PISA – “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”, dicevano gli antichi. Poi qualcuno capì che, anche se viene dopo, è piuttosto la mente a costruire il contesto delle nostre sensazioni, interpretandole, classificandole ed assegnando loro un significato. E la mente può essere convinta, in certo modo anche ingannata. Questo vale anche, e forse soprattutto, in ambito alimentare.
Si è parlato di tartufo bianco, dei suoi profumi, e dei profumi in generale, nella annuale consegna del premio ristorazione della provincia di Pisa, avvenuta nell’incantevole ed affrescata sala del Palazzo del Consiglio dei Dodici, proprietà dei Cavalieri di Malta. Il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum pico) è protagonista nel comprensorio pisano grazie al territorio delle Colline Sanminiatesi, che comprende numerosi comuni (compreso quello di Volterra) nei quali si raccolgono fra i migliori tuberi d’Italia, e quindi del mondo. Fra gli invitati ad intervenire dal coordinatore del premio, il giornalista Claudio Mollo, c’era anche il presidente dell’Associazione tartufai della zona Salvatore Cucchiara, che ha parlato di prezzi in calo, a causa di una maggiore quantità e ampiezza del tempo di raccolta, ma anche a causa della crisi che stiamo vivendo: la forbice si attesta sui 1500-2500 euro al chilo. E c’era Donato Creti, aromatiere ed esperto “top” di sensorialità: ascoltando il suo intervento, si è imparato molto.
In ambito alimentare i sensi sono importantissimi. L’olfatto innanzitutto, che viene spesso trascurato mentre è il controllo di qualità più completo che ci sia su ciò che stiamo per mangiare, migliore di ogni strumento con i suoi numeri “nudi” da interpretare. Ed è, probabilmente per ragioni evolutive, il senso più “rapido”, direttamente collegato al cervello, senza la frapposizione di un timpano, di un cristallino o di una epidermide. Il gusto invece riceve attraverso i “bottoni” posti sulla lingua i quattro sapori fondamentali (dolce, salato, acido, amaro) e il quinto, l’umami, (il “sapido”), tipico dei cibi ad alto valore proteico; venne chiamato così dallo studioso giapponese che scoprì i suoi recettori, sollecitati dal glutammato e dall’acido glutammico. E poi, giù per li rami, il piccante, che arriva “a scoppio ritardato” perché deve attraversare la superficie della lingua e agire sul nervo trigemino, lo speziato, il tannico, e ci sono i “booster” del gusto, alimenti che sono come una sorta di “razzi” che riescono a proiettarlo amplificandolo: il più comune, il Parmigiano Reggiano.
Ma poi tutto passa al cervello, e il cervello nelle sue identificazioni e contestualizzazioni può essere ingannato, o se si vuole, convinto. Si effettuano studi approfonditi sulle frequenze più adatte perché il suono delle patatine venga interpretato come croccante e quindi invitante; ma, soprattutto, come uno yogurt possa essere “omologato” come “alla fragola”, perché mischiare in modo ingenuo e naturale yogurt bianco e frullato di fragole andrebbe incontro ad un sicuro insuccesso.
Ed è qui che si inserisce la figura dell’aromatiere, quello che studia la miscela di molecole aromatiche che dia la rappresentazione più convincente possibile di un odore e di un sapore. Un lavoro facilitato dal fatto che per riprodurre un profumo bastano assai meno molecole di quelle esistenti nell’originale: quello del caffè tostato, per dire, ne contiene circa 1100, mentre ne bastano 40 per simulare alla perfezione il caffè espresso, da moka, americano. La vanillina è presente per il solo due per cento nei semi di vaniglia, ma spesso ne sostituisce in toto la funzione dolcificante e aromatica.
Ma è sul tartufo bianco che si osserva il trionfo di oli, burri, salse aromatizzate: per capire meglio, in sala circola una fiala, dentro c’è una sola molecola, il bismetiltiometano. E ricorda terribilmente il tartufo. Poi, una seconda contiene una miscela di cinquanta molecole che comprende anche i profumi di lampone ed erba tagliata: è un’ottima approssimazione, assai convincente. La mente ci dice che è tartufo.
A questo punto urge un consiglio, eccolo: al ristorante, a costo di apparire sospettosi, farsi portare il piatto senza tartufo, annusare per bene per controllane l’assenza di aromi, e poi farselo affettare sopra. Sette grammi sono sufficienti, anzi abbondanti. Se il tartufo è quello buono!
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