Come scrivevo nel pezzo acquabonico precedente, con il passare del tempo mi garbano sempre di più i vini nuovi. Simmetricamente, mi annoiano sempre di più i vini di produttori famosi, che vendemmia dopo vendemmia ripropongono il loro famoso Magistrale Riserva della Guarnigione Polacca o l’altrettanto celebre Chianti Classico Enorme Selezione. È in tutta evidenza un problema mio. Che devono fare d’altra parte i produttori famosi, se non riproporsi ogni anno ad alto o altissimo livello? Fanno il loro mestiere.
Ma bere un vino nuovo, un buon vino nuovo, ha il fascino della scoperta: proprio come fare una gita con una decappottabile. Il piacere è doppio se il vino nuovo si trova in un areale famoso, e non in qualche sconosciuta plaga dello Stivale (o delle isole). Il piacere è triplo se l’areale è uno dei due o tre più venerati d’Italia: le Langhe (o la Langa).
Qui due giovani fratelli – fors’anche gemelli, se ho ben capito -, Mirko e Federica Martini, hanno rilevato vigne e cantina della storica firma di Gianni Voerzio, e da poche vendemmie offrono agli appassionati una gamma classica di vini locali: Barolo in primis, e poi Nebbiolo, Barbera, Dolcetto, Arneis e Timorasso. Con il marchio Voerzio Martini, a indicare continuità nella novità.
Il Barolo è declinato in tre etichette: La Serra, Cerequio e Monvigliero. In base al livello di autorevolezza che ho maturato negli ultimi decenni, i due ragazzi hanno giustamente pensato di farmi provare solo il La Serra. Non dò loro torto: la nomenclatura delle vigne di Barolo non mi è mai entrata in testa, e ancora oggi posso confondere in assaggio un Lazzarito da un Margheria (che distano ben 900 metri/un chilometro).
Scherzo: i prestigiosi cru Cerequio e Monvigliero non sono ancora pronti per il mercato, e data la caratura dei nomi (Cerequio non ha bisogno di presentazioni, Monvigliero ultimamente è cresciuto in misura esponenziale nella stima degli enofili) c’è da immaginare che saranno bottiglie degne di grande interesse.
L’attuale Barolo La Serra dei volenterosi – e facoltosi, dato il costo dell’operazione di acquisto – Mirko e Federica è senz’altro un rosso ben fatto, e promettente per le vendemmie future. È ottenuto da macerazioni né brevi (anni Novanta/altaresche di pochi giorni), né lunghe (tradizionali/à lapage di due mesi e oltre), quindi sui 25/30 giorni. Viene poi affinato per 30 mesi in tonneaux e botti grandi.
Il 2017 ha colore luminoso, molto giovanile – nessun tono granato/aranciato – e profumi ancora in via di formazione, limpidi e fruttati. Al gusto si muove con discreta agilità, sebbene la fittissima maglia tannica ne freni lo slancio e la scioltezza. Ma la finezza dei tannini, davvero sottili, protegge il palato dai rischi di un rilievo tattile duro o peggio abrasivo.
Nota di merito finale per il Timorasso della casa, che con l’edizione 2020 si propone nitido, dinamico al gusto, semplice – ma tenace nella persistenza – in chiusura.
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