Mi restò impresso il nitore -né chirurgico né tantomeno forzato- e la sensuale, selvatica fragranza di vino nudo, vestito soltanto della propria pelle. Oggi quel nitore e quella speciale silhouette li ritrovo illuminati a giorno nel nuovo Syrah 2014. Un (re)incontro che non lascia scampo ai silenzi. Non più. Chiede solo parole, e racconto. Inevitabile quindi raggranellare i frammenti della storia che lo ha portato fin qui.
A rincorrere quella storia, peraltro, ti invita ben volentieri lui stesso. Grazie alla forza interiore, più che a quella manifesta. E alla coraggiosa nudità di chi è in grado di far brillare di già, nonostante la giovane vita, le imprescindibili doti del Syrah autorale, che non ha da essere costretto dalle “infrastrutture” per liberare la propria espressività, ma che deve puntare ad evidenziare solo e soltanto ciò che ne concretizza la reale unicità: profumi e pura piacevolezza.
E se l’annata piovosa ne ha propiziato una certa essenzialità, ha sicuramente contribuito affinché il tenore alcolico restasse una voce accordata dentro a un coro intonato, che ci canta di sottigliezze smuovendo i ricordi più lontani, di petit dejeuner sur l’herbe nelle foreste del Beaujolais, in compagnia dello zoccolo duro della complicità esistenziale e di certe bottiglie “galeotte” di Bourgogne Passe-tout-grain, di cui questo vino ne ricorda l’allure grazie alla verve speziata e all’irresistibile spigliata carnosità tipica di un vin de pays.
Il Syrah 2014 di Podere Bellosguardo ha beva disarmante, fresca, succosa. La vocazione gastronomica è conclamata. Racchiude nelle proprie maglie la particolare firma di quel luogo, nobilitata da una silhouette che non intende accordare spazi alla ridondanza e all’abbraccio alcolico. E’ l’ultimo esemplare di una storia al tempo stesso giovane e vecchia, iniziata oltre un secolo fa, da quando cioè Nicola Miraglia, bisnonno di Luca e Nicoletta, gli attuali vignerons, nel suo frequente girovagare per campagne e colline (ricopriva il ruolo di direttore del Ministero della Agricoltura e delle Foreste) non si imbatté in quel luogo appartato e verdissimo chiamato Casentino, per innamorarsene e decidere di acquistare lì un podere che potesse servire ai suoi riposi “via dalla pazza folla”.
Ecco, non saprei spiegarvi bene il perché questo vino “riesumato”, nato in un luogo che non ti aspetteresti, riesca ad esprimersi in un modo così individuo. So soltanto che lo sta facendo con stile, e che non riesco ad immaginare per lui un futuro men che radioso. Non tanto per la storia evocativa, quanto per la connaturata capacità di racconto, indispensabile stimolo per le mie prossime partenze, dopo che la neve si sarà sciolta. Soprattutto però, grazie all’intimo anelito racchiuso in quel fondo di bicchiere, che porta in dote il profumo di una rosa.