Ristorante Romano a Viareggio: una cucina in evoluzione nel segno della continuità

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In questo periodo di segregazione forzata, mi sono di frequente chiesto quale sarebbe stata la prima tavola dove avrei voluto sedermi una volta possibile. Ho fantasticato facendo una lista di locali dove ancora non sono stato che mi stuzzicano da tempo, alcuni in zona, altri un po’ più in là, e di altri che frequento spesso, dove mi sento a casa.

Ad un certo punto però ho capito che dovevo andare sul sicuro, che necessitavo di essere coccolato, di sentire un calore familiare. Ho quindi optato per Romano a Viareggio, perché era proprio del calore che solo la famiglia Franceschini sa dare di cui avevo bisogno.

Roberto Franceschini all’assaggio

La curiosità di tornare da Romano era poi grande, visto che dal febbraio 2020 la cucina ha intrapreso un nuovo corso con l’arrivo dello chef carrarino Nicola Gronchi (qui l’intervista a Gronchi pubblicata su L’AcquaBuona) e del sous-chef Carmine Petrosino, freschi freschi di stella Michelin al Parco di Villa Grey a Forte dei Marmi.

Devo dire che sono rimasto felicemente sorpreso. Non che avessi dubbi sulle capacità di Gronchi e della sua squadra, ma quello che mi ha stupito è stato trovare una cucina in perfetto stile Romano, ossia in piena continuità con la gloriosa storia della maison viareggina.

Una cucina, quella di Gronchi, matura, estremamente solida e mai banale, senza svolazzi, ammiccamenti o passaggi a vuoto, con qualche raro bemolle sì, ma soprattutto con frequenti acuti “alla Stradivari”: l’inimitabile materia prima che lo stesso Romano è solito reperire dai numerosi pescatori viareggini qui viene esaltata al massimo.

Nicola Gronchi (a dx) e Carmine Petrosino

Piatti di gusto e non celebrali, di facile lettura ed apprezzamento anche per coloro che non necessariamente vanno al ristorante per fare un’esperienza gastronomica. Allo stesso tempo le preparazioni sono complesse al gusto, con gli ingredienti -tutti rigorosamente di stagione e funzionali alla riuscita del piatto- che si fondono in un insieme capace di imprimere cambi di passo al palato, sfociando in sensazioni tanto cangianti quanto profonde.

Quello che più stupisce nella cucina attuale di Romano è l’estremo equilibrio e leggerezza dei piatti, a favore di un’alta digeribilità: l’utilizzo dei grassi e della sapidità è millimetrico.  Ad alcune pietanze il sale proprio non viene aggiunto, per esaltare la parte iodata di pesci e crostacei.

Grande attenzione anche al pane, cosa non del tutto scontata nell’alta ristorazione: buona la pagnotta di farina tipo 1 a lievitazione naturale, strepitosa la focaccina integrale con olio alle erbe e sale Maldon, croccante all’esterno, morbida e profumata all’interno.

La panzanella di mare è una perfetta ouverture tutta in freschezza: gazpacho di pomodori datterini, intenso e dolce, a sposare il saporito sugarello al naturale, le verdure candite, l’olio al basilico e la spuma di acqua di pomodoro.

Primo acuto con l‘ostrica e sparnocchio con zuppetta di cetriolo al sentore di cipollotto, maionese e spuma di ostrica. Ovvero, il mare in bocca. Esplosione iodata in diverse declinazioni, a strati di intensità, allungata dalla freschezza del cetriolo con cui si fonde in un finale di bocca scoppiettante.

Lo sgombro in saor con cipollotto affumicato al BBQ e gambero di fascina croccante si fa apprezzare per l’incredibile carnosità del pesce marinato “japanese style“: ricco, oleoso, penetrante, stemperato da un felice tocco agrodolce.

La ricciola cruda alla mediterranea stabilisce nuovi canoni in tema di qualità della materia prima. Tre fettine ricavate da un pesce di 21 chili pescato nel mare di Viareggio, consistenza e sapore da primato, accompagnato da un fondo di lische e limone, con capperi e olive ad esaltare. In questo piatto viene fuori tutta la sensibilità dello chef, che attraverso lievi nuances è riuscito a dare profondità al sapore incredibile del pesce.

 

Grande “tocco” nella cottura del rombo chiodato e divertenti giochi di consistenze con le zucchine marinate e in zuppetta alla colatura di alici, cremoso ai pinoli e all’aglio nero: una preparazione davvero ben riuscita.

I calamaretti spillo gratinati ripieni di crostacei e verdure sono sicuramente il piatto più famoso del ristorante, elaborato decenni fa dalla moglie di Romano, Franca Checchi, per cinquant’anni al timone della cucina. Quella di Gronchi è una versione all’altezza, con una cottura leggermente più corta per esaltare la consistenza del calamaretto.

Lo scorfanetto arrostito con salsa al curry, piselli alla brace e maruzzelle è un classico di Gronchi. Il profumo del curry dolce accompagna perfettamente il gusto intenso delle maruzzelle e dello scorfano, con la crema di piselli frullata grossolanamente a regalare un soave contrappunto di freschezza.

Buona l’insalata di trippe di baccalà e verdure di stagione con fagioli schiaccioni e crema di “cappon magro”, in contrapposizione con le note amaricanti delle punte di foglia di indivia.

 

Il riso Carnaroli con sgombro marinato, ricci di mare, rafano e sedano rapa al BBQ è un piatto travolgente, pieno di gusto e contrappunti. La ricchezza della mantecatura e dello sgombro danzano con la nota acida della sfumatura all’aceto del riso e con la balsamica piccantezza del rafano, raccordati dalla nota terrosa e affumicata del sedano rapa. Una vera e propria montagna russa al palato!

Altro piatto storico, questa volta di chef Gronchi, è lo spaghettino aglio e olio con gambero biondo cotto e crudo, bottarga di muggine e polvere di olive verdi e nere. Il puro godimento sta qua, in un piatto “finto semplice” che fa della forza motrice al gusto la sua dote migliore.

Il raviolo di pane come un’impepata di cozze è stato forse il piatto della serata. Qui la pasta fresca è fatta con una farina di pane tostato, il ripieno una leggera aïoli, il condimento una salsa di cozze al pomodoro con profumato pepe lungo.  La potenza evocativa di un grande classico della cucina di mare è incredibile. Chiudi gli occhi e ti sembra di gustare il mollusco con la sua acqua di vegetazione profumata di aglio e pomodoro, mentre si addenta un fetta di pane grigliato. Applausi a scena aperta!!

Il morone all’acquapazza è una brillante rivisitazione di un classico della casa. Il pesce viene cotto affogato in acqua di pomodoro, servito con un carpaccio di pomodori verdi condito con pomodoro confit, pomodoro giallo, emulsione di datterino e basilico. Il morone è un pesce “burroso” dal sapore intenso, in questo caso deliziosamente contrastato al gusto dalle varie sfaccettature donate dai pomodori.

 

Da Romano, in genere, si va per mangiare pesce, d’accordo, anche se i piatti di carne sono sempre stati molto curati. Ecco, abbattete questo cliché ed assaggiateli!

Il piccione toscano al BBQ servito con asparagi fondenti al burro nocciola e in insalata condita con uovo marinato e patata al miso conquista il primo posto ex aequo nella mia personale “classifica” di una sera. Il petto e la coscia al lardo di Colonnata sono impreziositi da un lieve profumo affumicato. La maestria sta nella composizione di questa preparazione, un ensemble di consistenze e sapori: la freschezza dell’asparago in insalata condita con il tuorlo marinato, il sapore deciso della maionese al miso, la dolcezza della patata e la suadenza degli asparagi al burro nocciola. Probabilmente il piccione più buono mai mangiato fino ad oggi!

Anche l’animella (di gola) di vitello rosolata non scherza. Cottura degna di un mostro sacro d’Oltralpe, salsa allo Champagne e fondo di vitello che danzano in un loop gustativo che tende ad una persistenza infinita.

Il panino al vapore con la coratella d’agnello in umido non poteva che chiudere il mio viaggio “salato”: da mangiarsi rigorosamente con le mani, spinge al massimo su gusto e intensità.

 

A questo punto gli chef hanno avuto pietà di me e hanno concluso il menù con due dessert freschi e defatiganti.

Buono il sorbetto al limone e ghiacciolo di rabarbaro con infuso al basilico; davvero notevole “quattro consistenze di yogurt“, un dolce non dolce che gioca su fragili consistenze che sublimano lo yogurt stesso restituendoci un invidiabile senso di purezza.

Sono certo che questo sia soltanto il punto di partenza, visto il recentissimo “matrimonio” tra chef e proprietà, ciò che lascia presagire ampi margini di miglioramento con l’affinamento e l’affiatamento. Durante questa serata trascorsa a casa di Romano e Roberto Franceschini ho percepito grande serenità. Una serenità fornita dalla consapevolezza che con Gronchi al timone in cucina c’è garanzia di continuità per una storia gloriosa che avrà ancora tante pagine da scrivere. E in definitiva un po’ di serenità l’ho riconquistata pure io, nella consapevolezza che per fare un “esordio” migliore al ristorante avrei dovuto probabilmente viaggiare per tanti, tanti chilometri. 🙂

da sx a dx: Nicola Gronchi, l’autore, Romano Franceschini, Roberto Franceschini, Carmine Petrosino

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Ristorante Romano – Via Mazzini, 122 – Viareggio (LU) –  romanoristorante.it

Data cena: 29 maggio 2020

Contributi fotografici dell’autore

Lorenzo Coli

Nasce fra mari e monti e cresce negli anni Ottanta, coerentemente, fra pizze e pastasciutte “mari e monti”, mostrando fin da subito un indistruttibile appetito. Studia fra Viareggio e Camaiore ed eccelle in oratoria e linguistica. Stanco del non apprezzamento vola in terra d’Albione, lì dove esplode la sua passione gastronomica. In uno studio sociologico dell’Università di Oxford viene coniata una nuova categoria da lui ispirata: i “gastrosexuals”. Torna a casa, mette su famiglia (orgogliosamente), si annoia un po’ finché non incontra il suo maestro Miagi. Grazie a lui riunisce i suoi interessi di natura orofaringea e inizia a produrre le sue prime riflessioni sul cibo. Il bello è che persevera!

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