“Chi ha rubato l’anima dell’acqua?”, di Massimo Rustichini. Diario privato di un uomo “nel” vino

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rustichini_eti-libroMassimo Rustichini non è conosciuto per essere uno scrittore. E, in fondo, il suo mestiere non è mai stato quello. Ma chiunque, o quasi, nella fascia litoranea che parte da quella terra di confine -mezza toscana mezza ligure- che è poi la sua terra d’adozione, per arrivare ad abbracciare e coinvolgere le province di Massa e Lucca, finanche le isole dell’arcipelago, sa chi è, lo conosce o ha sentito parlare di lui.

Per tutti Rustichini è il “rappresentante” di vino per antonomasia. Quasi portasse impresse le stimmate della primogenitura. Attenzione, ho detto rappresentante, non agente. Sì perché nella rappresentanza si cela un anelito più nobile di appartenenza, ciò che il nome agente, nella sua fredda accezione “chimica”, disattende. E anche perché sono in pochi che possono vantarsi di rappresentare degnamente il mondo del vino, visto da quella speciale angolatura. Nel suo caso, non soltanto per mere questioni professionali, quanto per questioni “sentimentali”.

Sono state infatti la curiosità, la passione e la caparbietà che lo hanno portato, dapprima, ad aprire una rinomata enoteca nel comune di Ortonovo di Luni dove, in anticipo coi tempi, accompagnava il meglio della produzione vinicola nazionale e internazionale con sfiziosi panini d’autore; successivamente ad avviare una attività di rappresentanze vinicole con un portafoglio di aziende via via divenuto “parlante”. Il tutto governato da una vera e propria attitudine, quella del segugio e del fiutatore di tracce. Così è stato Rustichini per il mondo del vino.

In questa sua prima opera “da pensionato”, che si sviluppa nella forma di diario privato e non abbandona l’alveo colloquiale di una scrittura istintiva, il vino appare come il collante, quando non il motore primo, di una esperienza di vita che, in suo nome, è riuscita a nutrirsi di ricordi e di belle compagnie. E’, in fondo, un racconto sul valore dell’amicizia, sopra ogni cosa. E anche sul tempo che passa. Entrambi, tempo ed amicizie, lasciano addosso dei segni, alcuni dei quali irrinunciabili puntelli esistenziali, altri più dolorosi e laceranti, che vorresti lavar via ma con i quali dovrai convivere.

Sono i segni che confluiscono in una trama multi-traccia dolcemente malinconica, eternamente sospesa fra ciò che è stato e ciò che non lo è più, in un mondo fattosi nel frattempo complicato, nel quale le relazioni appaiono sempre più virtuali. Ed è una sorta di disincanto ad incrinare qua e là uno sguardo idealmente romantico, che di quell’universo liquido vorrebbe ancora coglierne il lato più coinvolgente e umanamente appagante, che sta nella purezza dei gesti, nella genuinità di un affetto, nel reciproco rispetto, in un vino “con l’anima” da condividere.

E a proposito di anima, per gli appassionati della materia la disamina dei vini “del cuore e dell’anima” costituirà una piacevole sorpresa. Sono i vini che in qualche misura hanno segnato un passaggio emozionale, e di tempo, nella vita di Massimo. Sono soltanto una parte del tutto, e vengono raccontati secondo un prima e un dopo: al momento del primo incontro, tradottosi spesso in conoscenza diretta del vignaiolo (quando non in empatia), e a posteriori. Questi piccoli ritratti, nei quali la scrittura si fa lieve recuperando il dono della sintesi, fissano un’epoca forse irripetibile, ma proprio alla luce delle nuove sensibilità e delle nuove coscienze critiche che fortunatamente sono tornate ad abitare le nostre campagne, acquistano egualmente un’aura di contemporaneità. Nel tratteggiare piccoli-grandi vini e piccoli-grandi vignaioli, ne esaltano la dignità, ed è una dignità che non sfiorisce, se potrà servire a nutrire un affetto o a radicare un ricordo.

Un linguaggio semplice ma articolato, “arruffato” com’è nella natura del suo autore (a volte sembra proprio di “sentirlo”, il suo tipico brontolìo gutturale), muove una scrittura discorsiva che ha dalla sua una provvidenziale liberatoria alla sincerità, quella che attiene a un diario intimo o a una confidenza fra amici. Sì, lo  ribadiamo, all’amicizia e alla condivisione è dedicato questo libro. Ma è anche la fotografia di uno spaesamento di fronte ad un mondo accelerato, che in un certo qual modo rende più difficile il riconoscersi e l’immedesimarsi. Da questo mood psicologico la statura di certi vini e di certi produttori emerge come un’àncora di salvezza, un appiglio grazie al quale immaginarsi una parvenza di felicità o uno struggimento finalmente lenìto. Un qualcosa per il quale ne sia valsa davvero la pena. Come un vecchio amico.

“Chi ha rubato l’anima dell’acqua?”, di Massimo Rustichini. Prezzo di copertina €15,00. Per ordinazioni ed acquisti rivolgersi ad agenziarustichini@libero.it

PS: per quanto mi riguarda, a Massimo invidio parecchie cose. Non ultima, la possibilità di aver goduto, anche recentemente, di una vecchia annata di un vino che non esiste più: il Rossese di Dolceacqua ricavato dal vigneto Curli e prodotto al tempo da Emilio Croesi, mitico sindaco di Perinaldo. Un’invidia pura, quindi priva di acredine e di risentimento, che mi fa immaginare solo una cosa: pensa un po’ se i tempi miei e quelli di Massimo avessero coinciso: ne avremmo vissute delle belle, io e “il” Rustichini!

 

 

 

 

FERNANDO PARDINI

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