La torre campanaria batte tre rintocchi dopo le cinque del mattino, il panettiere e il lattaio fanno da cornice a strade vuote e a un buio ancora fitto. Non so se è più preciso l’orologio o Severino, perché prima delle note della pendola lui sta già imboccando il corso del centro storico, quello che lo conduce al suo negozio. Come sempre si ferma per il solito caffè al volo e per le prime, sane imprecazioni da scambiare con la barista. Lei, di per sé, rilancia di buon grado generando una piccola baruffa che funge da sveglia per i pochi clienti assonnati, un teatrino che si ripete uguale tutte le mattine che il buon Dio ci dà.
Severino Girometti è riminese di nascita, del ghetto dei pirati ad essere precisi, bizzarro ed antico rione marinaro dell’età Augustea facente parte della città di “Ariminum”. Il suo porto rappresentava la linea difensiva della flotta romana nell’alto Adriatico e il ghetto, in un lontano passato, era frequentato da avventurieri, mercanti e mercenari. A onor del vero per la grande corporatura, i baffi folti e lo sguardo perennemente torvo lo si potrebbe paragonare a qualche filibustiere del Mar dei Caraibi. Più lo guardo e più mi rendo conto che non potrebbe essere nato in nessun altro posto se non lì. A fregarlo però sono gli occhi e il cuore. I primi perché sono vispi, svelti e buoni, il secondo per la generosità e la gentilezza, mascherata da modi un po’ burberi. Quando incontriamo persone originali e con le idee chiare, che percorrono la strada della propria vita senza voltarsi indietro, di solito le definiamo “individui con una forte personalità”: bene, lui lo è.
“All’inizio -dice Severino- era un lavoro e basta, non si parlava di gourmet o di riviste o di masterchef. Erano i primi anni settanta, eravamo nel pieno della crescita economica, io avevo messo su famiglia e mi sembrava un buon modo per vivere decentemente. Non c’era bisogno di tante garanzie per aprire un’attività, le banche prestavano danaro a tassi molto più alti di adesso ma non ci pensavi più di tanto, eravamo in un momento veramente bello, se facevi fatica venivi premiato sicuramente. Ogni sera la cassa era generosa e così nel tornare a casa potevi fare progetti per il futuro, un futuro che vedevi anche per i tuoi figli. Qui in campagna poi le spese che le famiglie facevano erano enormi, i primi freezer cominciavano ad entrare nelle cantine, nei ripostigli, e quelli poi dovevi riempirli.”
Da quasi cinquant’anni la sua bottega, a Santarcangelo di Romagna, ha il compito di preservare e custodire i gioielli dell’enogastronomia nazionale, e non solo. “Fin da subito mi sono reso conto che mi piacevano le cose buone e che un prosciutto di Parma o un Parmigiano Reggiano non erano tutti uguali. Ho cominciato da lì e, pur avendone assaggiati tanti, ho ancora gli stessi fornitori di allora”.
Non saprei dirvi se, da buon pirata, la sua è una magistrale capacità di mantenere il timone tutto a dritta o semplicemente è stato bravo a seguire gli eventi. La cosa di cui sono certo è che Severino è quel lavoro.
“Mi costa molto assentarmi dalla bottega, prendermi il tempo per andare in vacanza, non so perché ma è come se sentissi che in negozio ci sia sempre bisogno di correggere le sfumature. Ho alcuni dipendenti che lavorano con me da trent’anni, ma nonostante tutto lasciare il mio banco mi costa. Comunque non perdo mai occasione di visitare nuovi produttori o di frequentare fiere storiche come Bra e Terra madre.
Da quando poi nei primi anni novanta ho dato molto più spazio al vino, sotto l’insistenza devo dire lungimirante dei miei ragazzi, mi diverto ad andare a trovare spesso amici produttori: Paolo e Luca de Marchi di Isole e Olena e Proprietà Sperino, Walter Massa, Ferdinando Principiano, i Cavallotto, Silvano Bolmìda, Beppe Rinaldi”.
“Fra i più affezionati amici del banco ci tengo a ricordare Villa, con le sue tome dell’alto biellese, Beltrami con i suoi commoventi formaggi di capra, Garrone, affinatore in quel di Torino, Corradi dell’omonimo prosciuttificio di Langhirano e Rozzi, casaro di parmigiano da più di cent’anni in quel di Busseto. Insomma non è che sto sempre qui a sistemare formaggi”, ed una risata rimbombante illumina il viso del pirata.
“Mi è sempre piaciuto fare questo lavoro, è come un vestito su misura, mi calza a pennello. In seguito ho aperto assieme a mia moglie un negozio di pasta fresca e piadina a dieci metri da qui, appena girato l’angolo. Non sempre i momenti sono stati positivi, anche io ho risentito dell’assestamento causato dalla crisi, ci siamo rimboccati le maniche assieme ai miei dipendenti ed abbiamo cominciato a fare piccoli catering che hanno avuto successo, chissà forse qui in Romagna la gente ancora si vuol trattare bene. Questo lo noto anche nelle nuove generazioni che vengono a far spesa, sono curiose. A volte arrivano già preparate con domande sui prodotti del banco o sui vini della mia cantina e io ho ancora pazienza nel rispondere”.
Ancora una volta il sorriso dissipa quell’alone schivo che ormai fa parte del personaggio. E’ una storia di una vita quella che mi racconta, una vita intera passata giorno dopo giorno a fare del proprio meglio. “Sono contento del mio lavoro, già da diversi anni ho con me anche mio figlio Cristiano che, vista la passione, porterà avanti l’attività. Cosa potrei desiderare di più? Oddio, qualche cosina ci sarebbe: trent’anni di meno e la metà degli acciacchi che mi ritrovo”.
Di nuovo la torre “chiama” alla sveglia: sei rintocchi. La chiave gira due volte nella toppa, la porta scricchiola, l’odore dei formaggi e dei prosciutti lo accolgono e lo investono. Burbero e schivo, scambia un cenno di saluto con i dipendenti che stanno arrivando al lavoro e prende posizione dietro al bancone. Le grandi mani si muovono veloci e premurose, quasi ad accarezzare i formaggi, che vengono risistemati con cura. I primi clienti fanno già capolino, siamo in campagna e la giornata da queste parti comincia presto. Ancora tante di queste mattine, Severino.
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