enologica e dei mezzi che essa mette a disposizione, imprenditori, enologi, agronomi e giornalisti hanno sottoscritto un appello per la libertà di ricerca e per sostenere lazione delle nostre aziende in termini di mercato, qualità e competitività internazionale, questo il passaggio più chiaro dellappello che, tuttavia, non usa un termine specifico preferendo la generalità dei concetti. Noi invece, e lo abbiamo detto anche nellincontro di Roma, avremmo preferito si nominassero direttamente le questioni fondamentali: Doc da rinnovare e marketing da liberare. Sembrano in effetti questi i due punti fondamentali del discorso, ovvero liberare le aziende da un complesso monumentale di norme che dicono solo quello che si può fare, quando sarebbe più facile vietare le cose non consentite, e lasciarle libere di sperimentare soluzioni di mercato più adeguate ai tempi. Rimanendo sempre chiari, come ha sottolineato giustamente Campatelli, nella proposta ai consumatori. Non è facile andare oltre nellenumerare soluzioni pratiche, daltronde questo è il compito dei tecnici che forse avrebbero dovuto pretendere di vederne scritti di più nel testo dellappello, ma sicuramente parlare di problemi di comunicazione e presentare un documento così vago sembra un controsenso. Certo la prudenza è necessaria, andare allo scontro frontale con un movimento di opinione che sembra voler precludere qualsiasi innovazione tecnologica, fossilizzando il mondo italiano del vino su una serie di regole antiche e superate, non è proprio cosa semplice. Tuttavia vedendo i nomi dei firmatari, che rappresentano i più alti livelli dellenologia italiana ma anche il mondo del giornalismo e della ricerca scientifica, si poteva sperare anche in qualcosa di più. Consci del fatto che si sarebbe andati a toccare temi scomodi tanto valeva completare lopera e chiamare le cose con il loro nome. Quanti avrebbero potuto accusare i firmatari dellAppello di voler supportare interessi di parte o di dimenticare le tradizioni del Bel Paese, senza dover ricordare quanto gli stessi firmatari hanno fatto per il successo dellenologia italiana nel mondo? Lappello è condivisibile in molte sue parti proprio perché va a contrastare alcune storture che il senso comune, la comunicazione spicciola intorno al vino hanno creato, proponendo da un lato come unico parametro di valutazione un vago ritorno alle origini e un blocco delle innovazioni, e anteponendo dallaltro i concetti culturali di storia o di arte a quelli scientifici di qualità e sanità che devono contraddistinguere tutte le produzioni agroalimentari. Rimane in piedi la questione della tipicità e del valore autoctono che un vino deve rappresentare, questioni che in effetti non vanno trascurate e che sembrano rappresentare lunica via per il successo dei vini in un mercato sempre più affollato. Cè da immaginare dunque che lappello presentato a Roma non voglia dimenticare questo indubbio vantaggio strategico del vino italiano, che ha un plusvalore storico e culturale di cui solo i cugini francesi sono dotati, perché in quel caso saremmo i primi a parlare di tragico errore. La chiave di un rinnovato successo dellenologia italiana potrebbe dunque passare per lunione della bellezza delle colline toscane o del fascino delle Langhe (e non ce ne voglia tutto il resto dellItalia, si tratta pur sempre di un esempio) con un vino di alta qualità, che non dimentica i vitigni autoctoni e i gusti storici della sua provenienza pur essendo magari chiuso con un tappo di silicone. Non schiavi del mercato dunque, ma consapevoli che a volte solo i grandi possono permettersi di prescindere completamente delle sue regole. Anche nel futuro infatti continueremo probabilmente a chiedere un rosso invecchiato col tappo di sughero per le grandi occasioni, senza tuttavia doverci inferocire a casa quando, aprendo un bianco aromatico, ci accorgiamo di un evidente gusto di tappo che ci lascia a bocca asciutta. Nelle immagini: - da sinistra a destra: Vittorio Fiore, Piero Mastroberardino, Andrea Gabbrielli, Andrea Sartori, Filippo Mazzei, Stefano Campatelli - Vittorio Fiore 16 maggio 2007 |
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