Memorie d’Inghilterra/3. Derventio Brewery, un antidoto alle contraddizioni

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FOTO OK COMPUTER 1003 - Copia (Small)Le uniche vere autostrade che attraversano l’Inghilterra, se così possiamo chiamarle, dal momento in cui non sono a pagamento, sono la M1 e la M6, per un totale di soli 680 chilometri. C’è poi qualche tratta a lunga percorrenza ma per la maggior parte sono strade normali. Come quella, tanto per intenderci, che da Viggiù va a Clivio. O come quella che da Montepulciano porta a San Quirico d’Orcia. Se togliamo il fatto che le quattro città principali, Londra, Birmingham, Manchester e Liverpool, contengono circa un terzo della popolazione inglese, il resto sono campagne, boschi e pecore al pascolo. Avete già meravigliose immagini di natura nei vostri occhi, vero? Invece ecco che incantevoli scorci restano imbrattati dai “comignoli ” agghiaccianti delle centrali nucleari, oppure affascinanti “cattedrali nere” di ferro e bulloni le trovate nascoste in solitudine fra la vegetazione sparuta e incolta, abbandonate dopo la vittoria della Thatcher sugli scioperi dei minatori inglesi (1984-1985 ). Se invece entri in un negozio all’ora del tè, capita spesso che sei invitato a sederti e a prenderne una tazza. Ben diverso il trattamento che gli anglosassoni hanno riservato agli africani con lo “ scrambler for Africa “, letteralmente lo “ sgomitare per l’Africa”, per la spartizione del continente. Insomma, se vogliamo cercare un senso a tutto questo, non lo troviamo. Comunque, cari lettori, senza scomodare i macro-sistemi e rimanere nel nostro piccolo quotidiano, possiamo tranquillamente affermare che non ci torna più niente, non c’è più religione e sono tutte mezze stagioni.

Solo contraddizioni certo, ma che spesso ti fanno suonare il campanello in testa. Dove stiamo andando? Incongruenze, incoerenze. Forse le stesse domande che John Baldock, Pete Nash e Martin Roden si fecero a suo tempo. Brillante carriera da ingegneri ferroviari per tutti e tre. “Un bel posto fisso, un bello stipendio”, mi dice Pete, “ sta di fatto che un giorno, parlando di quello che non andava, ci siamo chiesti che cosa avremmo veramente voluto per la nostra vita”. Gli fa eco Martin “ No, questo non è ciò che voglio per la mia vita, gli ho risposto allora. E voi?….”. Gli ingredienti c’erano tutti: amicizia di lunga data, produzione di birra “ home made “, solida reputazione di bevitori, buone dosi di determinazione, un pizzico di lungimiranza. A proposito, ma cos’é sta lungimiranza? Qualcuno mi sa dire di più al riguardo? Spesso chiedo a Severino, il mio salumiere di fiducia -personaggio burbero e irascibile, ma di cuore- se è arrivata, oppure se vi è modo di prenotarla. Nel suo negozio di solito non manca mai niente, i suoi banchi sono sempre pieni di golosità. Purtroppo in questa sede non posso riferirvi la risposta di Severino, anche se comunque, con la filosofia che gli si confà, ha proprio risolto l’arcano.

Il sacro weekend britannico è appena iniziato ed ogni bravo inglese se ne appropria per viverlo pienamente. Mi affido all’etere per sapere se i mastri birrai sono in casa. “ Certo che possiamo fare due chiacchiere: è un piacere. Soltanto che abbiamo  un gruppo di appassionati per una degustazione. E’ un problema?”. Mi sfrego le mani e rispondo: “ certo che no, e quando mai mi ricapita di trovarmi in mezzo ad un gruppo di trenta appassionati di birra e per lo più inglesi?”.

Fortunatamente alla mia scarsa concretezza, motivo di afflizione per mio padre, ha sopperito la fantasia. Quindi quel giorno ho deciso di sentirmi “suddito” di Sua maestà. Mi fermo a vedere una partita di rugby ad Haslams, sede del Derby Rugby Club, dove gli individui di sesso maschile con birra in mano incorporata sono praticamente il 100%, tutti in maglietta a maniche corte nonostante la pioggia e gli otto o nove gradi di temperatura. Il birrificio Derventio Brewery si trova alla fine del campo sportivo, dove una vecchia costruzione, memoria della prima rivoluzione industriale, fa da sfondo. Hai capito ‘sti anglosassoni geni del business? A partita finita, deciso a buttar giù qualche pinta, con sguardo torvo e busto piegato in avanti per evitare gli scrosci d’acqua che il buon dio ci regala, mi metto in marcia.  “Voglio far veder loro di che pasta sono fatto”,  mi dico tra me e me.

Sono l’ultimo. Dentro non ci si rigira, l’aria è già elettrica e tutti si accorgono che sono forestiero. “Ehi, ciao, ben arrivato. Signori questo viene dall’Italia per vedere se c’è un po’ di birra”. Tutti a schiamazzare e a darmi il benvenuto. Ed io che volevo passare inosservato. Le soluzioni alcoliche di diversa provenienza, siano esse Saké o Vov, se assunte con moderazione, fanno sempre lo stesso effetto: sciolgono le tensioni, la temperatura corporea aumenta, il sorriso si fa più spontaneo e alla fine ci si sente tutti facenti parte di quello di cui, in fondo, siamo già parte: della razza umana. Pete e Martin sono gentili e disponibili con tutti, meticolosi nelle spiegazioni ed attenti a far sì che il tuo bicchiere sia sempre ricolmato. “ La selezione dei luppoli è la cosa più importante, come del resto lo è l’acqua. Ci abbiamo messo del tempo a capire quale poteva essere la ricetta giusta. Non era soltanto una ricerca di bevibilità, ma un qualcosa che rispecchiasse la nostra personalità, chi siamo e dove vogliamo andare.” Fra una domanda e l’altra interagisco con gli indigeni, anzi, ne sono diventato la mascotte. Tutti, chi più chi meno, vogliono scambiare qualche chiacchiera. Mi sento un po’ a disagio, ma il loro sano entusiasmo mi contagia e mi fa sentire a casa. Sono curiosi. “ Di dove sei amico?”, e un altro: “ cosa ci fai qui?” , oppure: “ è vero che Venezia e Firenze sono così belle? “, “sei in grado di competere con un’inglese quando si parla di bevute?”.

Helen è una signora di mezza età, mi si avvicina e in un italiano incerto mi racconta la storia d’amore dei suoi genitori. Il papà era italiano, negli anni Cinquanta dello scorso secolo era venuto a cercare lavoro in Inghilterra e lì si innamoro di colei che divenne poi sua madre. Un amore durato fino alla fine, qui, fra le dolci colline del Derbyshire. Per un attimo gli occhi della signora diventano lucidi e una lacrima regala alle sue guance una brillante sfumatura grigia. Anche le altre persone che sono lì ad ascoltare gli si stringono attorno, silenziose e commosse. Non so se siano parenti o meno, ma tutti hanno partecipato al racconto e ne hanno come vissuto la storia. Che bel regalo mi ha fatto! Purtroppo è ora di lasciarli, a malincuore saluto i ragazzi. “ Senti, se ricapiti da queste parti, chiamaci e passa. Se vieni in un giorno infrasettimanale c’è meno da fare, così abbiamo un po’ di tempo in più per parlare”. Usciamo alla spicciolata dall’”hangar” della Derventio Brewery. Una pioggerella nebulizzata ci accoglie. Ci salutiamo sul piazzale con schiamazzi e strette di mano. Helen mi viene incontro e mi dice nel suo italiano zoppicante che è stato un piacere conoscermi. Ed io ho pensato: ma perché è così difficile mantenere questa sana umanità?

Derventio Brewery – Darley Abbey Mills, Derby (Derbyshire )

galleria fotografica

 

 

 

 

 

Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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