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Dall’alto (o dal basso) degli oltre trecento Barolo assaggiati quest’anno (al cui traguardo hanno contribuito massicciamente gli assaggi effettuati a Nebbiolo Prima, imperdibile evento maggenco nel cuore di Alba, e le ponderate ricognizioni guidaiole estive) un’ideina – del tutto personale savasandir– me la sono fatta: tanta roba! Al punto che ricavarne una impietosa sintesi raccolta attorno a una trentina di etichette non è stato semplice né indolore. Ma tant’è, partiamo da qui, da queste bottiglie, da questi autori. Ve ne sono di conosciuti, conosciutissimi, stranoti. Ve ne sono di meno celebri (e celebrati) ma altrettanto meritevoli di attenzioni e rispetto. Ve ne sono infine alcuni che potremo definire outsider, dalla cui performance lampeggia qualcosa di prezioso anche per l’inossidabile universo langarolo, là dove le gerarchie e il pregresso storico spesso tratteggiano linee di confine invalicabili, dinnanzi alle quali sostanzialmente genuflettersi. Ecco, da questi segnali intuiamo invece un salutare “movimento” trasversale, che porta ad allargare gli orizzonti e a spaziare maggiormente all’interno di una proposta vasta e diversificata, affiancando nuovi cru e nuovi autori alla supremazia dei valori consolidati.
Ah, dimenticavo: in questa selezione restano comprese pressoché tutte le sottozone/comuni che contano, da La Morra a Barolo, da Serralunga a Castiglione Falletto, fino a Monforte e a Verduno. Tanto per ribadire l’ecumenicità dell’annata, prodiga di segnali importanti che potevano cogliersi in ogni terroir di Langa, se parliamo di nebbiolo. A ben vedere, un’occasione che in molti non si sono lasciati sfuggire.
Alessandria Fratelli
Tutta la “proprietà di linguaggio” e la sinuosa articolazione di cui è capace il prestigioso cru verdunese stanno dentro questo bicchiere. L’intrico di erbe aromatiche, balsami, fiori e mineralità, ne son certo, renderà felici gli estimatori di questa etichetta. Seducente e progressivo, conta poco se la sua voce resta un pelo arrochita da un “roverello” ancora da rintuzzare. Sono stagioni queste in cui –probabilmente- i legni nuovi inseriti da Vittore Alessandria in cantina lasciano qualche strascico. Nulla di che: la materia salda e il frutto maturo al punto giusto rappresentano gli auspici migliori per una vita lunga e radiosa.
Barolo Gramolere 2010
Mi piace questa grintosa interpretazione del Gramolere, cru di Monforte solitamente avvezzo a trame più eleganti e fruttate. L’annata, infatti, ha giocato a favor di contrasto e reattività, rendendolo meno accondiscendente del solito. D’indole austera, ricorda quasi un Brunello, con i richiami alla terra, al catrame e alla liquirizia che fanno da sfondo ad un gusto coriaceo e minerale, di gran carattere e tempra tannica. Ancora da sciogliersi, bellamente senza fronzoli, di lunga gittata.
Barolo Bussia 2010
Se già avevo un debole per l’intransigenza stilistica di Sergio Barale, persona con la quale è davvero istruttivo fermarsi a parlare di Langa, un vino come Bussia 2010 ha assestato il colpo di grazia rincarando dosi e simpatia. Puro, naturale nello sviluppo, seducente, autentico, finissimo, con il sale della Bussia a trascinare gli allunghi e una impalpabile consistenza tannica leggera come un soffio. Trapela, limpida, una sensazione semplice ma attesa: di nuovo a casa.
Batasiolo
Nell’universo langarolo il nome Batasiolo ispira il ricordo di momenti storici anche alti, qualitativamente parlando, riconducibili a una venticinquina di anni fa. Non si tratta certo di una piccola realtà garagiste, quello no, perché a fronte dei suoi cento ettari di vigna questa firma sciorina un bel po’ di etichette, un bel po’ di tipologie e un bel po’ di numeri. Ma nelle ultime stagioni, sul fronte dei Barolo – che è poi l’asse portante, storicamente portante, della gamma-, registriamo una sana sterzata nel verso della caratterizzazione, ciò che i prestigiosi cru a disposizione vanno contribuendo non poco ad evidenziare.
E così, dal Boscareto di Serralunga, ci arriva un Barolo profondo, compassato, austero, tattilmente levigato, dalla importante trama tannica e dai rinfrescanti risvolti mentolati. Una bella espressione di territorio.
Barolo Briccolina 2010
Altro cru serralunghino quanto mai ispirato e coinvolgente, ti conquista per la grintosa sensazione mineral-ferrosa, per la nobile ritrosia, per le nuance sapide e agrumate, per la sincerità espressiva.
Chiara Boschis – Pira E. & Figli
Ecco qua un caso sorprendente, dal momento in cui la premessa recita che lo stile della casa non mi ha fatto mai impazzire, anzi: le maniacali attenzioni verso la confezione de luxe ( tutta polposità e legni nuovi) mi facevano disperdere la sostanza (o il senso) delle cose. Che succede adesso? Alla seconda uscita di sempre, il cru Mosconi di Chiara Boschis colpisce al cuore e sfata pregiudizi. Sanguigno, sinuoso, affascinante, dal buon tono di frutto (frutto rosso del bosco, Mosconi docet) e dagli accenti mentolati, è vino sapido, sensuale, profondo e coinvolgente, dal ritmo incalzante e dalla dote tannica matura e stratificata, di razza monfortina. Eppure mi si parla di affinamenti in barrique. Son cambiato io o lassù qualcosa si muove? The things changes, hai visto mai?
Brezza Giacomo e Figli
Un Brezza style in particolare spolvero, oserei dire paradigmatico: felice articolazione aromatica (sulla vena floreal-agrumata), scorrevolezza a tutta prova, assenza di forzature, ariosità e “garbo” tannico. Un vino autentico insomma, già ottimo adesso, probabilmente migliore nel prossimo futuro.
Barolo 2010
Non mi capita spesso – e non so il perché – di assaggiare il Barolo “annata” di Enzo Brezza, ricavato da un appezzamento esposto a Ovest confinante con il Sarmassa, nel comune di Barolo. Ma se i risultati fossero quelli di questo 2010 sarebbe bene colmare lacune, perché c’è da andarne fieri. Intanto non mostra riverenza alcuna al cospetto dei cru della casa pari annata: dalla sua ha un grip gustativo, una tenacia e un affondo sapido da signor vino. Ti inchioda all’ascolto, questo fa, e in sua compagnia starai bene.
Brovia
I Brovia ci hanno abituati bene, viziandoci. La prestigiosa gamma barolesca, anno via anno, non si stanca di trasmettere calor buono, personalità e bellezza. Inevitabile immedesimarsi. E mentre nei millesimi più recenti ho fatto fatica a staccare una preferenza fra un Rocche, un Ca’ Mia o un Villero (Garblet Sué è molto buono in genere, ma meno complesso degli altri), quest’anno con minori affanni assegnerei al Villero la palma del migliore. In virtù della sua profondità minerale. E per la sua ariosità, avvolgenza, eleganza. E per quel suo essere calibratamente maschio, stimolato dagli umori agrumati e balsamici. Per quel suo essere vivo.
Burlotto G.B
Il cavallo di razza della famiglia Burlotto/Alessandria. Il vino lavorato à l’ancienne, dove la macerazione delle uve avviene in tini aperti e la pigiatura coi piedi. Un vino per amatori, verdunese dans l’ame, il cui assaggio non lascia mai indifferenti. Il millesimo 2010 ce ne restituisce una versione incredibile per purezza, intensità, profondità e carattere. Annunciata da sentori spiccati di carne affumicata, la trama si dipana con sicura progressione, espandendosi a coda di pavone e lasciando trasparire la razza del cru privilegiato. Lo fa nei sottintesi e nei sottotraccia, inchiodandoti all’ascolto. Aggiungere che si staglia assai nel panorama che conta dei vini d’autore italiani è un dettaglio ridondante, che rasenta l’ovvietà.
Conterno Giacomo
Non c’è niente da fare, annata grande o piccola che sia, il “classico” va sempre di moda. E gli irreprensibili Barolo di Roberto Conterno non sfuggono alla regola che li vede quali meritori protagonisti della storia bella di Langa. Così è anche per questo Cascina Francia 2010, dove il legame amoroso vitigno-territorio appare profondamente radicato, limpidamente chiaro. Nobile austerità, freschezza étonnante, e quella particolare dimensione tannica che se da un lato ti scuote per compattezza e incorruttibile saldezza (figlia della terra sua, che di nome fa Serralunga), dall’altra offre una percezione più dilatata ed interiorizzata, ad aprire pertugi di profondità apparentemente celati. E’ vino impettito e signorile, questo è, che con la sua rigida disciplina morale assurge ad archetipo, dal quale tutto discende. O al quale, dopo tanto girovagare, si ritorna.
Fenocchio Giacomo
Prova che ti riprova, l’ennesimo assaggio dell’ennesimo Villero ci ha convinti che una annata reattiva e contrastata, tardiva e bella come la 2010 ha particolarmente giovato ai vigneti storici dalle esposizioni più propizie, come Villero appunto, che in altre stagioni (più generose e calde) appariva piuttosto incline ad allargare le trame e ad avvolgerti in un conturbante abbraccio alcolico più ampio che profondo. Ecco, così non è per Villero 2010 della famiglia Fenocchio, quanto mai sfaccettato aromaticamente e quanto mai fine nella trama tannica. Con un portamento e una profilatura da gran vino da mettere sul piatto dei ragionamenti e una pregevole dinamica, tutta ritmo e cambi di passo.
Manzone Giovanni
Da uno dei vignaioli meno mediatici e più riservati di Langa, ecco qua il Castelletto che non ti aspetti, in grado di rivaleggiare in qualità con i prestigiosi cru provenienti dal costone delle Gramolere, zona Monforte, da cui Giovanni Manzone ricava l’ossatura portante della sua produzione. Ispiratissimo, di grande spazialità ed eleganza, conserva nitidezza in ogni passaggio gustativo, cullandoti nella sua seducente polposità di frutto mirabilmente fusa con una impalcatura tannica modulata e gentile. Quel che si dice un vino saporito.
Barolo Gramolere 2010
E se la versione pari annata dei Fratelli Alessandria risulta grintosa, austera e propulsiva, quella di casa Manzone trova nel dettaglio e nella agilità, figlie di una calibrata estrazione tannica, la ribalta giusta per mettere in risalto le doti di freschezza e sapidità più che di peso e volume. La mano d’altronde è di quelle buone. Singolare la speziatura d’accompagno.
Bartolo Mascarello
Bel tono di frutto, espresso in un contesto di compassato rigore: sincero, puro, verace, salato, tosto, impettito e futuribile, di lunga persistenza sapida, agrumata e mentolata. Barolesco dans l’ame, chiede tempo e sa il fatto suo, perché è vino sentimentale, di “antica contemporaneità” e nobiltà d’animo. E in questa veste così carnosa e complessa esalta da par suo, con incorruttibile spirito tradizionale, il mito del Barolo figlio legittimo della cultura contadina, tanto cara all’indimenticato Bartolo. Un mito fattosi nel frattempo ancor più sostanza (e tangibile bellezza) sotto le cure e le attenzioni della figlia Maria Teresa.
Nella prima foto: panorama langarolo visto da La Morra. L’immagine del Barolo 2010 di Bartolo Mascarello è di Stefano Molino (winedays.it)
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La foto del Bartolo Mascarello 2010 è mia…
http://www.winedays.it
Stefano Molino
Grazie, abbiamo inserito il “credito”