Lucca, sì bella e perduta. Le tentazioni di una gastronomia “usa e getta”

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tagliere-tristeTaglieri e insalatone, gelato (ma 100% naturale, neh!) e pizza anche a pranzo. E poi espresso, cappuccino, cappuccione, macchiatone, macchiatino, marocchino, mokaccino. Alla fine ho quasi nostalgia di un bel kebabbaro! Signori, benvenuti a Lucca, sì bella e perduta. Girando per piazze e piazzette, fra Via Fillungo e Chiasso Barletti, ci sembra che la definizione di “Cenatown” appioppata tempi addietro alla versiliese e modaiola Pietrasanta sfumi nel caricaturale rispetto alla “devastazione” – certo: “devastazione”- in cui ritroviamo oggi Lucca.

L’esempio più clamoroso, a nostro avviso, è l’Antica Bottega di Prospero. Celebre come venditore di granaglie di qualità, scoprirete da un cartello di carta gialla che anche alle spalle della Chiesa di San Michele si può fare uno spuntino freddo. Taglieri? Ma certo. Quel cartello è piccolo, quasi nascosto. Forse per pudore? Chissà.

Tutti vogliono aprire a Lucca. C’è chi lo fa con qualità, vedi la gelateria De’ Coltelli e magari Il Maialetto (rinomata macelleria con ristoro di Monsummano Terme), e c’è chi spera di far respirare le proprio finanze grazie alla massa di gente che sbarca qui, fra un Summer Festival e un Lucca Comics.

Via Fillungo dice tutto: il colosso dei gelati Grom, oggi targato Unilever, ha aperto qui un suo punto vendita, così come l’Hamburgheria di Eataly (che qualcuno sostiene pagare 10mila euro al mese di affitto). Intanto, però, resta desolatamente chiuso il Caffè Di Simo, uno dei locali storici d’Italia, luogo d’incontro per diverse generazioni di artisti ed intellettuali. La prima fu quella legata a Puccini, la seconda ad Ungaretti. E c’è anche una terza, quella di Pannunzio ed Arrigo Benedetti, ovvero gli inventori del Mondo e poi dell’Espresso.

Nostalgia canaglia, pensando al Di Simo, davvero. In fondo, eravamo più affezionati alla Lucca della Pelleria e di Baralla, della Buca di Sant’Antonio, dei fratelli Buralli e di Leo, della pizza di Felice e del caffè della Cubana. Posti che esistono ancora, certo (fuorché la Cubana), che svolgono la loro funzione anche se non rappresentano più l’avanguardia e quasi si confondono in una città che in realtà ha pure fatto passi da gigante nel campo della ristorazione. Pensiamo alla generazione di giovani o quasi giovani rinata con lo sbarco in città di Cristiano Tomei (L’Imbuto) e poi prosperata con i ragazzi del Giglio, con Damiano Donati (Il Punto – Officina del Gusto), con le ragazze del Gatta ci cova. Pensiamo all’arrivo di una paninoteca di lusso (o meglio, di qualità) come Farcito. O a Mirko Tognetti della gelateria Cremeria Opera (nei pressi di Viale Luporini c’è una seconda sede, aperta da poco).

Ma la piazza della Cassa di Risparmio fa comunque impressione: un bar dopo l’altro, una sfilza di cartelli bilingue, la necessità di fare cassa, magari con i primi surgelati. Perché gli affitti sono cari, carissimi. Perché la manodopera costa. Perché la materia prima di qualità non è proponibile ai portafogli di tanti turisti.
Che fare allora? Intanto, prendere una decisione molto semplice, come stanno facendo a Firenze: in barba alla legge sulle liberalizzazioni, voluta tanti anni fa dal ministro Bersani (quella che ha abolito anche le superfici e le distanze minime), bloccare per tot anni le nuove licenze. Insomma, fare al contrario di quello che, ad esempio, vuol fare la smemorata Pietrasanta, ovvero consentire nuove aperture con la trasformazione ad uso commerciale anche dei pochi fondi artigianali rimasti. Un suicidio annunciato. Firenze, Lucca, Pietrasanta: tre dimensioni diverse, tre problematiche simili. Con una differenza sostanziale però: su Pietrasanta possiamo anche immaginare un’alzata di spalle, ma Lucca e Firenze sono patrimonio nostro, da difendere.

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PS: Intanto si potrebbe anche fare un operazione “decoro”. Ovvero migliorare perlomeno le insegne. Il fascismo vietava le parole straniere? Il ferry boat diventò così il “piropontone”, la garconniere una “bella giovanottiera”? Bene, a noi più semplicemente piacerebbe vietare il termine “tagliere”. Come le penne alla vodka, o la tagliata alla rucola di un tempo, è il simbolo di un’epoca che ci tocca vivere, ma almeno vorremmo non vedere!

E in questo mare di “roba” che importiamo dalla Germania (dalla mozzarella al prosciutto, dalle basi per la pizza ai salumi) ottusamente si vanno (dis)perdendo i tesori gastronomici della Lucchesia, dal farro della Garfagnana alla polenta di grano Formenton “ottofile”. Certo, Lucca sì bella e perduta.

Dalla terza alla quinta foto, in ordine: Cristiano Tomei; i giovani chef del Giglio; Damiano Donati ( il primo a dx) con la sua brigata de Il Punto-Officina del Gusto. 

Corrado Benzio

Nasce a Viareggio in pieno boom economico (1958). Il babbo lo portava da piccolo a cena da Tito al mitico Sabatini di Firenze. Da qui la grande passione per il cibo. Per quasi 40 anni lavora per il mitico quotidiano Il Tirreno, poi la “meritata” pensione. Ha scritto per tante riviste di viaggi e gastronomia, da Tuttoturismo a Bella Europa al Gambero Rosso. Fra i servizi più divertenti quelli sul Tokay e sulla Bresse, le Landes e lo Yorkshire. Come tanti amanti del cibo va alla ricerca del suo sapore primordiale, e per lui è il budino che gli faceva la nonna con le bustine Elah. Sposato con una giornalista, ha tre figli.

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