AREZZO – Devo confessare che pur abitando in Toscana non avevo mai visitato il centro storico di Arezzo. Come spesso capita pensando a viaggi o semplici week end tendo sempre a privilegiare mete lontane lasciando ingiustamente come seconda scelta le località più vicine, ma abitando in una regione così ricca di storia e cultura sarebbe più saggio prima conoscere bene il proprio territorio e poi allargare gli orizzonti…
L’occasione mi si è presentata col Streetfood Village il 13-14-15 settembre scorsi, evento che ha come protagonista assoluto il cibo di strada proveniente da tutta Italia, giunto quest’anno alla quarta edizione. Panino, spiedino o cartoccio che sia la tradizione culinaria italiana si dimostra piuttosto variegata anche nei cibi da strada tipici di ogni regione se non addirittura di singole città. Le origini si perdono tra le pieghe dei secoli, nelle necessità di un tempo di soddisfare l’appetito con pasti veloci ma al contempo sostanziosi ed economici. Ovvio che gli ingredienti principali di questi pasti fossero legati alle ricette e ai prodotti locali più poveri.
Alla riscoperta e promozione di queste prelibatezze poco conosciute dal 2008 ci pensa Streetfood, associazione aretina nata grazie agli studi e alla dedizione del presidente Massimiliano Ricciarini, che ogni anno propone all’interno di varie manifestazioni sparse in tutto il territorio nazionale un assaggio di quanto detto prima. Ad ogni evento, in base alle postazioni disponibili, sono invitati i produttori – selezionati per garantire la genuinità e tipicità del cibo offerto – cercando, per par condicio, di rappresentare più regioni possibili. Il sogno sarebbe organizzare un evento con tutti i produttori aderenti a Streetfood presenti contemporaneamente ma per il momento, causa problemi logistici ed impegni dei singoli, non è stato ancora possibile.
Così anche in questa edizione, pur giocando in casa, al Prato di Arezzo erano presenti “solo” una ventina di artigiani, un numero comunque più che sufficiente a saziare gli appetiti più robusti e più curiosi. Personalmente ho cercato di evitare prodotti per me consueti o conosciuti come i panigacci della lunigiana, i panini con la “svizzera” (hamburger) di chianina, il panino col lampredotto, la porchetta di San Savino, salumi e formaggi del Casentino, le olive ascolane o i prodotti al tartufo astigiani, cedendo solo per gola ad un cartoccio di pesce (laziale) fritto a puntino.
Per il resto ho assaggiato (anche se questo non è il termine più appropriato viste le porzioni offerte) le bombette di Alberobello – involtino di capocollo di maiale con pancetta e caciocavallo cotte alla brace – bocconi succulenti che “tirano” come le ciliegie; gli arrosticini abruzzesi – piccoli spiedini di carne di pecora tagliata a tocchetti – molto gustosi pur nella loro semplicità grazie alla carne saporita; il pane cà meusa – panino soffice al sesamo riempito con milza, polmoni, formaggio (ricotta salata) e spruzzato con limone – sostanzioso ma dal gusto delicato e con la sferzata del limone ad incentivare un altro morso e un dolce della transilvania, il kurtos kalacs: una base di pasta dolce da lievitazione senza uovo che viene tagliata formando una spirale e poi arricciolata su una sorta di piccolo matterello e, dopo spennellatura con un preparato liquido di zucchero, messa a cuocere in un piccolo girarrosto specifico. A fine cottura, il “cannolo” viene rotolato sulle granelle preferite ed è pronto; il mio era rifinito, secondo tradizione, con granella di noce e spolverata di cannella: soffice e dolce al punto giusto, delizioso. Non mancavano altri contributi di cucina straniera spagnola, argentina e messicana o soluzioni curiose come la “pasta mobile”, un’ape attrezzata per fare e cucinare la pasta fresca, e il lime bar, un carrello a forma di lime appunto, specializzato in succhi, granite e cocktail a base di lime.
A pancia piena una bella camminata ci voleva proprio, così ho approfittato della visita guidata di tre ore del centro storico alto prevista dall’evento. Una visita che, come Silvia Ruberto presidente dell’Associazione guide aretine “Art & Nature” ha voluto precisare, nonostante la durata, rappresentava soltanto un assaggio (tanto per rimanere in tema…) di Arezzo.
Siamo partiti dalla Chiesa di San Domenico con il suo raro campanile a vela, un’architettura poco diffusa da noi e più tipica del nord Europa, e il famoso crocifisso di Cimabue: una pietra miliare nella storia dell’arte per la svolta che ha significato nella rappresentazione del Cristo in croce, purtroppo mai valorizzato come merita.
Poco distante, il Duomo: l’esterno è stato finito nei primi decenni del ‘900 ma l’interno racchiude opere di assoluto rilievo, la Maddalena di Piero della Francesca, le terrecotte dei Della Robbia e il rosone e le vetrate (quelle laterali) di Guillaume de Marcillat, quest’ultime incredibili per i colori e la definizione ottenute direttamente con la pasta vitrea e non con la successiva pittura come solitamente accade.
Da lì a Piazza Grande è un attimo. La Loggia del Vasari – ancora allestita con l’opera contemporanea dell’artista finlandese Kaarina Kaikkonen per la manifestazione Icastica – introduce alla piazza, luogo della Giostra del Saracino, circondata da bellissimi palazzi, ahimè, per la maggior parte “finti” storici. Arezzo purtroppo ha subito i bombardamenti delle guerre e pertanto molti edifici sono stati ricostruiti spesso con “errori” storici, ad esempio le merlature delle torri, un tempo ghibelline a coda di rondine invece delle attuali. E, come se non bastasse, anche il periodo del fascismo ha contribuito a distruggere altri edifici storici per la “fissa” degli spazi aperti, ma resta pur sempre una città che “trasuda” arte e storia.
Qualche passo ancora e siamo giunti alla basilica di San Francesco: la facciata è rimasta incompiuta ma non priva di fascino, all’interno, purtroppo in quel giorno visitabile solo con prenotazione, i famosi affreschi di Piero della Francesca sulla Storia della Vera Croce.
Dopo tante chiese, finita via del Corso, siamo arrivati alla sede del Quartiere Santo Spirito, uno dei quattro della Giostra del Saracino. Ad attenderci il Camerlengo in persona che ci ha accompagnato a visitare il museo della Giostra, inaugurato da pochissimo ed alloggiato nei bastioni dell’antica porta cittadina che guarda verso Roma. Dal XIII° secolo, periodo di origine della Giostra, siamo stati catapultati alla storia odierna (che risale al 1930) con la bella mostra di cimeli, costumi e lance decorate date in premio al quartiere vincitore. Ben presto ho capito che non siamo ai livelli di rivalità come tra le contrade senesi ma non ci manca molto.
Tornando verso il Prato ci siamo soffermati alla Pieve di Santa Maria, pieve perché un tempo si chiamavano così le chiese fuori dalle mura cittadine che, per Arezzo, a quel tempo risultavano essere proprio al Prato. Notevoli il ciclo dei mesi raffigurato sopra la porta e il polittico di Pietro Lorenzetti all’interno dove, mera curiosità, è possibile percepire anche un certo cedimento strutturale della parte sinistra della struttura.
Fine della visita guidata e delle libagioni di una giornata meravigliosa, di quelle che arricchiscono lo spirito e il girovita…
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