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Sirah: mistero di un nome, fascino di un
vino
Un'occasione, l'ennesima, per chiacchierare di vino. Che poi è
parlare di storia geografia costume terra uomini donne vita se stessi
eccetera eccetera: questo il fascino vero, che ti porta a chiacchierar
di nuovo.
Protagonista il sirah, più sinteticamente 6 sirah italiani della
nuova e nuovissima leva, messi a confronto - bonario si intende - con
un classico dell'enologia transalpina, proveniente direttamente dalla
Côte du Rhone. Con molta modestia ed altrettanta partecipazione
mi son lanciato nella presentazione cercando di racchiudere dei fatti
e delle sensazioni nello spazio di un breve discorso. In quel discorso,
spero, un senso, una prospettiva ed un richiamo che vada oltre la storia
ed il tempo che è passato, i fatti e le evidenze. A quel discorso
"lascio la parola".
Seguiranno - logico- 7 piccoli spunti, 7 piccole emozioni raccontate-
sempre troppo breve e rapida la penna!- suscitatemi dagli alfieri liquidi
di terroir di quella sera i cui nomi cominciano ad essere riveriti e riconosciuti
ovunque. Tra i ricordi, oltre naturalmente per qualcuno di quei vini,
veramente fulgido nella intrinseca bellezza, ne conservo uno - piccolo
ma sincero - dedicato ad una fontina d'alpeggio valdostana, ricercata
nel luogo d'origine da una signora caparbia e gentile, la Elda di Aymaville,
conservata amabilmente e portata in terra di Toscana.
È servita in modo mirabile da compendio ed arricchimento per un
risotto alle verdure, variegato d'aromi e di umori, che ha aperto alla
grande la serata culinaria d'accompagnamento ai vini, quale caldo preludio
ad un lungo momento di gioviale e partecipata complicità emozionale.
È stato così che, sia pur in un luogo solo, sono stati sfiorati
luoghi differenti, dalla Toscana costiera e profonda ai dolci panorami
rodaniani, dalla opulenta e calda South Australia al Gran Paradiso. Così,
tac, d'un botto. Ancor più forte il desiderio di percorrerli. Uno
alla volta per carità.
Il discorso
Continuiamo stasera, grazie alla vitalità e alla convinzione della
condotta slow food Valdera e degli uomini e le donne del Cavatappi, la
panoramica enoica sui vini da monovitigno, da monovitigno forte però,
da blasone come suol dirsi. Tra questi, oggi più che mai, non poteva
mancare il sirah. Abbiamo parlato e discusso a suo tempo di onda lunga
"cabernettizzante" - che ha cominciato a ingrossarsi a partire
dai primi anni 80, ed ancor'oggi è lì che schiuma -; abbiamo
parlato poi del fenomeno merlot, databile dai primi 90; adesso non possiamo
esimerci dal contemplare un fenomeno nuovo, dal nome fascinoso e misterioso
insieme, sirah, che attualmente rappresenta forse la frontiera enologica
più chiacchierata, più trendy, più alla moda, capace
di suscitare forti interessi di ampelografi, enologi e compagnia cantante
e di accrescere così schiere di appassionati da ogni dove.
Che cosa si muove sotto questo fenomeno? E cosa mi vuol rappresentare
la via italiana al sirah, se di via italiana si può parlare?
Come sempre, prima di addentrarci in considerazioni - anche soggettive-
di mercato, tendenza e costume, è bene precisare un po di
storia e di geografia.
Intanto in questo caso al fascino indiscreto di un nome, musicalmente
molto bello, accorre ad alimentare il mito il mistero delle origini. Controversa
infatti è l'origine di quest'uva: c'è chi ritiene provenga
dalla Persia, in cui esiste una città chiamata Shiraz (ancor'oggi
l'accezione australiana del vitigno) per essere poi stata importata in
Europa dai crociati; c'è chi la vorrebbe originaria di Siracusa,
nella cui campagna tra l'altro è tornata da poco.
Bello, istruttivo e affascinante è pensare che questo nome ha un
significato nobile e profondo presso alcune popolazioni nomadi presenti
in tutta la fascia Saheliana dell'Africa: si dice sirah di persona generosa,
coraggiosa, affidabile e responsabile, e di fatto significa anzianità.
In più, è il nome che in quelle popolazioni si dà
ai primogeniti, sia maschi che femmine.
Ancora, Sirah è il nome di una stella... insomma, chi più
ne ha più ne metta: l'unica cosa certa, ai giorni nostri, è
la patria putativa che ha fatto conoscere il vino sirah al mondo intero:
la Côte du Rhone francese, ovvero quella striscia verde di terra
collinare che contorna letteralmente i fianchi del grande fiume Rodano
, nel suo tratto compreso tra Valence a sud e Vienne (città romanica
di cui già Plinio Il Giovane ne celebrava le vigne) a nord.
Lì sono nati i primi grandi, veri sirah, che assumono ancor oggi
i nomi delle storiche appellations comunales: Hermitage, Crozes-Hermitage,
St Joseph, Cornas, Côte-Rôtie, nell'ordine procedendo da sud
a nord. Da lì ci proviene l'archetipo del vino sirah, da una dimora
caratterizzata da un estensione collinare prevalentemente esposta a Sud
o a sud est lungo le anse sinuose del Rodano e da un microclima favorito
da estati calde e temperature miti, da pendenze collinari evidenti (nei
territori più vocati), tali da favorire appieno l'insolazione dei
grappoli, che abbisognano di per sé di una buona luminosità,
infine dai suoli, di matrice granitica e scistosa, a cui si uniscono dei
terreni variati che fanno la peculiarità dei vini del Rodano, tradizionalmente
elaborati come cuvée di uve derivanti da appezzamenti diversi caratterizzati
guarda un po da terreni differenti, a ricercare quella costante
-tutta francese- dell'equilibrio, del bilanciamento, dell'armonia.
Ecco che per esempio nella Côte Rôtie - da cui proviene il
campione di stasera - ci stanno due colline principali, la Côte
Brune e la Côte Blonde, la prima caratterizzata da terreni argillosi,
con grande contenuto in ossido di ferro, l'altra da terreni silico-calcarei,
figli dei depositi di origine glaciale. Ebbene la prima è in grado
di dare vini di corpo e di struttura, di corredo tannico importante e
sostanzioso, la seconda di dare aerea eleganza, elettiva aromaticità.
Ecco che per esempio il Côte Rotie di Chapoutier presente stasera
è caratterizzato dal fatto di unire sirah della Côte Brune
e della Côte Blonde. Di per sé poi, costituendo la Côte
Rôtie la parte più settentrionale dell'appellation, i suoi
vini rappresentano senz'altro la faccia più elegante, raffinata
dell'espressione "rodaniana", di contro c'è la ricchezza,
la complessità, la struttura dei blasonati Hermitage.
Tratteggiare quindi le caratteristiche di un vino del Rodano, in generale,
senza rispettare le peculiarità che gli derivano dai singoli terroirs,
non è cosa facile, ma si può tentare. Ebbene, pensare ad
un sirah del Rodano oggi significa a parer mio pensare alla sirah, a qualcosa
che sia femmina perché forse in nessun altro vino come nel sirah
si respira quella sana, odorosa, materiale, animale sensualità
che ti mostra d'impatto ma anche negli anfratti più intimi, per
via del fascinoso corredo aromatico, per via della avvolgente tessitura
tannica.
I rodaniani, e vi parlo dei rodaniani più blasonati - Hermitage
e Côte Rôtie per intenderci - sono vini dal colore sentito
e acceso, finanche cupo e violaceo in gioventù, a cui corrispondono
aromi particolari e singolari, costituiti da una dominante speziata intrigante
e caratteristica ( si va dal pepe verde al chiodo di garofano, dal seme
di finocchio al pepe nero, alle spezie orientali), da una sostanza fruttata
indubitabile e marcata, vero e proprio tappeto di frutti del bosco, tradizionalmente
lampone, oppure ribes, oppure mora di rovo come negli Hermitage, da un
umore erbaceo che si fa d'erba aromatica nei grandi Côte-Rôtie
(leggi di rosmarino o timo) o che vira spesso e volentieri in sentori
cuoiosi e di pellame, dai singolari rintocchi di violetta - ancora nei
Côte-Rôtie - alla costante della china, all'elettività
dell'oliva nera fino ai celeberrimi terziari degli Hermitage: grafite,
fumo, canna di fucile (pierre à fusil), che richiamano l'origine
granitica di quei suoli.
Ma quali sono le peculiarità di quest'uva che si possono tramutare
in vino?
Ebbene trattasi di uva vigorosa, che predilige luminosità e terreni
particolari per maturare ottimi vini in quanto che, come uva vigorosa,
maggiore equilibrio e migliore qualità se ne potranno trarre se
le sue radici si affanneranno a ricercare nutrimento in terreni magri,
con poco scheletro. Per genetica sua propria inoltre quest'uva dal chicco
piccolo e pruinoso, dalla buccia che pericolosamente si assottiglia in
epoca vendemmiale - momento topico per il vino che ne verrà- ci
mette una sincera e spiccata propensione per quanto riguarda il corredo
polifenolico, tannico ed antocianico, con grosse capacità di maturare
tannini importanti ma morbidi e veicolare colori marcati e carichi, a
cui si unisce la particolarità forse più riconosciuta, quella
dominante aromatica speziata che intriga e coinvolge, che diventa complessa
ed esplosiva se unita per esempio agli aromi apportati da certi carati.
Di fatto il terzo polo più importante di Francia, se mi parli di
vini rossi, dopo Bordeaux e Borgogna, la Côte du Rhone ha conosciuto
una vera e propria rivalutazione "culturale" e commerciale a
partire dagli anni 90, proprio con il crescere dell'interesse internazionale
verso i vini elaborati da uve sirah. A questo indubitabilmente hanno contribuito
una certa stampa ed una certa opinione qualificata extracontinentale (che
in questi fatti- purtroppo o per fortuna- può dettar legge) la
quale, pompando sull'acceleratore del duopolio cabernet-chardonnay, ha
integrato via via tutto ciò che di varietal ci poteva essere, non
ultimo il sirah.
Ancor oggi il consumatore di vino straniero, anche europeo, percepisce
la qualità scissa dal territorio di origine e la identifica maggiormente
con l'etichetta e con il nome dell'uva, e questo come modo di pensare
tipico di chi per tradizione non conosce il vino (perché la sua
terra fondamentalmente ne è priva) e non sente il legame intimo
e indissolubile con la propria terra, ineludibile se solo pensiamo alla
Toscana e al nome dei vini più importanti, che sono anche nomi
di territorio.
Ecco che in Côte du Rhone ad una certa generalizzata stagnazione
di mercato negli anni 80, che non ha risparmiato per esempio maisons storiche
come la Chapoutier, ha fatto seguito una ventata di interesse così
forte a partire dai primi 90 tal da rinvigorire non solo il mercato ma
anche gli estri e la determinazione dei suoi vignaioli. Per esempio, rispetto
alla tradizione del Rodano, adesso è più sentita la tendenza
di fare raccolte parcellari, alla borgognona, ciò che ha comportato
una più marcata differenziazione di stili e di terroirs ma anche
una più marcata ascesa dei prezzi, in quanto solitamente accompagnate
da produzioni limitate, che non sono in grado soddisfare la crescente
domanda.
Non possiamo negare però che alla spinta e allinteresse verso
questi vini abbia contribuito un paese del nuovo mondo, che è stato
in grado di attrarre, anche grazie ai suoi sirah, l'attenzione di enologi
e di produttori da ogni dove, tanto che oggi per molti estimatori quel
paese è la nuova frontiera del vino, la nuova Enotria del XXI secolo:
mi riferisco all'Australia. Intanto dobbiamo dire che i grandi vini sirah
della sua parte meridionale, la mitica Barossa Valley, sono nati in tempi
men che sospetti, in un periodo in cui la vitivinicoltura in Australia
era lavoro (hobby) di pochi.
Parlo di quarant'anni fa, quando coloro che ancor oggi rappresentano la
punta di diamante della produzione australiana, Hensckhe e Penfold's,
crearono i loro gioielli, dall'Hill of Grace al Grange Hermitage.
Ovviamente diversa per terreni e microclima (calura e siccità non
mancano) rispetto alle mitigate valli rodaniane, qui pare che la sirah
abbia trovato un'altra elettiva dimora, capace com'è di tramutarsi
in vini sostanzialmente differenti dai raffinati Côtes du Rhone
ma oltremodo caratterizzati: estremi, concentratissimi, carichi, esplosivi,
da irretire quasi il degustatore. Con grande sorpresa dei francesi lì
dimoravano e vi dimorano ancora delle piante di 130 anni di età
che ospitano cloni di sirah pre-fillossera, tra l'altro più spargoli
rispetto alle varietà presenti oggi in Francia (evidente vantaggio
vista la vulnerabilità di quest'uva alle muffe grigie e agli acari)
importati a quei tempi là e che grazie ai favori del clima australiano,
che non è attaccato dalla fillossera, si sono potute conservare.
Quei climi e quelle uve consentono oggi maturazioni spinte al massimo
nel vigneto per ottenerne vini iper-concentrati e iper-fruttati, di cospicua
gradazione alcolica, a parer mio anche difficili da approcciare, senza
dubbio con grandi possibilità di longevità. Rappresentano
oggi l'altro paletto stilistico, il contraltare dei sirah alla francese,
con cui il mondo ha da confrontarsi, Italia compresa, se mi si vuol percorrere
una via italiana al sirah.
E a tal proposito, l'Italia poteva restar fuori da questa "competizione"?
Certo che no, anche se stando ai numeri la dimensione sirah in Italia
conta forse duecento ettari di vigneto, esplosi letteralmente nell'ultimo
decennio, presenti in minima parte dall'inizio del secolo scorso, soprattutto
in Toscana e Lazio (pensate ancora una volta a Montecarlo di Lucca). In
Toscana l'introduzione dell'ultim'ora è legata senza dubbio alla
pratica del miglioramento del vino, ciò grazie come visto alle
particolari caratteristiche del sirah ( polifenoli, colore), cioè
ha avuto lo stesso senso, con numeri più ridotti ma lo stesso senso,
delle uve cabernet prima e merlot poi.
Però, nei sei vini toscani qui presenti, si può leggere
la differente filosofia che agita la via del sirah italiano in purezza,
toscano in particolare.
Vi sono vini di aziende celebri, di territori celebri, dove radicata è
la tradizione, dove radicato è il blasone dei vini: penso a Montalcino,
penso al Chianti Classico: Poggio Al Sole, Fontodi, Castello Banfi...
Ebbene questi vini sono un po dei vins de garage, prove di forza
da terroir potenzialmente eclettici, elettivi divertissiments.
Queste aziende non devono vendere il sirah ma devono qualificare al massimo
i vini bandiera del loro territorio che sono i Chianti Classico, i Brunello.
Poi ci sono le altre, nate e cresciute in territori non baciati dalla
stessa fortuna del Chianti o di Montalcino, in cui la cantina - spesso
emergente - ha ricercato la strada del successo tirando fuori dal cappello
il vino varietale: la Villa Pillo di Gambassi Terme, che ancor oggi ha
nel sirah il vino aziendale più rappresentativo, anche commercialmente,
la D'Alessandro di Cortona, dove fino a poco fa non c'era neanche una
doc; la Fattoria Varramista di Mercatale Val D'Arno, che stasera gioca
in casa, in cui il Varramista rappresenta - oggi forse non più
- l'unico vino della casa.
Per queste ultime cantine il sirah rappresenta ben altra cosa. È
il vino traino, importante strategicamente quanto commercialmente, il
cuore della produzione.
Cosa ho da dire allora: ho da spezzare una lancia a favore di questi sirah
perché, se mi parli di varietali elaborati in Italia, da quanto
percepisco e assaggio, mi pare che essi siano in grado di risentire degli
influssi del territorio in maniera più marcata per esempio di certi
merlot, ed in quanto tali sono capaci di sfruttare quella sana tipicità
conferitagli dal terroir e dalla vigna che sola potrà fargli assumere
le doti del riconoscimento e della identità.
Per cui, se di via italiana si dovrà trattare, di via che conti
e che incontri mercato e successo, occorrerà puntare sempre più
alla vigna e alle "regole di vigna" per poter addensare nei
vini tutti i caratteri portati in dote dai peculiari terroirs italiani;
per amplificarli, esaltarli, sottolinearne la differenza. Solo così
emergerà il senso - vero - della creazione ( non costruzione) di
un vino effettivamente riconducibile ad un territorio, meno confondibile,
meno omologabile, più bello, più di razza, più sincero
e più nostro.
Nei sei bicchieri di stasera, confrontati con un bicchiere-simbolo della
storia vinicola francese, vi dimorano a parer mio gli stimoli giusti.
In quei bicchieri un seme, un'essenza, una vibrazione, che ci indica come
tale via sia l'unica percorribile per poterci misurare ad armi pari allinterno
del nuovo mercato globalizzato.
Gli assaggi
Syrah 1999 - Poggio al Sole (Badia a Passignano - FI)
Scurissimo
ma affatto minaccioso, con una striscia violacea a fiancheggiarne i bordi,
occorre attenderlo un po affinché le sinuose e dolci aromaticità
arrivino ai sensi e al cuore del curioso. Fitto di more di rovo e di ciliegia
nera, costellato di seducente speziatura, irrobustito dai sentori del
cuoio lavorato, dimostra ancora una volta una genuina propensione a scavare
in profondità per regalarci un quadro di sentita eleganza. Attacco
vivido e maestoso al palato per una grande e calorosa sensazione di avvolgenza.
Notevole l'impianto, dove ti muovi in alvei bellamente selvatici. Fitto
ed ordinato il tannino, che ancor si sente, giovane ed esuberante come
si ritrova, e tende a tagliare il fiato al finale, di per sé elettivo,
che ha solo bisogno di riposo e di bottiglia per affinarsi e concedersi
totalmente. Ah, dimenticavo la seta. Sì, il cuore dei suoi tannini.
Se aspettate arriverà e allora... Piccola curiosità: all'insaputa
degli astanti - me compreso- convinti di trovarsi di fronte ad una orizzontale
di sirah dell'annata 98, è stato inserito questo Syrah '99. Spinto
a dover riconoscere i campioni mi son buttato dicendo che questo vino
somigliava talmente al '99 da ritenerlo un Poggio Al Sole. Giusto: annata
e casa madre. Altro appuntino: un appello a Giovanni Davaz affinché
incrementi la produzione - se si può - di questo piccolo mirabile
gioiellino chiantigiano dall'animo europeo.
Varramista 1998 - Varramista (Montopoli Val D'Arno - Pi)
Qui
il colore si fa granato e lo spettro aromatico ammicca ad una certa maturità
del frutto o evoluzione che dir si voglia, tendendo con l'aria ad appesantirsi
un pò anche se dentro vi scorgi salutari sferzate speziate. Inizia
bene al palato mostrandosi concentrato e quasi pastoso poi si dipana allargandosi
di trama verso un finale ripido e nervoso in cui la massa tannica sua
propria appare sovraestratta contribuendo così a renderne la beva
amarognola e monotematica. Figlio di un annata non proprio facile giù
a Mercatale Val D'Arno, il tempo non sta dalla sua parte: consigliabile
la stappatura già da ora.
Côte Rôtie Le Bécasses 1998 - Marcel Chapoutier
Anche
in questo caso il colore assume toni granati, di lodevole compattezza
però, mentre molto intenso e peculiare ci appare nel suo approccio
aromatico: il lampone, la prugna, i fiori di campo, il rovere, il caramello
si compenetrano con una strana sensazione, perdurante, di caffè
zuccherato, a rendere il quadro da un lato incisivo ma dall'altro oltremodo
smaccato e tendenzialmente surmaturo. Buono l'equilibrio al palato, dove
gioca elettivamente tra la succosità del frutto- ancora una volta
surmaturo- e la mineralità dell'impianto tutto. Sottile e felpato,
eppur lungo nella trama, è capace di regalare tannini svolti di
rara raffinatezza ponendo il suggello ad una prova non all'altezza della
sua fama (ti appare infatti un vino pronto, non certo giovane) ma sufficiente
per capire ed orientarsi.
Syrah 1998 - Villa Pillo (Gambassi Terme-Fi)
Toni
vividi e compatti nel suo rosso rubino carico, che non lasciano poi troppo
spazio alla nitidezza e alla brillantezza della proposta olfattiva, in
cui vi scorgi frequenti screziature vegetali e di sottobosco a ritagliare
in un angolo la scorta fruttata: foglia di pomodoro, terra bagnata, funghi
conservo tra i ricordi miei. Mi rincuora comunque la nota mentolata. Molto
dotato e potente in bocca in cui l'afflato calorico non si nasconde di
certo; lì riesce a tratti a convincere per fusione ma il tannino
è assai amarognolo e puntuto mentre l'incedere manca in fondo delle
sfumature sfumate, quasi si trattasse di una materia di prim'ordine -
monolitica e prepotente - non propriamente plasmata sui canoni dell'equilibrio
e dell'eleganza espositiva.
Senti il grasso ma ti mancano fortemente la sottile e coinvolgente sensazione
della meraviglia e un po di dinamismo in più. Annata non
tra le migliori a Villa Pillo ma sostanza ed estri in questo bicchiere
vi dimorano certi.
Sant'Antimo Syrah Colvecchio 1998 - Castello Banfi (Sant'Angelo
- Montalcino - SI)
Quadro
aromatico molto varietale, solo e semplicemente sirah, con dominanze speziate
e minerali a farla da padrone su base delicata e suadente di prugna. Leggero
ma presente il cuoio. Bocca di levigata tessitura, con una sensazione
erbacea finanche troppo sostenuta e un tannino maturo lievemente amaro.
Evidente la polpa per una maturità fruttata anche in questo caso
forse un po troppo spinta ed una leggibile - ma sopportabilissima-
sovraestrazione. Lodevole il carattere comunque , per un vino che zitto
zitto si sta ritagliando un posto al sole tra i vini "di fantasia"
della potente maison ilcinese.
Il Bosco 1998 - Tenimenti Luigi d'Alessandro (Cortona -
AR)
Impatto
subitaneamente, istintivamente coinvolgente per la maniera di porgersi
e di esaltare l'eleganza e la varietalità infuse: bella l'evidenza
speziata ma splendide rimangono le sottolineature minerali e grafitiche
su base certa di frutti rossi maturi. In bocca mantiene le promesse: ricca
e spessa, lunga e convincente, coerente e piena, ha in sé le doti
della tensione vibratile, del bilanciamento e, finalmente, della animale
sensualità, della seducente carnosità. Ancora una volta
un vino a livelli di invidiabile bontà, ancora una volta un sirah
italiano che (in)segna la strada. Stavolta però con un 10% di sangiovese
in corpo: sarà il richiamo della terra!
Syrah Case Via 1998 - Tenuta Fontodi
Colore
delle grandi occasioni, rubino cupo, grondante, consistente, bellissimo.
Quadro olfattivo cosparso di note esplosive e nello stesso tempo mirabile
per fusione e complessità: fresco ed integro ci appare nel frutto,
nero del bosco, invitante e cangiante negli apporti speziati del pepe
bianco e del seme di finocchio (più composti e meno sguaiati che
non agli esordi di questa bottiglia), toccante nel fondo di caffè,
elettivo nelle note leggere di oliva nera e di erbe aromatiche. Bocca
di polpa e vigore superiori: fusa, volumica, elegante e sensuale, dolce
e lunga, a cui puoi aggiungere ben poco se non provarla e in lei confonderti.
Ripeto, a distanza di un anno circa dal primo assaggio molto bene gli
hanno fatto riposo e bottiglia, tal da renderlo fulgido, chiaro, non prepotente
né smaccato bensì coinvolgente e riconoscibile allo stesso
tempo. Non ho dubbi nel considerarlo il miglior vino della famiglia Manetti
in quell'anno di grazia, che di grazia non ne ha avuta poi molta con le
terre e le viti della Toscana interna.
Fernando Pardini
11/7/2002
(degustazioni effettuate nel mese di Aprile 2002 in Calcinana - Pi)
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