La prospettiva del bufalo 2015. Vini fuori dal coro: Liguria

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La prospettiva del bufaloInutile negarlo, la girandola infernale degli assaggi “guidaioli” estivi mi stordisce. Mi stordisce straniandomi. Le migliaia di vini sorseggiati e commentati diventano sogno e ossessione, e mi catapultano in una strana dimensione psicofisica, a metà strada fra severo disincanto e ardore agonistico. Ci vuole tempo per digerire tutto, per risalire all’aria dopo la lunga apnea enoica. Ci vuole tempo per elaborare e raccogliere i segni utili per una scrittura che possa considerarsi arricchita, maggiormente consapevole o ispirata. Per ritrovare il senso di un lavoro tanto maniacale quanto straniante.

Un aspetto che mi conforta e che stimola sempre aspettative nuove è quello che riguarda il lato oscuro della ribalta, tutto ciò che sta in penombra. Quella fitta rete di vignaioli e di piccoli-grandi vini che per una ragione o per l’altra non hanno ancora i riflettori della notorietà puntati addosso. Perché sono ancora troppo pochi coloro che li riconoscono per quanto valgono, perché magari trattasi di giovani realtà, perché la comunicazione è quella che è, perché la diffusione dei vini è quella che è. Perché dei riflettori, forse, potrebbe fregargliene il giusto.

Insomma, non si vive di soli nomi noti, ecco. Una consapevolezza questa che mi aiuta a riemergere dal cono d’ombra tipico del criticone, abitato da pedisseque e micragnose puntualizzazioni notarili, quasi a tarpare le ali alla spontaneità e al mero trasporto emozionale. Ed è per questo che invariabilmente mi prende la voglia di parlare dei vini fuori dal coro, dei vini “obliqui”, dei vini che non ti aspetti, di quelli che non conoscevi, di quelli che scartano di lato (come il bufalo, ci direbbe De Gregori), di quelli che- indipendentemente dal tasso di complessità- disegnano traiettorie stilistiche con le quali è bello averci a che fare. Di quelli che ti attraggono e non sai perché. O forse lo sai ma non ti importa di spiegarne i motivi.

Questi piccoli pezzi, quasi fossero schizzi impressionisti, sono dedicati a quei vignaioli lì, a quei vini lì. Con la speranza di instillare un briciolo di curiosità in più nel coraggioso lettore. O di poter diventare tutti un po’ più bufali.

LIGURIA

Ormeasco di Pornassio Sciac-Trà 2014  – Guglierame Nicola (€ 11/13)

L’eroismo di cui si intride il gesto agricolo è arrivato fin lassù, sui contrafforti collinari di Pornassio, in alta Valle Arroscia, nell’entroterra imperiese. Lì dove Nicola Guglierame viene ancora ricordato come una persona grata alla comunità. Per la perseveranza, la passione e l’impegno, durati tutti una vita, che ha riservato al raro ormeasco, vitigno ligure fin nel midollo blandamente riconducibile alla genìa dei dolcetto, qui tradotto in vini dall’indole “montanara” grazie alla spigliata verve acida e ai profumi ariosi, e declinato nelle classiche versioni in rosso e in rosé.

E proprio di quest’ultima vorrei parlarvi oggi, perché lo Sciac-Trà 2014 dei figli dell’ingegner Nicola, Agostino e Raffaele (niente a che vedere con lo Sciacchetrà delle Cinque Terre, se non nell’onomatopea di un nome), rimarrà nella storia della tipologia: veracità ed eleganza vanno a braccetto, alimentate dai sentori di terra, ruggine e fiori. Beva suggestiva, “aerea”, infiltrante, facile, per un vino quasi dimenticato e ahinoi poco conosciuto aldifuori dei confini provinciali. L’ennesima biodiversità de noantri. L’ennesima bella sorpresa.

Riviera Ligure di Ponente Pigato 2014 – Fontanacota (€ 10/12)

Estrarre dal cappello un 2014 così elegantemente sfumato, senza che ne risentano tensione, continuità e capacità di dettaglio, non deve essere stato facile. Marina Berta ci è riuscita, e dai suoi piccoli appezzamenti nella Val Prino, in provincia di Imperiase ne è uscita fuori con un vino ritmato, fresco, modulato nei toni, progressivo nello sviluppo. Quale brillante amalgama di sensazioni mai esplicite e però disinvolte, rappresenta un bel conseguimento per l’annata, e fa il paio con le altre referenze aziendali, che in piena coerenza si offrono secondo un disegno sobrio, composto, pulito senza apparire chirurgico, in grado di giocare con le sfumature di sapore.

Colli di Luni Vermentino 2014 – La Béttigna (€ 10/12)

Repetita juvant: (ri)parliamo della Béttigna e dell’unico vino prodotto. Che anche al cospetto del recente insidioso millesimo lascia trapelare di che pasta è fatto. E -di rimando- lascia trasparire il valore del piccolo vigneto di Molicciara (nel comune di Castelnuovo Magra) che ne alimenta le sorti. Qui, più che in altri casi, la passione autentica che ha spinto Emilio Falcinelli e Nicola Lazzoni a recuperare il piccolo enclos dimenticato va traducendosi in un Vermentino speciale il quale, fin dalle prime apparizioni, ha mostrato un felice amalgama di veracità e dinamismo, non disgiunto da buone doti di carattere. Nel 2014 queste doti confluiscono in un sorso gradevole, spigliato, contrastato, che si affida a trame esili e snelle, non troppo dense ma nemmeno diluite.

Carlaz 2013 – Prima Terra (€ 22/25)

Nel variegato e chiacchieratissimo orizzonte stilistico su cui si muovono i vini macerativi (ossia quei vini ricavati da uve a bacca bianca lasciate macerare sulle bucce), il progetto Prima Terra  – che fa capo al vignaiolo/etnologo/battitore libero Walter De Batté – ha radici consolidate e tutta una teoria di vini alle spalle a cui non ha mai fatto difetto il carattere. A volte spiazzanti, a volte riusciti, così si è inteso interpretare il territorio: come un viaggio à rébours nella tradizione dei luoghi, sfruttando lunghe macerazioni e lunghi affinamenti. Soprattutto, avvalendosi di una viticoltura pulita, epurata dalla chimica, alla riscoperta del potenziale nascosto nei vecchi ceppi disseminati fra le fasce di terra pendenti delle Cinque Terre o nella mai troppo esplorata Val di Magra.

E se il metodo di elaborazione ha più volte rischiato di omologarne i tratti aromatici e gustativi, nel caso del nuovo Carlaz 2013 questo aspetto passa finalmente in subordine. Abbandonando la rugosa tannicità che ne aveva segnato alcune edizioni del passato, questo Vermentino dal colore aranciato ritrova ariosità, eleganza nelle forme e una gustosa cremosità. Aprendo così ad una dimensione “altra” di vino che per una volta “sente” l’approdo, grazie alla compiutezza e al bilanciamento fra le parti. Perché grinta, fibra e sapidità restano qui condensate in un bicchiere gustoso, dalle infiltranti coloriture floreali, che si lascia ben bere.

Bianco 2013 – Antonio Perrino Testalonga (€ 11/13)

Vignaiolo per antonomasia, fuori dal coro per vocazione, Antonio Perrino “Testalonga” ha firmato vini emblematici di Dolceacqua. E se il suo celebre Rossese, sapido e artigiano, ha fatto letteralmente la storia della denominazione riuscendo a convincere anche i più scettici riguardo al potenziale di longevità di cui possono essere capaci i rossi della zona, è nel suo Vermentino che rintracciamo la forza comunicativa che attiene ai bianchi più veraci e gastronomici. Quelli che accolgono ben volentieri, nella generosa pienezza del sorso, nella carnosa fibrosità del tratto e nello slancio sapido, i più disparati accostamenti con la tavola. Tirato in piccoli numeri, fermentato grazie ai lieviti indigeni e affinato in botte di rovere, dalla sua una naturalezza espressiva che non scordi.

Rossese di Dolceacqua Foulavin 2013 – Tenuta Anfosso (€ 15/18)

L’escalation qualitativa della produzione di Alessandro Anfosso non conosce flessioni. Il carattere rigoroso e a tratti intransigente dei suoi Rossese di un tempo (vinificati solo in acciaio, con il parziale contributo dei raspi, soggetti a lunghi affinamenti prima della commercializzazione) è andato gradualmente stemperandosi in una fisionomia più complessa, elegante e sfaccettata, corroborata da una crescente naturalezza. Al punto tale che la loro conoscenza si è fatta ineludibile per chiunque desideri entrare nella galassia Rossese dalla porta principale. Inutile ribadirlo, ma anche in questo caso i numeri non giocano a favor di diffusione: 4 ettari vitati, distribuiti fra i suggestivi cru Pini, Luvaira e Foulavin, è quel che passa il convento. Però val la pena ricercare questa new entry, ricavata dal vigneto Foulavin, che Alessandro ha deciso di vinificare per la prima volta separatamente. Perché la struggente melodia aromatica, quasi “pinotteggiante”, assieme alla raffinata tessitura innervata da una avvincente sapidità, fanno assumere al vino tratti distintivi, dove i sentori floreali, speziati e terrosi vanno a concretizzare un componimento arioso e seducente, a cui è difficile resistere.

Rossese di Dolceacqua Superiore Du Nemu 2013 – Luca Dallorto (€ 14/17)

Nel giro di poche vendemmie Luca Dallorto si è ritagliato un posto al sole nella nouvelle vague dei vignaioli liguri. E questo grazie alla brillante caratterizzazione dei suoi Rossese, ricavati dai vecchissimi ceppi di Arcagna e da quelli più giovani di Tramontina, e alle peculiarità di un Pigato già capace di prestazioni eloquenti. Nella ricamata tessitura aromatica del Superiore 2013, nella tenerezza fruttata, nel candore, nel fraseggio sottile, nella sua spigliata golosità ritroviamo la purezza dei migliori Rossese, quelli che riescono a incarnare come pochi le fattezze del vino finto-semplice, giocando di sottintesi e riuscendo simpatici a istinto. Non fai in tempo a spiegarti il perché e già ti sono entrati in circolo, lì dove i ricordi si conservano senza sforzo.

FERNANDO PARDINI

3 COMMENTS

  1. Ti ringrazio Fernando a nome di questi produttori coraggiosi.
    Ti ringrazio ancora per le belle parole di incoraggiamento e apprezzamento per i miei vini
    che avesti tanti anni fa’.
    Mi sembra di conoscerli tutti. La fatica del quotidiano, l’esaltazione a seguito di un assaggio
    che soddisfaceva l’enologo sempre fuggitivo, le notti a studiare le etichette che piu’
    somigliassero all’idea che mi ero fatta dei miei vini, la passione con cui cercavo di
    descriverli. La passione non se ne e’ andata, come vedi ti seguo sempre.
    Continua cosi’
    Eliana

  2. Dai Eliana, significa che DEVI produrre vino. Altro vino. Nuovo vino.
    Mi fa immenso piacere la tua lettura. E poi mi hai dato lo spunto per la vecchia annata che dovrò portare stasera a cena da amici….un vino marchigiano, rosso, pepato…….

    ciao
    fernando

  3. Caro Fernando, purtroppo non POSSO piu’ produrre vino. Le ragioni magari te le spiego se mi scrivi in privato,
    inutile tediare i nostri amici del sito.. Quelle bottiglie sono le ultime, forse qualcuna ne e’ rimasta nelle enoteche
    di Roma e nei ristoranti di New York o di Tokyo….Qualcuna e’ ben conservata (almeno spero) nella mia cantina
    privata nelle Marche. Fammi sapere se passi da li’……immenso piacere aprirle insieme a te.

    ciao
    Eliana

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