I grani antichi sono nel nostro futuro (perché la felicità nasce nell’intestino tenue)

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grani_e_pani_20FIRENZE – Forse il problema sta proprio in quella parola, in quell’aggettivo: “antichi”. Forse sa di passatista, di nostalgico. Invece l’attualità è grande, quando si parla di grani antichi. Dal punto di vista ambientale, alimentare, salutistico. Questo uno dei messaggi principali trasmessi dal forum Grani&Pani, svoltosi il 25 e 26 settembre scorsi all’Accademia dei Georgofili di Firenze, sotto l’egida di Expo 2015 e con il coordinamento della giornalista Paola Mencarelli del Gambero Rosso, che ha visto oggetto di racconto e discussione i grani, le farine, il pane toscano e quello italiano.

Ma perché i grani antichi rappresenterebbero il presente ed il futuro dell’alimentazione e non il passato? Lo ha spiegato bene Stefano Benedettelli, docente di genetica agraria all’Università di Firenze, che è stato dietro alle esperienze di tanti agricoltori, guidandoli e stimolandoli. Intanto, va seguito sempre un principio “aureo”: quello che si mangia da più tempo è meno probabile che faccia male, rispetto agli alimenti introdotti più di recente (e il pensiero va ai grassi saturi).

Detto questo, va però affrontato un problema che non può essere eluso, che è quello della produttività. È possibile fare a meno dei grani “di potenza”, quelli utilizzati dall’industria alimentare che producono 70 quintali per ettaro, sostituendoli con altri che ne producono solo 20 per sfamare una umanità in piena esplosione demografica dove muoiono di fame un numero tragico di uomini e bambini? 

Il fatto è che sta cominciando a farsi strada la convinzione che l’agricoltura come è concepita oggi sfami (forse, e comunque non completamente) ma al tempo stesso distrugga. Distrugga terra e e acqua, e quindi alla lunga distrugga se stessa. Andando nel particolare: i “grani antichi” sono alti e non competono con le erbe spontanee, traggono nutrimento dalla terra grazie a radici profonde, si adattano ai terreni marginali e permettono così di recuperare superfici per la coltivazione, e di tutelare il paesaggio rurale preservandolo da dissesti idrogeologici sempre più frequenti. Sono in armonia con il contesto in cui vivono e non scatenano l’aggressività di parassiti.

Dall’altra parte ci sono grani iperproduttivi con radici minime che vanno dunque nutriti con quantità massicce di concimi chimici altamente inquinanti, sono bassi e devono competere con erbe spontanee (bollate quindi come “infestanti”) che diventano veramente aggressive se “sopravvivono” ai diserbanti, distruggono una terra che diventa improduttiva per anni e sono vulnerabili a insetti e parassiti, un problema che non si risolve neppure con le modifiche genetiche (Gm) perché come al solito gli insetti si modificano anch’essi diventando più aggressivi e spesso incontrollabili.

Quindi, verrebbe da dire, largo al Senatore Cappelli, il grano più famoso selezionato da Nazareno Strampelli, ma anche a tutti quelli esposti in mostra sempre negli ambienti della Georgofila fino al 30 ottobre: il siciliano Tummiria, che profuma di finocchietto e carciofo selvatico (insomma, di terroir), il Gentil Rosso, il Verna, il Frassineto, il Maiorca, il Russello,  l’Enkir, l’Andriolo, i farri Monococco (il primo cereale mangiato dall’uomo) e Perciasacchi (farro lungo)…

E largo ai nuovi contadini come quelli intervenuti al forum, ai giovani che hanno rilevato e per certi versi trasformato aziende agricole di famiglia: Rosario Floriddia dell’omonima azienda di Peccioli (Pisa) che è anche mulino, Lorenzo Satti della Garfagnana Coop di San Romano in Garfagnana (specializzata naturalmente in farro), Lorenzo Ighino dell’Azienda La Felicina di Calizzano (Savona), che ha scoperto questi grani dovendo realizzare una rotazione con la sua produzione principale, le patate, Giuseppe Li Rosi della Terre Frumentarie di Raddusa (Catania) e Vincenzo Coppola della Agricola Zullo di Ruviano (Caserta).

Poi ci sono i molitori, ossia i trasformatori, e qui si apre un altro mondo, quello dei mulini, a cui è fra l’altro dedicata l’Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici che organizza visite ogni terza settimana di Maggio. Anche in questo caso, imprenditori spesso giovani hanno capito come riprendendo vecchie metodologie conservate solo per usi “famigliari” potevano accedere a mercati dalle nuove sensibilità. Naturalmente il pensiero va alle macine in pietra spesso per fortuna preservate nonostante la cui morte fosse stata già decretata a favore dei più efficienti rulli in metallo. E invece si è scoperto poi che non svuotano né lasciano “nudo” il chicco come accade per ottenere le farine “00”. Certo, la tecnologia è fondamentale per la sicurezza e l’igiene (nessuno si fa mancare gli analizzatori ottici che mediante videocamere eliminano le impurezze controllando i colori) ma questi giovani che arrivano dai due estremi d’Italia (Fulvio Marino del Mulino Marino da Cossano Belbo in Piemonte e Filippo Drago di Molini del Ponte da Castelvetrano in Sicilia) ora girano il mondo perché c’è sempre più consapevolezza che l’armonia del corpo deriva da quella del cibo, e che quindi tutte le parti di un chicco di grano hanno la loro funzione.

“La nostra vita e la nostra felicità dipendono in gran parte da quello che accade nell’intestino tenue”, esagera (ma poi non troppo) divertito il nutrizionista Pier Luigi Rossi,  perché è li che i cibi diventano molecole che entrano dentro di noi insinuandosi fin nel nostro DNA. Ed è di questo che dovremo tenere sempre più conto.

Nelle immagini: il professor Stefano Benedettelli; Fulvio Marino e Filippo Drago

galleria fotografica

Riccardo Farchioni

5 COMMENTS

  1. Sono interessato alla semina di qualche grano antico, desidero sapere ove trovare del seme di Russello o Senatore Cappello altro ed il relativo costo grazie
    Nicolò Sorce

  2. bello e incoraggiante. Noi abbiamo lanciato una sfida con l’agricoltura erotica, in fondo, ogni interesse all’azione, parte da eros

  3. salve.
    Sono un’insegnante e con i miei bambini sto lavorando ad un progetto che prevede anche la semina di grano. Mi piacerebbe sapere quali sono i grani antichi dell’Oltrepò. Ho fatto molte ricerche, ma non sono riuscita a trovare nulla di utile o funzionale.

    Grazie in ogni caso
    Anna

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