ANGERS (FRANCIA) – La Loira è il terzo polo vitivinicolo della Francia e il secondo produttore di vini spumanti dopo la Champagne. I trecentomila ettari circa che compongono la zona sono però distribuiti a macchia di leopardo lungo il corso dell’omonimo grande fiume, che dal sud del Massiccio Centrale scorre nel cuore della Francia fino all’Atlantico. Nel suo percorso bagna molte denominazioni che si ritrovano tutte in questo Salon des Vins de Loire.
Anche i vitigni che godono della sua influenza sono molteplici: dal classico chenin blanc, altrimenti detto pineau de la Loire, al pinot noir, dallo chardonnay al cot (malbec), al gamay, dal sauvignon blanc, al melon de Bourgogne e al pineau d’aunis, per non parlare del cabernet franc, che in queste zone è più diffuso del “fratello” cabernet sauvignon. Molteplici anche le tipologie di vino in gioco: dai bianchi secchi a quelli moelleux e liquoreux, ai rosati sia fermi che spumantizzati, ai rossi de garde, ai metodo classico. Insomma, un panorama completo e intrigante capace di coinvolgere ma anche di mettere alla prova il degustatore più infaticabile.
Per sciogliere meglio la matassa, il salone è suddiviso in due grandi aree denominate Amphitea e Grand Palais: la prima è quasi completamente dedicata ad uno spazio di libera degustazione, dove i produttori presenti possono mettere in assaggio i loro vini; la seconda è costituita dallo spazio espositivo vero e proprio, dove sono allestiti gli stand e dove si possono incontrare i produttori per il “B2B”. Questo perché il salone ha una impronta prettamente commerciale, e chi vi partecipa e chi viene in visita (in maniera tassativa addetto del settore) è prettamente orientato alla vendita. Insomma, non vi è spazio per il curioso, che viene anzi tollerato a malapena. Tutti, o quasi tutti, sono professionisti della filiera vitivinicola: dall’importatore/distributore all’enotecario, al selezionatore per la grande distribuzione, eccetera. Non a caso, nei colloqui intercorsi con alcuni visitatori si parlava subito del prezzo e del possibile collocamento del vino in un catalogo; molto meno dell’aspetto puramente organolettico, per non dire di quello edonistico.
Detto questo, la nostra visita al Salon si è articolata in due giornate: la prima dedicata all’incontro con i produttori presenti e già contattati in precedenza che attendevano la nostra visita, la seconda ingaggiando una prova di resistenza ed assaggiando tutti i pinot noir e i vini moelleux e liquoreux presenti nella sala di degustazione libera.
Il primo incontro è avvenuto con i Vignoble de la Jarnoterie, appartenenti all’Associazione Patrimone du Terroir, il filo rosso che ci guiderà nella prima giornata di degustazioni. Il villaggio di Saint Nicolas de Bourgueil si trova a metà strada tra Tour e Saumur, sulla riva destra orografica della Loira. Il vigneto è praticamente composto solo di cabernet franc e poggia su suoli calcareo-argillosi con esposizione a mezzogiorno. Da questo vigneto di 25 ettari piantato nel 1893 l’azienda trae centoventimila bottiglie l’anno e quattro vini differenti: li abbiamo degustati insieme alla signora Carine Rèze, proprietaria assieme al marito Didier.
Il primo assaggio è dedicato ad un rosé da salasso: il Preludisé 2012. Si presenta con un rosato medio di bella tonalità, profumi fruttati, bocca piena e morbida; vi è anche una lieve nota di crosta di pane che completa il quadro aromatico orientato su un finale fresco.
Altro vino degustato è il Concerto 2010: deriva dalle vigne più vecchie della proprietà (oltre sessant’anni) e si presenta con un bel colore rosso rubino carico, un naso fruttato e speziato con sfumature di ciliegia e fragola. Bocca morbida e piena, consistente, finale con tannini ben levigati e potenziale di invecchiamento di 8-10 anni.
Il nostro percorso all’interno del Salone continua con la visita allo stand di un’altra cantina aderente all’Association: Brisebarre Philippe, di Vouvray. La cantina è composta da 25 ha coltivati a vigna su suoli argilloso-calcarei. Produttore di antica tradizione con aspetto imponente e fare bonario della gente che conosce le vigne, ci propone una degustazione particolarmente interessante, dato che tutti i vini di Vouvray sono prodotti con lo stesso vitigno, il Pineau de la Loire, che qui è il nome locale dello Chenin Blanc. In realtà si distinguono tre sottovarietà ma lo Chenin Blanc (la tipologia Pineau de la Loire ) è senz’altro in percentuale nettamente superiore, tanto che le altre due sono ormai residuali.
Il primo vino proposto da Philippe è un Vouvray 2012 secco. Viene vinificato poi affinato in acciaio nelle cantine scavate nel calcare ( la stessa roccia dello Champagne). Al naso è floreale con note di acacia, ginestra, fiori di arancio. In bocca è fresco, con una acidità caratteristica e una mineralità che emerge nel finale in una bocca scattante. Passiamo alla degusta
Ma la conferma della versatilità di questo territorio e di questo vitigno ce la fornisce l’accoppiata delle annate 2008-2006 della Cuvée Amédée. L’annata 2008, affinata in tonneaux da 500 litri, sprigiona aromi di tartufo, iodio, spezie e una nota vanigliata ben dosata. In bocca risalta la freschezza e gli umori si fanno terrosi e salini. L’annata 2006 invece parte fruttata, floreale, di forte impronta aromatica, mentre in bocca si apre con un bell’equilibrio fra note grasse e fresche, con bella eleganza anche in chiusura.
Passiamo poi ai Vouvray demi sec, quelli che hanno creato insieme a molleux la fama della longevità di questi vini. Assaggiamo per prima l’annata 2008 che è stata raccolta intorno al 23 settembre. Al naso apre aull frutta, con ricordi di pera e ananas, in bocca la morbidezza non prevale sulla freschezza che ben si sposa con la nota dolce di apertura. Il finale sapido e quasi “salato” la classifica -anche a detta del produttore- come un’annata dallo stile tipico di Vouvray.
Alla fine della degustazione Philippe tira fuori da sotto il tavolo una bottiglia di Grande Réserve 1990, per mostrarci la capacità di questo vino all’invecchiamento. È stata a suo dire una buona annata e dalle sensazioni che ci ha regalato direi che doveva proprio esserlo: al naso il tartufo si sposa con le spezie, la ginestra, con note balsamiche ed idrocarburiche a commento. In bocca trovi la mela cotta, la cannella e una grassezza e una complessità affascinanti: un classico, nel senso proprio della parola.
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