Quest’anno l’olio extravergine toscano non sa molto di olio toscano, inutile negarlo, anche perchè i primi a dirlo sono gli stessi olivicoltori. Quello che gli manca sono le due caratteristiche primarie, che a noi toscani mandano letteralmente fuori di testa ma che ai forestieri non sempre piacciono. E a tal proposito mi torna in mente un produttore di Siena che un mese fa, ad una fiera, dopo aver assaggiato il suo evo ed avergli detto che era molto delicato e che alla cieca avrei potuto scambiarlo per un’olio ligure, mi ha risposto che un ristoratore quest’anno glielo aveva finalmente acquistato proprio perchè non aveva quelle note tipiche che le nostre terre donano con generosità all’oro verde: l’amaro, ma soprattutto il piccante, che noi locali siamo soliti chiamare “piccantino”, e che amiamo più di una bistecca alla fiorentina al sangue. Quasi di più.
Facilmente comprensibile, quindi, la mia gioia nell’aver scovato, dopo tanto assaggiare, un extravergine 2018 che parla decisamente toscano: un toscano puro e perfetto. È l’olio extravergine di oliva di Colle di Bordocheo, da Segromigno in Monte, in provincia di Lucca. E’ figlio di 1650 piante che rappresentano le principali varietà toscane, ovvero il frantoio, il moraiolo, il leccino e il pendolino. In questa azienda, che è anche azienda vinicola ed agriturismo, si abbraccia un’agricoltura biologica che per ciò che riguarda la parte olivicola vede il non utilizzo di trattamenti sistemici, la potatura ad anni alterni, il campo inerbito, la raccolta atta a rapire, e farle proprie, le caratteristiche migliori del frutto, le olive spremute a freddo ogni sera in un frantoio della zona. Il risultato di tanta dedizione è un olio che ha fatto breccia nel mio palato e che ha rimesso in moto la curiosità un po’ assopita degli ultimi anni sul mondo che gira attorno all’oro verde. Il profumo è fruttato, sinuoso, intenso ma elegante. Quando sfiora le pupille gustative esprime al massimo – in toscano, naturalmente – la sua anima, regalando un piccante equilibrato ma deciso, una nota amara sensuale ed aggraziata che in chiusura lascia spazio al sapore di carciofo e di foglia di pomodoro, altre due sensazioni che parlano il dialetto locale. Come appena detto, questo incontro ravvicinato del terzo tipo ha scatenato in me la sete di extravergine, ed è così che ho deciso di chiamare in causa la regina dell’olio, nonché amica di vecchia data, Sonia Donati. “Sonia, devo assolutamente farti assaggiare un olio. Voglio un tuo parere”. Sonia di solito è molto impegnata, ma se si tratta di olio ci puoi mettere la mano sul fuoco, lei c’è! Ed è stato proprio grazie a questo olio che sono riuscita a rivederla dopo mesi e mesi, e a farmi una bella chiacchierata con lei sul panorama olivicolo nazionale, nel mentre l’extravergine di Colle di Bordocheo faceva vibrare piacevolmente anche il suo palato.
Sonia è tecnico assaggiatore olio evo, coordinatrice della guida Slow Food Toscana e da qualche mese l’esperta di olio extravergine della trasmissione Rai “La Prova del Cuoco”.
Sonia, come si valuta un extravergine e quando può essere definito eccellente? Due sono i requisiti necessari per definire un extravergine: corrette analisi chimiche, che ovviamente escluderanno eventuali difetti, e il superamento dell’esame organolettico da parte di un apposito panel test, quindi l’assaggio dell’olio. Un extravergine può essere definito eccellente solo quando comunica freschezza olfattiva ed emozioni gustative che si fanno ricordare, requisiti fondamentali, che possiamo sentire però solo assaggiandolo.
Quanti oli assaggi all’anno? Non li ho mai contati, ma credo di arrivare a un migliaio.
Come valuti l’olio toscano rispetto agli altri oli italiani? E l’olio italiano rispetto a quelli esteri? L’olio toscano non esiste, esistono gli oli toscani, che se ottenuti con le cultivar tradizionali sono oli che hanno una personalità che può cambiare leggermente da un’annata all’altra ma che rimangono nel tempo identitari di una terra e del sapere di tanti olivicoltori. Anche gli oli italiani sono traduttori di un territorio, se ottenuti da cultivar regionali. Mi soffermo sull’importanza della cultivar, perché ultimamente, in modo preoccupante, stiamo assistendo a nuovi impianti intensivi di cultivar non italiane, che stanno andando a contaminare e danneggiare il settore olio, quello dei tanti piccoli produttori che portano avanti un’olivicoltura direi eroica, non ripagata e non sostenuta dal mercato, purtroppo. L’Italia è il paese olivicolo con più varietà di olivi che danno oli unici, un patrimonio di biodiversità di cui dobbiamo andarne fieri, ma che stiamo rischiando di perdere, per indifferenza e presunzione da parte dei consumatori, che tendono a valutare solo il prezzo, che deve essere basso, perché secondo la loro idea gli oli sono tutti uguali. Ritengo che sia arrivato il momento di cambiare mentalità.
Che annata è stata la 2018 in Italia? Non è stata sicuramente un’annata facile. Come per le ultime, le condizioni climatiche hanno messo a dura prova gli olivicoltori toscani, che hanno dovuto prendere anche decisioni azzardate, che li hanno portati a risultati non esaltanti in alcuni casi, straordinari in altri. La pazienza e la professionalità, in alcune zone, hanno fatto la differenza. La raccolta di novembre, soprattutto delle zone interne, ha permesso di recuperare un’annata iniziata un po’ zoppicando, portando la produzione regionale ad un livello discreto. Quest’anno la produzione nazionale è stata scarsa per le avversità climatiche, salvo alcune eccezioni. Siamo, infatti, a circa un 30% in meno rispetto al 2017.
Perchè gli olii toscani quest’anno non hanno le loro solite caratteristiche – o in maniera più lieve – come l’amaro ma soprattutto il piccante? Uno dei motivi principali è stato proprio il momento della raccolta. Quest’anno in tanti hanno raccolto prima, preoccupati per le varie allerte meteo che erano state diramate. Ciò ha fatto sì che venissero franti frutti non del tutto maturi e privi perciò di caratteristiche come l’amaro e il piccante. Oltre a questo è stata un’annata negativa soprattutto per la cultivar frantoio, apportatrice anche della nota piccante. Nell’olio l’amaro e il piccante, oltre che da un punto di vista gustativo, sono importanti, perché provenienti dalle sostante fenoliche (antiossidanti), in particolare i responsabili proprio del sapore amarognolo (oleuropeina) e del pizzicore (l’oleocantale, dall’efficacia anti-infiammatoria simile all’ibuprofene, che oltre ad assicurare un elevato valore nutrizionale permettono anche di conservare più a lungo l’olio, allontanando la sensazione del difetto naturale che avrà poi l’olio, ovvero il rancido.
Che cosa si potrebbe fare per migliorare il mercato dell’olio italiano? Assaggiare, assaggiare, assaggiare! Iniziare dall’assaggio dell’olio prima nel bicchiere e poi, dopo, mangiando. Il consumatore non è abituato non soltanto all’assaggio dell’olio nel bicchiere, ma anche al confronto fra più oli nei bicchierini. Ma è proprio grazie a questa tecnica che si può imparare a conoscere l’olio. Slow Food da anni porta avanti i Master dell’olio, dove si spiegano e si fanno apprezzare le differenze e le caratteristiche positive ma anche negative che possiamo riscontrare in un extravergine. Ritengo importante investire sulla conoscenza e non farsi imboccare da una pubblicità a volte insincera. Come sempre il mio motto è: regaliamo bottiglie d’olio! E’ un gesto di grande valore. Il consumatore, attraverso un acquisto informato, consapevole, magari in azienda, può aiutare il settore più di quanto si pensi, investendo i propri soldi, e non spendendoli, nell’acquisto dell’olio direttamente dai produttori, che potranno così continuare a mandare avanti la loro attività sul territorio, a mantenere intatto l’ambiente costituito da colline coperte da olivi e terrazzamenti, di cui tutti noi beneficiamo, oltre a proteggere la terra dal rischio erosione. Diventare “co-produttori” è un atto di grande responsabilità e motivo d’orgoglio.
Grazie Sonia. Che sia un 2019 colmo di extravergini deliziosi e di consumatori vogliosi di bontà!
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