Ammettiamolo: quando alla tavola di un ristorante vengono servite pietanze che contengono fiori o petali sparsi, si nota non di rado un certo imbarazzo. Par di leggere nel pensiero: e ora che faccio, lo scarto o lo mangio? Messa così, la risposta sarebbe semplice, perché esiste una regola secondo la quale tutto quello che viene presentato in un piatto deve essere edibile. Ma il punto è un altro: il fiore che mi ritrovo davanti ha una valenza estetica o ne possiede anche una sostanziale, ossia gustativa?
E’ indubbio che i fiori donano un qualcosa di più al piatto. Oltre ai colori e alla forma che influiscono direttamente sull’animo (o forse sulla psiche), essi comunicano anche un’idea di naturalezza, di prodotto còlto direttamente della terra. E poi, intimamente connessa con la bellezza ed i colori seducenti è la loro salubrità. Chi ha seguito negli anni scorsi le notizie e i dibattiti sulle proprietà antiossidanti del vino lo sa già: le sostanze che danno colore hanno, in generale, anche proprietà benefiche. E i fiori con i colori vanno molto forte. Tecnicamente, sono sali minerali e sostanze biologicamente attive (composti fitochimici) ad avere influssi benèfici sulla salute. Alcuni esempi: le quercitine, responsabili della colorazione bianca; le antocianine, di quella dal rosso cupo al blu e al viola; il betacarotene, del giallo e arancione; il licopene, del rosso acceso; la luteina, ancora del giallo.
Ma anche a voler essere scettici sul salutismo in cucina, e avendo come primario interesse l’aspetto gastronomico o semplicemente preferendo il caro vecchio edonismo che nel cibo mette al primo posto il piacere del palato, non si può rimanere delusi. I fiori hanno infatti una ben precisa valenza gustativa, ossia possiedono sapori le cui componenti di dolcezza, freschezza, acidità, piccantezza possono renderli se non protagonisti, perlomeno elementi decisivi per la definizione e la caratterizzazione di un piatto, aggiungendo un effetto anche in qualche modo straniante perché ricordano qualcosa già sentito ma in altra forma.
Per fare qualche esempio: il nasturzio dona una delicata piccantezza, diversa da quella dei peperoncini, la calendula conferisce sensazioni speziate simili a quelle date dallo zafferano (del resto, il colore è simile) mentre il dianthus, viola bordato di bianco, a quelle del chiodo di garofano; la borragine ricorda il cetriolo in forma più delicata e va benissimo sulle zuppe, la begonia è spiccatamente citrina ed è un’alternativa elegante al limone, la fucsia e le varie espressioni della viola sono dolci, e così via.
Ma in gastronomia, i fori dove ce li ritroviamo? Premesso che il loro uso compare nel De res coquinaria di Apicio (vedi la Vellutata di fiori di malva e fave) anche se era già frequente al tempo dei greci, è negli ultimi tempi che ricorre sempre più spesso. Nelle insalate, certo. Ma anche nei risotti, a decorare e vivacizzarne il gusto: per dire, con la calendula si può realizzare una versione diversa e floreale del “riso giallo” milanese. Poi, nelle zuppe e nelle minestre a dare profumi e sfumature, o magari nei cous cous. Nelle carni, rinfrescando e speziando e nei formaggi, a contrastare.
Grazie a questa versatilità, i fiori commestibili si stanno ritagliando una fetta di mercato sempre più consistente. Al punto che aziende che hanno sempre lavorato nella floricoltura hanno deciso di cimentarsi in questa nuova attività che richiede, naturalmente, una cura particolare ed una attenzione verso la qualità e la sanità di tutta la filiera. In Toscana va segnalata la Carmazzi, una bella realtà di Torre del Lago Puccini, in provincia di Lucca che vanta il primato di essere la prima in Europa a produrre fiori edibili biologici certificati. I destinatari dei loro prodotti sono i ristoranti con gli chef più creativi, certo. Ma ultimamente anche tanti appassionati di cucina e gastronomia a caccia di nuove sensazioni o che vogliono stupire chi si siede alla loro tavola.
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