Nasce il primo museo della salumeria in Italia. E l’inaugurazione è un Massimo Bottura one-man show

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musa-museo-salumeria1CASTELNUOVO RANGONE (MO) – Le premesse per un appuntamento da non perdere c‘erano tutte: l’inaugurazione del Musa, il primo museo della salumeria in Italia, a Castelnuovo Rangone, nel cuore del comprensorio modenese, dove da oltre duemila anni si allevano suini e si producono salumi di eccellenza. Una conferenza stampa di presentazione, la visita guidata al museo, la cena del tristellato chef Massimo Bottura. E proprio Bottura da subito, inutile negarlo, si rivela catalizzatore e irresistibile causa di un effetto civetta che ha convinto la stampa di settore a partecipare all’evento. E se alla vigilia le aspettative erano incentrate su un filo conduttore, l’antica arte della salumeria protagonista assoluta da celebrare, poi di fatto nel vernissage ha lasciato traccia soprattutto l’esibizione culinaria (e non solo) dello chef modenese, relegando ad un ricordo fugace il tempo e lo spazio dedicati ai salumi e al museo.

Ma facciamo un passo indietro. Il museo nasce grazie alla famiglia Villani, un milione di euro circa di finanziamento privato per realizzare 200 metri quadrati di spazio espositivo a fianco della sede produttiva. Per la Villani Spa, da 130 anni presente a Castelnuovo e un legame viscerale con la produzione di uno dei prodotti agroalimentari più amati d’Italia, l’ambizione è quella di creare un modello professionale per i giovani spingendoli a credere in questo mestiere e a farne tesoro per il futuro. Il nuovo museo non vuole dunque essere un contenitore di vecchi ricordi e cimeli, ma un progetto evoluto, tecnico e interattivo. Oggi una galleria della tecnologia, domani un luogo di incontro e discussione, con laboratori di ricerca, eventi culturali e una vera e propria “accademia del salume” dove ritrovare l’idea del futuro e non del passato. In un’ottica più strettamente commerciale Villani sta già organizzando itinerari del cibo da offrire come pacchetti turistici ad hoc ai visitatori di Expo 2015.

In sala stampa, accanto all’albero genealogico della famiglia Villani, il direttore esecutivo Corradino Marconi sottolinea come il Musa non sia affatto autocelebrativo e autoreferenziale ma che, al contrario, nasca come strumento didattico con la volontà di celebrare l’arte della salumeria. Benissimo. La curiosità a questo punto è totale e già immagino ampie sale da percorrere con il taccuino in mano, in un percorso lungo e articolato, attraverso il racconto di uno degli artigianati di eccellenza dello storico distretto produttivo modenese.

Anche i comunicati stampa ci hanno messo lo zampino prospettando originali itinerari del gusto disseminati su tre piani, un percorso multimediale di immagini e video, l’esposizione di antichi macchinari, un’area dedicata ai salumi d’Italia. Di fatto la visita guidata è durata poi una ventina di minuti, un rapido excursus di quelli che più che tre piani sono tre piccole sale sovrapposte. Una parete di spezie usate in lavorazione, un paio di macchine antiche per la lavorazione degli impasti di carne, un espositore di vecchi e nuovi strumenti da taglio, un ricettario del 1927 adagiato nella sua teca.

L’area dei salumi d’Italia altro non è che una mappa tridimensionale appesa nel vano scale: lo stivale con l’indicazione dei prodotti tipici regionali. Al piano sotterraneo il profumo dei prosciutti San Daniele a marchio Villani. Al piano primo scorrono i video sui metodi di legatura e c’è uno spazio visivo e multimediale dedicato all’azienda. La durata del percorso è deludente, i gruppi di visitatori sono numerosi e si accavallano, la guida è stringata. La distribuzione degli spazi rende difficile immaginare eventi culturali e spazi didattici. In ogni caso l’idea di fondo del Musa è interessante, la struttura è moderna e lo spirito tecnologico rispetta le intenzioni. Ma, al momento, i contenuti sono limitati ed è innegabile l’impronta autocelebrativa aziendale, sicuramente legittima anche se ufficialmente negata.

Poi in un attimo tutti scompaiono nella sala buffet. E qui entra in scena il decalogo dell’italianità di Massimo Bottura, stilato con l’aiuto della madre. Un elenco che narra le virtù della nostra penisola, decantato con teatralità, leggendo sull’iPhone con la cover di una vecchia musicassetta rivolta a braccia tese verso la platea. Come da un pulpito Bottura parla degli artisti, degli imprenditori come Oscar Farinetti, del nord e del sud, osanna Modena e l’Emilia, cita Kennedy ed esalta la classicità dell’arte e della storia. Il risultato è che la rassegna stampa dei giorni successivi non parla d’altro.

È ora di lasciarsi andare alla compressione di pasta e fagioli, all’essenza di rosmarino, al risotto cacio e pepe dove la spezia viene vaporizzata con una bomboletta spray, di abbandonarsi a un semifreddo da capogiro. L’esperienza gustativa delle creazioni botturiane è senza dubbio impressionante. E una collega scandalizzata dalle mie aspettative (disattese) in materia di salumeria puntualizza che “se inviti Bottura, Bottura può fare quello che gli pare”. Quando poi uno sventurato collega pronuncia impavido la parola “molecolare” l’illustre chef si scalda e lo maltratta senza pietà facendogli una estemporanea e generosa lezione sull’argomento. Ma io torno all’attacco e porto a casa finalmente un abbozzo di disquisizione sull’amata salumeria.

I salumi secondo Massimo Bottura

È evidente che i salumi non stanno al vertice della sua espressione culinaria. Ma sfidando la “delicatezza” che lo contraddistingue, gli ho strappato un paio di battute sul tema.

I salumi nella cucina di Bottura: ci sono o non ci sono?

“Certo che ci sono, sono parte della mia terra, della mia vita, della mia storia e della mia memoria. Li prendo, li affino, li taglio e li servo… mi vengono in mente il prosciutto e il culatello. Il prosciutto non lo puoi toccare, ma puoi estrarre l’osso e creare un brodo di prosciutto per cuocere una tagliatella o un quadretto e assorbire questi profumi, questi umori”.

Ne parla come di un oggetto sacro…

“No, io ho la passione per il mio lavoro e quindi ci metto il cuore. Sto improvvisando insieme a voi, sto andando dentro a un’idea… Puoi dare al quadretto un’idea di valorizzazione e di evoluzione oppure puoi prendere il culatello e sezionarlo tagliandolo, affettandolo e servendolo. Capisci? Questa è una doppia strada. La mortadella, che invece è un prodotto cotto come il prosciutto cotto, o lo strolghino che è crudo possono essere lavorati in un altro modo. Possono toccare anche il calore, possono avere delle evoluzioni diverse al palato perché non si rovinano e non si accentuano, non c’è sapidità in eccesso. È una questione di palato che si chiama palato mentale. Cioè… con la testa ragioni e hai un’idea attraverso quello che conosci durante tutta la tua esperienza del palato. Hai capito?”

Non tanto. Ma qual è il salume che sta meglio nel piatto di Bottura?

“In che senso?”

Quello che le piace di più cucinare.

“Ti ho appena detto che non cucino i salumi”.

Intendo dire quello che utilizza più volentieri nella sua cucina. Insomma, ce n’è uno che le sta “più simpatico”?

“La coppa di testa, perché è il prodotto più umile che c’è”.

Lo invitano sul palco. Tiro un sospiro di sollievo.

Musa – Museo della Salumeria
Via E. Zenasi, 24
41051 Castelnuovo Rangone – Modena
www.museodellasalumeria.it

Altre immagini

Francesca Lucchese

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