Aceto Balsamico di Modena: l’importanza di chiamarsi “Tradizionale”

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Aceto Balsamico 7SPILAMBERTO (MO) – È notizia di questi giorni la costituzione del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena, nato dall’accorpamento dei due esistenti per la promozione dell’aceto balsamico. Quello Igp, riconoscimento ottenuto nel 2009. Sì, perché poi c’è la Dop, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. E forse non tutti ne conoscono l’esistenza. E non tutti ne afferrano la differenza, complice la somiglianza del nome che genera inevitabilmente un po’ di confusione. Parliamo del consumatore italiano, ma a maggior ragione di quello straniero. Una cosa è certa: quello che troviamo sugli scaffali del supermercato è distante anni luce dall’aceto balsamico cosiddetto Tradizionale. Un prodotto industriale contro un prodotto decisamente di nicchia. Una distinzione che vale la pena approfondire per effettuare una scelta di acquisto consapevole.

Disciplinari alla mano le cose risultano più chiare: per la Dop “Le uve destinate alla produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena devono essere prodotte nel territorio tradizionale della provincia di Modena”. Il disciplinare di produzione Igp, invece, non specifica la zona di produzione delle uve destinate ai mosti. Elenca gli stessi vitigni tipici del modenese, ma stabilisce soltanto che “Le fasi che devono aver luogo obbligatoriamente nella zona geografica di origine sono l’assemblaggio delle materie prime, l’elaborazione, l’affinamento e/o l’invecchiamento in contenitori di legno”. Nulla vieta l’utilizzo di uve non provenienti dalla provincia di Modena. L’Igp prevede inoltre l’aggiunta di aceto di vino e fino al 2% di caramello. Solo ed esclusivamente mosto cotto d’uve, invece, nell’ampolla a marchio Dop. Bandita qualsiasi addizione aromatica. In termini di invecchiamento il confronto è impensabile. Si va da un minimo di 12 anni per il Tradizionale ai 60 giorni previsti dall’Igp. Queste le differenze sostanziali.

La visita al Museo del Balsamico Tradizionale di Spilamberto (MO) è illuminante perché consente di visualizzare il concetto e di assimilarlo con estrema immediatezza. Il Museo è curato dalla Consorteria, associazione che oggi conta un migliaio di iscritti e che dal 1967 si occupa della valorizzazione del Balsamico Tradizionale e della diffusione della sua conoscenza. Visite didattiche, giornate di studio, l’assaggio tecnico dei campioni e corsi di formazione, ma anche il Palio di San Giovanni, concorso prestigioso annuale dei migliori Tradizionali locali prodotti nei territori degli antichi domini estensi. Ventuno serate di degustazione per un totale di 1500 assaggi: al di là della gara, un vero e proprio termometro dello stato di salute del Balsamico.

Il Balsamico Tradizionale è un prodotto secolare. La ricerca storica fa risalire la sua esistenza già alla fine del Seicento. La Dop arriva nel 2000. La qualità è elevatissima, il costo anche: i prezzi su Modena raggiungono i 45 euro al litro per l’affinato (12 anni di invecchiamento) e i 140 euro per l’extra vecchio che esce dalle botti dopo un quarto di secolo. E le cifre diventano astronomiche nel caso di invecchiamenti superiori. Il tempo è proprio la principale chiave di lettura per comprendere appieno il senso e il costo di tanta pregiatezza. Percorrendo le stanze della storica Villa Comunale Fabriani, sede del Museo, si percepisce l’antichità del prodotto, ma soprattutto la lentezza della sua elaborazione, il prestigio e la sapienza dell’artigianato, il valore dell’attesa. Per intenderci: un quintale di uva fornisce due litri (sì, solo due) di Balsamico dopo 25 lunghissimi anni. La tradizione suggerisce il Trebbiano di Spagna per i profumi, il Lambrusco per l’acidità e l’Ancellotta per la componente dolce e vellutata.

Poi gli anni trascorsi in piccole botticelle, di essenze diverse per conferire il bouquet di profumi e aromi, scelte con cura e da legni stagionati naturalmente per cinque anni, così da preservarne gli aromi originali. La batteria ideale è composta da cinque barili di dimensioni decrescenti. Ma maggiore è il frazionamento, maggiore è la raffinatezza del prodotto finale: la vecchia acetaia sociale del Museo ospita un’antica batteria da 22 elementi. Oggi riusciamo ad avere al massimo 6-7 barili. I vaselli non sono solo semplici contenitori, ma veri e propri laboratori: nelle botti più grandi, cosiddette di testa, ha luogo la fermentazione e qui il mosto rimane 5-6 anni. Il legno è tenero per favorire il processo fermentativo e l’evaporazione. Nella parte centrale della batteria il mosto fermentato permane 12 anni in affinamento e maturazione. L’ultima botticella, quella più piccola (capacità minima 10 litri) è destinata al lungo invecchiamento. In questo caso il legno è più duro per rallentare la concentrazione del liquido e contenere l’evaporazione. Qui avviene quello che i mastri acetai chiamano il “miracolo” del Balsamico. Il regno di questo miracolo è in soffitta perché il sottottetto regala naturalmente alte temperature d’estate utili alla fermentazione e temperature basse d’inverno perfette per la decantazione. Ogni fase di lavorazione, ogni travaso di botte in botte è un elogio alla lentezza e all’unicità. Si narra che a fine inverno, quando il profumo intenso di mosto pervade le scale che conducono al solaio, è il momento di tornare a lavorare in acetaia.

Quello di Spilamberto è un museo vivo che custodisce contemporaneamente le piccole botti di Slow Food e dell’Osteria Francescana e una batteria di 200 anni prodotta dallo storico Mastro Bottaio di Modena Francesco Renzi. I vaselli di legno hanno i cerchi in ferro rimasti perfettamente intatti nel tempo. Poi fu l’avvento dell’acciaio che ha sostituito il ferro per resistere alla corrosione. Il percorso guidato inizia dalla sala proiezioni per godere di un breve video didattico sul ciclo di vita del Balsamico. Un’introduzione appassionante e necessaria per comprendere il resto del Museo. Prosegue nell’area dedicata alla botte e agli strumenti, alla bottega e alle operazioni di cottura e pigiatura. Continua nell’acetaia dove le botticelle scure riposano in un silenzio solenne mentre qualche raggio di sole filtra dalle piccole finestre. La visita termina nella sala degli oggetti e dei documenti storici con i campioni vincitori del Palio di San Giovanni dal 1967.

LA DEFINIZIONE DI BALSAMICO CONIATA DALLA CONSORTERIA (1976)

“Il vero Aceto Balsamico Tradizionale è prodotto nell’area degli antichi domini estensi. È ottenuto da mosto d’uva cotto; maturato per lenta acetificazione, derivata da naturale fermentazione e da progressiva concentrazione mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli di legni diversi, senza alcuna addizione di sostanze aromatiche. Di colore bruno scuro, carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta, scorrevole sciropposità. Ha profumo caratteristico e complesso, penetrante, di evidente ma gradevole ed armonica acidità. Di tradizionale ed inimitabile sapore dolce e agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri”.

LA CURIOSITÀ

Una bottiglia di Balsamico del 1785 è stata aperta alla presenza del notaio e la commissione di assaggio ha assegnato un punteggio di 265 punti. Il limite massimo previsto per la Dop è 255.

 

Francesca Lucchese

2 COMMENTS

  1. Purtroppo, con il dilagare di nuovi supermercati, in particolare in Lombardia, nati con l’ipocrisia di molti sindaci e la conseguente distruzione dei negozi di vicinato, per i consumatori resta difficile, anche per il costo, accedere all’aceto balsamico tradizionale.
    Nei convegni sarebbe opportuno discutere anche queste problematiche.

  2. … Sono del modenese… E il vero balsamico…(il dop ho imparato oggi!), non manca mai sulla nostra tavola, e abbiamo delle botti da cui prendiamo l’aceto buono … Ma non sapevo della distinzione ! L’articolo è stato illuminante…grazie. Laura

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