PISA – Il gelato sta vivendo un momento felice, è molto amato dagli italiani e dai turisti che vengono nel nostro paese, e all’estero ha un grande successo nonostante spesso i suoi prezzi siano assai più alti di quelli a cui siamo abituati da queste parti. Fortunatamente questa congiuntura felice coinvolge anche gli artigiani che, se sono veramente tali, riescono a trasmettere anche a questo mondo la filosofia (semplice ma spesso dura da mettere in atto) della materia prima naturale e lavorata in modo diretto, resistendo alle scorciatoie dei preparati “omnibus” fonte di lauti profitti realizzati per giunta evitando di stoccare e sbucciare frutta, frullarla, rompere uova, eccetera eccetera.
In questa ottica è stato interessante curiosare fra i risultati della sperimentazione di gelati realizzati con mosti d’uva da vino, effettuata cercando di trasmetterne il più fedelmente possibile i profumi. Soprattutto perché il “gusto uva” non è molto comune, nonostante l’Italia sia grande produttrice di questo frutto. Una sperimentazione resa possibile grazie a due soggetti, un produttore di gelato che non è solo un “mestierante” ma anzi è appassionato e curioso (anche per ragioni commerciali, beninteso), ed una istituzione che abbia mezzi e strutture adeguati a disposizione.
A Pisa questa sinergia si è felicemente realizzata: da una parte, la Facoltà di agraria dell’Università di Pisa, che gestisce un laboratorio nella località di San Piero a Grado, a pochi chilometri dalla città in direzione mare, dove custodisce circa 200 varietà tipiche della costa toscana catalogate con cura in tutti gli aspetti, da quelli morfologici, a quelli fenologici (caratteristiche di fioritura, eccetera), e che fra l’altro ha curato la realizzazione di un Database vinicolo italiano. Dall’altra Gianfrancesco Cutelli, una vita passata dietro vino e ristorazione, poi un giorno folgorato dalla passione per il gelato: l’apertura della sua De’ Coltelli ha segnato una piccola svolta nel gusto in una città spesso dominata dalla “medietà” gastronomica. Poche le concessioni ai gusti “strani”, unico obbiettivo la piena e naturale rispondenza nel gusto di frutta e creme, e non artificiosa o caricaturale rappresentazione, grazie ad una materia prima ricercata con curiosità in mille direzioni ed elaborata con competenze acquisite sul campo. Se il cioccolato è rigorosamente De Bondt (artigiano/artista del cacao pochi metri più in là, sul Lungarno Pacinotti), il pistacchio naturalmente di Bronte, la liquirizia Amarelli, il pinolo del parco di San Rossore, il mirtillo è inseguito fin sull’Abetone (il “piuro”, uno dei migliori d’Europa) e la frutta è colta nella sua stagionalità ricercando le varietà (di pesca, albicocca, ad esempio) a seconda del periodo di maturazione. E, per la prossima stagione, la novità del latte crudo che subisce così un’unica pastorizzazione quando entra nella lavorazione con l’uovo.
I risultati si sono potuti assaggiare in un seminario organizzato durante l’ultima edizione di Dolcemente Pisa, appuntamento goloso e ormai consolidato; Claudio d’Onofrio, il ricercatore che ha coordinato i lavori, ha ribadito il concetto di come l’Italia sia assai ricca in fatto di vitigni: su 5000 tipologie riconosciute, 2300 circa albergano nel nostro Paese, tutti membri della grande famiglia della Vitis vinifera nata nel Caucaso e poi diffusasi grazie a fenici, greci e romani. Ma perché per fare il gelato si è sceto di usare uve “da vino”? Sicuramente per l’importanza che in esse hanno i profumi, ma anche per la buccia spessa che influisce sulla consistenza del gelato e porta con sé un corredo di sostanze antiossidanti che lo rendono salutare: e lo sarebbe ancora di più se si potessero in qualche modo includere i vinaccioli, anch’essi portatori di sostanze benefiche come polifenoli, vitamine, sali minerali.
Visto che il fine era quello di preservare gli aromi dell’uva (quelli primari, e non quelli fermentativi o dovuti all’affinamento in legno, legati alla pruduzione del vino) trasferendoli il più possibile intatti nel gelato, è stato necessario far sì che le loro molecole aromatiche fossero in uno stato libero (“volatili”) e non legato, perché in questa forma sono percepibili dal nostro olfatto, cosa che infatti succede maggiormente nelle varietà cosiddette “aromatiche”. E dunque, per “liberarne” la maggior quantità possibile, soprattutto dalle molecole di zucchero, sono stati usati enzimi alimentari.
E dagli assaggi è stato possibile non solo verificare una corrispondenza aromatica uva-gelato davvero assai riuscita, ma è stato sorprendente cogliere come anche altre specificità delle uve siano state trasferite nel gelato. Caratteri che hanno molto in comune con quelli riscontrabili in un vino, come la consistenza e la tessitura percepite al palato, o la persistenza gustativa. Esempio calzante, quello del gelato a base di sangiovese, che si avvertiva corposo, e stupiva per una notevole “lunghezza” del sapore. Il gelato al vermentino, assaggiato insieme, era più delicato ed elegante; quello al traminer era assai ricco nel finale, mentre nel gelato al cabernet era chiaramente percepibile l’originaria nota l’erbacea; del moscato si riproduceva fedelmente la inconfondibile dolcezza fruttata, del ciliegiolo sensazioni acute e penetranti, e si avvertiva un finale dal gusto amarognolo. Il gelato al brachetto era delicato e “sorridente”.
Un esperimento sicuramente interessante, che ci si augura troverà presto una adeguata applicazione nei banconi delle gelaterie di qualità.
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