Asolo Prosecco: gli influssi della montagna, il talento imprenditoriale, la mixology

0
1151

Alla fine una cosa del genere non l’avevo mai fatta: nonostante le mie ripetute frequentazioni con le bollicine, l’occasione di assaggiare oltre venti Prosecco in fila, con l’opportunità di sviscerare compiutamente il corpus di un determinato comprensorio, non mi si era mai presentata. La lacuna è stata colmata dal gradito invito che mi è giunto al Vinitaly dal Consorzio dell’Asolo Prosecco DOCG, tramite l’agenzia di PR Studio Cru.

Mi sento in dovere di contestualizzare: non sono particolarmente appassionato di Prosecco, e non mi capita di assaggiarne in serie. Tanto più che ho la fortuna di potermi procurare spumanti di qualità ad ottime condizioni da una coppia di amici importatori diretti di Champagne (Pubblicità Progresso: www.lebollicine.eu. N.B.: qualora vendessero una bottiglia in più per queste righe – e non sarà – ovviamente non ci guadagnerei niente). E quindi il mio termine di paragone nella fattispecie è quanto mai dirimente.

Ciò detto, ovviamente non mi aspetto dal Prosecco la profondità e il ventaglio aromatico di uno Champagne o di un metodo classico in generale. Piuttosto, visitata la zona e rimasto ammirato dall’operosità e dalla dedizione necessarie per arginare le difficoltà di una viticoltura spesso eroica, ho riscontrata felicemente l’esistenza di numerose aziende tese a produrre vini di qualità che si emendino dall’oceano di bollicine dozzinali che dilaga a forza di “spritzini” o “prosecchini”, ed altri diminutivi altrettanto incresciosi. Ovvero dei Prosecco adeguatamente equilibrati senza essere artificialmente dosati per bilanciare acidità tracotanti, dall’effervescenza garbata, netti in un frutto di immediata godibilità. Queste le mie aspettative prima della citata degustazione, avvenuta in chiusura di Vinitaly a suggellare la ritrovata libertà di fare scoperte in fiera.

Peraltro, la mia curiosità era stata stuzzicata pure dall’opportunità di sperimentare dei cocktail a base di Asolo Prosecco. Sono tanto un entusiasta della cultura della mixology, quanto ero scettico in merito ai cocktail a base enoica, con l’idea che se a un vino si aggiunge qualcosa, probabilmente è perché non sta un gran che bene per conto suo. I drink propostimi tendevano ad esaltare la pervasività dell’espressione fruttata, in equilibrio sottile con la freschezza dell’effervescenza, ovvero ciò che si può ottenere altrimenti con l’assemblaggio tra un liquore a base frutta e una ginger beer. La piacevolezza e il carattere dissetante non erano in discussione, sulle sfumature e sullo sfruttamento della base aromatica come punto di partenza per allargare il ventaglio delle sfumature (ad esempio con un interessante assemblaggio con uno Sherry) si può lavorare ancora un po’: d’altra parte, la mixology è un work in progress a prescindere.

Inoltre, desideravo verificare il valore intrinseco e la rappresentatività di una denominazione che mi appariva come una Cenerentola in un mare magnum di vino. In effetti, ho scoperto che tanto di Cenerentola non si tratta, visto che i numeri declamano 24 milioni di bottiglie di prodotte, con uno squillante + 91% negli ultimi quattro anni, 2.200 ettari iscritti a DOCG per 64 imbottigliatori, con il 60% del prodotto che se ne va all’estero. Un quadro assolutamente paragonabile al nucleo storico di Conegliano – Valdobbiadene, e inevitabilmente poco rilevante rispetto al mare di Prosecco DOC e IGT: a fronte di quella massa critica tutto diviene residuale.

La conversazione con l’agguerrito presidente del Consorzio mi convince che le idee sono piuttosto chiare: c’è a monte una mentalità imprenditoriale che riesce a far convergere l’operato di giganti come Astoria e Villa Sandi con quello di aziende familiari medio-piccole, in un progetto condiviso basato sulla valorizzazione della cultura dell’ospitalità. Ovvero vino come valore aggiunto culturale di un comprensorio, e strumento per innescare sinergie virtuose con un’accoglienza turistica volta a superare la trita dicotomia tra sistemazione alberghiera e ristorazione. Per la customizzazione (e per oggi per la terminologia angolosassone siamo a posto) di vacanze “esperienziali”, nelle quali fruire e godere della bellezza della natura delle colline, del nucleo storico di Asolo, dei capolavori del Canova e di un calice di Prosecco, divengono le molte facce di una stessa, luminosa medaglia.

I miei sentiti complimenti, ma a me interessava anche e soprattutto individuare perché l’Asolo Prosecco DOCG può proporsi come qualcosa di più e di diverso nei confronti dei vini confratelli. Tutto (e poteva essere diversamente?) sta nel terroir pedemontano che dona un plus di verticalità non tanto in termini di spinta acida, che poi la Glera non ne ha tutto questo bisogno, bensì come profondità sapida, senza che con questo il sorso debba apparire più magro o come “scarnificato”. Piuttosto, la commistione tra acidità e struttura consente tendenzialmente pure delle permanenze sui lieviti più prolungate, con conseguente virtuosa compresenza tra sensazione di pienezza al palato, equilibrio e tattilità setosa della carbonica.

E non è forse un caso che Asolo sia l’origine di alcuni tra i più riusciti esperimenti di Prosecco Col Fondo. Questa rivisitazione in chiave moderna dell’antica metodologia di spumantizzazione contadina, con i vantaggi della conoscenza dei processi microbiologici e della doverosa attenzione all’igiene in cantina, consiste in pratica di una prima fermentazione alcolica direttamente coincidente con la presa di spuma, con i lieviti responsabili che rimangono in sospensione nel vino, senza degorgément di sorta, a donare rotondità, profondità e complessità aromatica. Corpo e acidità in quel di Asolo consentono il prolungamento di questo contatto, con durate degne di un metodo classico ambizioso (i trenta mesi non sono infrequenti). Numerosi i vantaggi: la trama delle bollicine diviene più fine; la prorompente acidità varietale della Glera viene naturalmente smorzata dalla rotondità guadagnata dalla lisi dei lieviti, senza necessità di dosaggi artefatti; e l‘articolazione dei profumi ne guadagna in peculiare personalità, emendandosi da un diretto (e diritto) coté fruttato tanto gradevole quanto potenzialmente banale.

Il Prosecco Col Fondo rimane una piccola nicchia in un mercato di grandi numeri, praticata solo da 4/5 produttori, con i grandi marchi che hanno fiutato il potenziale allargamento del proprio business, con conseguente levata di scudi dei piccoli produttori, impegnati a rivendicare la “purezza” della naiveté del loro approccio alla vinificazione, e a comunicarla come indispensabile alla peculiari caratteristiche organolettiche della tipologia. La si consideri come moda passeggera, espediente di marketing o risorsa identitaria felicemente recuperata, non si può negare come l’Asolo Prosecco DOCG se ne sia giovato per definire come le proprie caratteristiche siano percepite dai consumatori più avveduti e curiosi.

Venendo alla degustazione di 20 diconsi 20 Prosecco DOCG per lo più Extra Brut e Brut Nature (e anche questa è una peculiarità), con qualche referenza Brut, l’impressione positiva è quella della coerenza interpretativa a livello dell’intera denominazione, nei termini di una sottolineatura delle caratteristiche sopra delineate, sia da parte delle grandi aziende con diffusione più pervasiva nel mercato, sia da parte delle realtà produttive più piccole. Non difettano praticamente mai pienezza gustativa, nerbo acido, nettezza (ma non monoliticità) di frutto, una discreta profondità salina che si esprime in superiore allungo.

 

Al di là della contabilità spicciola degli assaggi, e senza sottostare alla tirannia dei punteggi per una denominazione della quale mi riproponevo di approfondire la conoscenza, ecco alcune etichette che ritengo si siano distinte: in primis il Vecchie Uve di Bele Casel (www.belecasel.com), il prodotto di un vecchio vigneto ove con sapienza d’antan convivono vecchi vitigni non necessariamente ben identificati… Ma chi se ne importa, se a un olfatto di deliziosa espressione floreale segue un sorso nervoso e sapido, di una presenza succosa quasi leggermente tannica, che si allunga su toni vegetali rinfrescanti che re-invitano alla beva, tanto più che i ben 16 mesi sui lieviti cesellano una bollicina carezzevole.

Il Benny di Bresolin (www.bresolin-bio.it) è pur sempre un Extra Brut, ma si esprime al naso con una “dolcezza” più piaciona; il palato è talmente maturo e avvolgente da quasi nascondere un’acidità ben integrata nel corpo del vino, e sufficiente ad alleggerirlo; l’evidenza del frutto si ripropone sul finale, trasportata come su un tappeto volante da una bollicina di sapiente fattura.

Il Progress Country & Wine Resort (www.progresscountrywinehouse.com) è proprio il perfetto buen retiro per godersi la citata “virtuosa sinergia” delle bellezze dell’Asolano. Non ultimo il Col d’Acelum Brut, impostazione produttiva “naturale e biologica”, ma fattura produttiva impeccabile nell’esuberante espressione olfattiva tra impatto fruttato e fragranti riconoscimenti vegetali a far da pendant; e, di nuovo, un sorso pieno e succoso, reso profondo dal corredo sapido, e leggero da un’acidità pimpante: come dire, un Bignami della denominazione.

Sono tre etichette, ma più altre avrei potuto citarne sulla medesima falsariga. Non è da sottovalutare quando dall’assaggio sinottico dei prodotti di un comprensorio si delinea chiara un’identità coerente e diffusa. Quando poi come ad Asolo, essa è quanto mai piacevole ed equilibrata, corre l’obbligo di auspicarne una frequentazione assidua. E che i “prosecchini” e i cocktail standardizzati da binge drinking (non quelli creativi!) siano banditi, con beneficio per chi ne saprà approfittare.

Nella terza immagine, il cocktail Galactus a base di Asolo Prosecco 

Riccardo Margheri

Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

Previous articleCome guidare il vino: nozioni di base
Next articleLuigi Boveri e i Colli Tortonesi: una passione di famiglia lunga più di 30 anni
Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here