In salotto con il birraio: Agostino Arioli e Teo Musso al Baladin Milano

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MILANO – L’anno-spartiacque è il 1996. Prima non c’erano se non sparuti tentativi individuali. Poi quell’anno nacquero Le Baladin di Teo Musso, il Birrificio Italiano di Lurago Marinone di Agostino Arioli, e il Birrificio di Lambrate. Insieme a pochissimi altri pionieri, iniziava così il movimento dei microbirrifici. Oggi sono circa 650, distribuiti su tutto il territorio nazionale.
L’occasione per ricordare quegli esordi e gli sviluppi che ne sono seguiti è data da In salotto con il birraio, iniziativa organizzata da Teo Musso al Baladin Milano di via Solferino, che ogni primo martedì del mese ospita un protagonista del movimento birrario per raccontare le storie delle persone che hanno fatto crescere la birra artigianale italiana.
Il 4 marzo è stato di scena Agostino Arioli, anima del Birrificio Italiano di Lurago Marinone. La sala è piena e in mezzo, stimolati dalle domande di Alessio Franzoso dello staff del Baladin, stanno Agostino Arioli e Teo Musso, due protagonisti assoluti della birra in Italia e non solo. Dei due, Teo Musso viene definito di impostazione belga, mentre Arioli ha riferimenti più diretti alla scuola tedesca.

Arioli Teo Musso

I primi esperimenti di Arioli con le fermentazioni risalgono al 1985, quando inizia a fare la birra in casa: un inizio non proprio facile, dato che in quegli anni non esistevano molte opportunità di reperimento delle materie prime, e quindi gli esordi furono con malto fatto in casa e lievito di birra da pane.
Il suo primo maestro fu Gianni Pasa, direttore del Birrificio Pedavena (una realtà di livello industriale). Con i suoi consigli, e con un aiuto sulle materie prime, nel 1994 aprì una società con il fratello, per poi aprire il Birrificio Italiano nel 1996.
Il perché dell’impostazione “teutonica” del suo stile è presto detto: fu proprio l’influenza del primo maestro, Gianni Pasa, ad instradare le birre di Agostino verso una spiccata tendenza alla precisione esecutiva.

Tornando a quel 1996, ciascuno dei pionieri aveva iniziato per conto proprio, e fu per iniziativa di Guido Taraschi, che aprì a Cremona la Centrale della Birra, che si creò una rete di amicizie e il desiderio di fondare un’associazione che riunisse i produttori della prima ora. Fu per merito del celebre Kuaska (Lorenzo Dabove, cultore della birra a livello mondiale) che Arioli conobbe Teo Musso. Il primo incontro fu al Baladin, a Piozzo. Poi tra mille discussioni e ripensamenti, nel 1998 il gruppo si presentò al Salone del Gusto, facendosi conoscere dal grande pubblico. Con Teo Musso, ricorda Arioli, c’era grande dialettica, approcci diversi alla birra, e questo fu un bene, perché diede un’impostazione più aperta al movimento. Liti, posizioni divergenti, slanci, aspirazioni…
«Dai, abbiamo piantato un bel casino!», dice ridendo Musso.

Alessio Franzoso invita Arioli a parlare della sua creatura forse più famosa, la Tipopils. Una birra degli albori, che nacque proprio nel 1996. Fin da subito Arioli iniziò a praticarvi il dry hopping, ovvero la luppolatura a freddo durante la maturazione della birra. Era una cosa non usuale nelle pils in quanto era vietata dall’Editto della purezza del 1516, che nel mondo germanico aveva dettato le regole per i secoli successivi.
«Al tempo la birra era una piccola rivoluzione – racconta il mastro birraio –;  ti consentiva di uscire dal mondo del vino. Per il mio carattere di bastian contrario, era l’ideale!»

E il mondo della birra italiana? Cosa le manca per essere così incisiva come il movimento birrario statunitense? Per Arioli manca il fare gruppo. «Se riuscissimo a parlarci di più, seduti attorno a un tavolo, portando ciascuno la propria visione del futuro della birra e discutendo, sarebbe fantastico. E poi manca una buona scuola per birrai, 2-3 anni di corsi per formare persone preparate». «In ogni caso negli USA ci sono libri e blog dedicati alla birra artigianale italiana. E questo è già moltissimo»
Nel frattempo, ecco nel bicchiere la Tipopils: colore dorato con riflessi aranciati, naso fresco, agrumato, in bocca ha una bella acidità, è fresca, ricorda il pompelmo, è amarognola e dissetante.

«Quali sono le tendenze del momento?» chiede Franzoso. E qui interviene Teo Musso: «Beh, dal 2005 in poi c’è stata la nascita delle american-ate!» L’accenno è quello alla tendenza della maggior parte dei birrifici a mettere in produzione una birra ispirata al fenomeno delle IPA o APA americane, birre luppolatissime. «Con 650 birrifici è normale che ci sia qualche deriva modaiola – aggiunge Arioli –, una infatuazione che rischia però di creare omologazione. Ma forse è normale, è una “sbandata” giovanile di un movimento che come quello italiano, ha una storia breve alle spalle». Per Teo Musso il fenomeno delle IPA è paragonabile a quello delle barriques nel vino, con una parabola dapprima in crescita portentosa, poi ridimensionata verso un approccio più maturo. «La luppolatura esasperata è un sintomo di adolescenza. Il vino, poi, ha una storia millenaria alle spalle a fare da guida, mentre per la birra in Italia la storia è breve. Per questo il fenomeno IPA in Italia mi fa un po’ paura. La birra non è solo luppolo».
«C’è anche da dire – aggiunge Arioli – che se oggi quasi ciascuno dei 650 microbirrifici italiani fa una IPA, è anche vero che solo in pochi casi si ha una birra con caratteristiche qualitative e l’equilibrio giusto per restare in piedi».

Nel frattempo ecco la Amber Shock, altro grande cavallo di battaglia del Birrificio Italiano fin dagli esordi del 1996; si tratta di una birra in stile doppelbock, ambrata, dove il malto è il protagonista principale. Di lei, Arioli dice che oggi rispetto alle origini si è leggermente evoluta, acquisendo un’impronta più luppolata. È una birra “delle origini” perché la sua formula deriva proprio dai suoi primi esperimenti di birra fatta in casa.
Già nel bicchiere appare densa, ambrata. Il naso è speziato, ricorda il panettone, gli agrumi canditi. In bocca è avvolgente, molto corposa, c’è tanto malto ma anche una buona amarezza a bilanciare le rotondità zuccherine, è pastosa, si potrebbe definire un “pot pourri”.

A proposito di origini, Alessio Franzoso chiede il perché della scelta di aprire un birrificio a Lurago Marinone (campagna a metà fra Como e Milano), paese non propriamente “dietro l’angolo”. Le ragioni, racconta Arioli, furono di natura economica, per i costi di affitto accettabili, «…E poi andava bene per un inizio in sordina, era il luogo ideale per crescere. Un agente immobiliare ci portò lì e ci piacque. Poi la cosa ha funzionato!»
Ha funzionato, ma non subito: «Dopo un anno e mezzo dall’apertura eravamo in crisi, senza soldi… poi la cosa ha preso piede ed è andata bene; non mi sono mai chiesto come sarebbe potuta andare da altre parti.»

«Quali sono le birre che oggi ti piacciono di più, in Italia?» chiede Franzoso.
«Ti rispondo con nomi e cognomi. Mi piace la Sunflower del Birrificio Valcavallina (di Endine, Bergamo), molto beverina. Poi la Xyauyù di Baladin, la Rodersch del Birrificio Bi-du, la Verdi Imperial Stout del Birrificio del Ducato. Se mi chiedi quali birre mi piacerebbe fare ti direi alcune birre invecchiate come le fa Montegioco, ancora la Xyauyù, la Terzo Miglio del Birrificio Rurale…»
«E tu Teo, quali birre “ruberesti” a Agostino?»
«La Extra Hop, sicuramente, glie la ruberei volentieri.»

«Le birre barriccate e quelle alla frutta sono un filone importante – afferma Arioli – non per i numeri, ma per la sperimentazione che c’è dietro. Nel 1999 ho iniziato a fare la Scires, solo per consumo personale, e adesso l’ho rimessa in produzione. E sto lavorando a una joint venture per produrre birre alla frutta, birre con brettanomices, e birre invecchiate in botti da vino.»
«Beh, quest’ultima l’ho già sentita da qualche parte!», scherza Teo Musso, riferendosi alle sue birre  invecchiate in botti dove sono stati affinati grandi vini, come la Terre, un barely wine.

«Qual è la differenza maggiore tra una birra artigianale e una industriale?»
«È il fattore umano che viene fuori, – afferma Arioli – quanto portiamo di noi stessi nel prodotto. E anche il fatto che la birra artigianale è in continua evoluzione. Il fattore umano a mio avviso deve esserci anche a livello commerciale. Ci tengo molto a conoscere chi vende le mie birre; è un po’ come seguirle fino in fondo.»

«E cosa ne pensi del mondo dei bolg, possono essere utili nel tuo campo?» chiede Franzoso al mastro birraio lombardo.
«Cerco di utilizzare tutte le possibilità di comunicazione che ci sono, cerco di far sapere cosa faccio in giro; anche se c’è una preoccupazione: se punto troppo sull’immagine, rischio di ritrovarmi con clienti che non sono interessati alla birra.»
«Da parte mia – aggiunge Teo Musso – non credo agli incontri su Facebook; in questi anni ho cercato di creare luoghi d’incontro reali nei locali… per guardarsi in faccia e parlarsi direttamente.»

Arriva il momento di assaggiare l’ultima birra portata da Arioli: si tratta di una birra nata da poco, la Nigredo. Proviene dalle sue ultime sperimentazioni sulla tostatura del luppolo, è una birra nera, a bassa fermentazione, luppolata con luppoli europei (nello specifico, tedeschi). La caratteristica che la distingue è proprio il fatto che una parte del luppolo viene tostata, sviluppando così particolari aromi. 6,5 gradi alcolici, colore scuro, naso pungente, acuto, aromatico, in bocca si presenta agile, asciutta, con una nota affumicata e un finale leggermente tannico. Davvero buona.

Poco prima della fine della serata, qualcuno gli chiede di parlare dei bicchieri che sceglie per le sue birre:
«Beh, a parte il fatto che un bicchiere adatto esalta veramente le caratteristiche della birra, concludo raccontandovi questa: per la Cassissona, all’inizio (quella birra è nata nel 1999) tutti mi dicevano: “Agostino, ma che bei bicchieri hai fatto fare!” In realtà erano vasi da fiori dell’Ikea!»

 

I prossimi appuntamenti di In salotto con il birraio al Baladin di Milano sono:
1 aprile Luigi D’Amelio del Birrificio Extraomnes di Marnate (Va)
6 maggio la Lambrate’s Crew del Birrificio Lambrate di Milano
3 giugno Giovanni Campari del Birrificio del Ducato di Busseto (Pr)
1 luglio Valter Loverier del Birrificio Loverbeer di Marentino (To)

Baladin Milano
Via Solferino 56 Milano
tel. 02/6597758
baladin.milano@gmail.com
www.baladin.it
https://www.facebook.com/baladin.milano

Birrificio Italiano
via Castello, 51 22070 Lurago Marinone (Co)
tel e fax 031/895450
birrificio@birrificio.it
http://www.birrificio.it/

GALLERIA DI IMMAGINI

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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