Di quando il nebbiolo è sempre il nebbiolo, e la Langa è sempre la Langa. Un toscano di ferro, pure se figlio del ’97. La lezione definitiva dello Chenin Blanc della Loira.
Barbaresco 2004 – CASTELLO DI VERDUNO (collezione personale)
Minerale, teso, sfumato, tonico e profilato, non molla la presa mostrando tutta la solare compiutezza del Rabajà più ispirato e il nervo tenace dell’ombroso Faset ( i due appezzamenti da cui provengono le uve, e scusate se è poco!), riunite qui in un sorso spontaneo e senza fronzoli, dotato della adeguata corrente di acidità a renderlo dritto e affilato, senza diluizioni o mollezze. La prova all’aria ne amplifica le doti, rivelandone la perfetta maturità di frutto -ancora dolce e sinuoso- e la felice integrazione tannica. Sì, è un Barbaresco di razza, dai fondamentali eleganti e dalla conclamata trasparenza espressiva. Ineludibile e fiero, a distanza di tanti anni dal primo sorprendente assaggio non smette i panni del cru, pur non recitando, la sua etichetta, menzione geografica alcuna.
Barolo Le Rocche del Falletto di Serralunga d’Alba 2004 – BRUNO GIACOSA ( Ristorante In Vernice di Livorno)
Immenso, incisivo, pieno e dettagliato sia nel quadro aromatico – vivo, nature, di modulata ricchezza- che nel grip gustativo, davvero “sferico”, netto, di grandi profondità e vitalità. E’ un bellissimo bicchiere ‘sto qua, che ti offre tannini regali e affondo decisivi. E ti lascia intuire la mano angelica del celebre vinificatore. Qui hai la personalità del nebbiolo esaltata a mille, espressa secondo una foggia signorile, mai urlata né sbandierata, classica senza età. La sua compagnia una cosa cara.
La Gioia 1997 – RIECINE (Ristorante Enoteca Da Giannino, Ripa di Seravezza – Lu)
La saldezza cromatica non lascia margini ai graffi scoloriti tipici dell’evoluzione: i toni rubino appaiono inossidabili, mentre l’afflato balsamico del profilo aromatico chiama alla mente freschezza. Non puoi pensare che abbia già compiuto quell’età! E quando l’intrico amoroso di erbe e balsami – dagli un attimo di tempo – si aprirà ai sentori dell’alloro e del sottobosco, ne intuirai appieno l’imprinting toscano e sangiovesico. Di più, il calore e l’avvolgenza di quella bocca tonica e ampia ti condurranno alla generosità della terra di Gaiole, traguardata dall’angolo di visuale di una annata calda. Un vino la cui forza comunicativa e la cui intensità non lasceranno adito a dubbi: Riecine ha da sempre goduto dei migliori terroir chiantigiani. E il fatto che da una sopravvalutatisssima annata quale la 1997 se ne esca finalmente un toscano con le palle, non fa altro che deporre a favor di terra e di privilegi, connaturati alla sostanza delle cose, quelli che non ti inventi. Di fronte a una Gioia così non ti ravvieni che questo vino rappresentava lo stile internazionale, con tanto di maturazione in barrique piccole e nuove. Nessun lascito “esterno” qui, nessuna sovrastruttura: solo interiorità e razza chiantigiane.
Vouvray Moelleux 1986 – DOMAINE HUET (Ristorante In Vernice di Livorno)
Giallo glaciale, poco accentuato, elettrico, dai riflessi verdolini. Naso timido, scontroso, lento, soavemente rotì, con note di ananas, lime e grano a scalfirne via via la sostanziale introversione. Bocca di contro esplosiva, dinamicissima, mineralissima, acidissima, affilatissima. Salivazione a mille, non un briciolo di dolcezza, da che ha perso il moelleux, ma ha di contro acquisito una droiture impressionante (Veronelli l’avrebbe chiamata nettezza) e una cremosità tattile vivida e titillante. Persistenza infinita di pietra spaccata e agrume: lo chenin blanc al massimo grado di purezza. Quando si dice un vino pervasivo (e non invasivo). Ah, dimenticavo: il tempo che passa? Non pervenuto!
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