L’arte, la materia prima, l’ingrediente: le ossessioni di Massimo Bottura

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“Io sono o-sse-ssio-na-to.”

massimo-bottura-1PISA – È quasi un sibilo, quello che viene da Massimo Bottura quando con questa frase inizia a parlare seduto sotto le slide che mostrano un alternarsi di piatti e opere d’arte. Un uomo che ha conquistato in pochi anni le tre stelle Michelin, il secondo posto nella The World’s 50 Best Restaurants, e che da pochi giorni è stato insignito da un inedito/storico 20/20 dalla guida dei ristoranti de L’Espresso. Vederlo in veste di relatore (siamo all’Internet Festival 2015 di Pisa) è sempre interessante, i contenuti non sono mai banali e il physique du rôle del conferenziere che cattura l’attenzione c’è tutto. Poi, la simpatia emiliana non manca e il pizzico di sana follia neanche.

“Sono ossessionato dall’arte”, e passano le immagini di Picasso e poi quella della sua lepre in civet, in cui prese una ricetta di Paul Bocuse e la trasformò completamente: la lepre, cruda, con il tartufo bianco disidratato, l’erba bruciata e l’erba fresca, la polvere di caffè e quella di biscotto… Poi passa la Capri Battery di Joseph Beuys che si stava curando in costiera, abbinata al suo “Ups, mi è caduta la crostatina al limone”, in cui un errore (che gettò nella disperazione un  meticolosissimo collaboratore giapponese in cucina) è diventato un piatto (e René Redzepi, quello del Noma di Copenaghen, gli ha poi mandato un whatsapp con la foto di un “Sheet, I burned the sugar cake” scattata in un ristorante australiano).

“Sono ossessionato dagli ingredienti, dalle materie prime.” A tal punto che per nessuna ragione vanno traditi gli sforzi di contadini e allevatori che faticano sulla terra per ottenerle. A costo anche di tradire, si, una la tradizione che va rispettata ma superata. Anzi, citiamo: “Prospettive e tecnica trasformano la natura con rispetto della tradizione, senza nostalgia”. Come succede nel suo “Bollito non bollito” dove non si impoverisce la carne, che è buona se frutto del lavoro duro e accurato del bravo artigiano. Piuttosto, la preservazione e la continuazione della tradizione ci deve essere ma va affidata alle osterie, quelle vere e non le “nuove” che “rivisitano”. “Hanno uno spartito scritto, devono solo eseguirlo facendo la spesa al mercato (e non dove sappiamo noi), e poi tradurre le stagioni in pietanze!”

Ma attenzione, e qui il Bottura-pensiero investe un altro tema-tormentone: il cuoco non è un artista, è un artigiano. Un artigiano può e deve raggiungere anche il bello, e il cuoco deve puntare al buono, al piacere del palato. Un artista deve anche colpire, urtare, deve essere completamente libero.

Poi c’è anche il Bottura educatore, quello del progetto della scuola di cucina che dovrà nascere nella Villa Sorra di Castelfranco Emilia in collaborazione con l’Istituto Spallanzani e che coinvolgerà aziende produttrici di materie prime del territorio, ingloberà poderi e case coloniche circostanti in modo che gli allievi, se vorranno diventare veri cuochi e chef, dovranno convivere con i contadini e i casari, diventandolo un po’ anche loro. E il Bottura solidale, che con il suo Risotto cacio e pepe ha messo in moto un movimento che ha portato (grazie anche al Salone del gusto di Torino) a vendere tutte le forme di Parmigiano danneggiate dal terremoto, e nessun caseificio ha chiuso.

38 persone al lavoro per 27 coperti, e per produrre una cospicua quantità di idee, di spunti, di riflessioni, di filosofie ed ideologie. Per mettere l’Italia in prima linea nel pensiero gastronomico moderno. Ecco perché, ed è il paradosso finale, “nessuno viene in Francescana per mangiare, ma per vedere cosa c’è nella nostra testa.”

 

Video: Massimo Bottura ed il food porn, la mania di fare foto al ristorante

Video: La cucina e gli chef in televisione e la Nouvelle Cuisine

Riccardo Farchioni

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