Il tema è rimasticato ma non si vede perché non riaffrontarlo, dato che le temperature sono superiori alla media e il tasso di umidità elevatissimo fa uscire rivoli d’acquetta dalle orecchie. La scarsa lucidità che ne deriva è una base perfetta per discettare sul già detto, sul già visto, sul già assodato.
“Niente è più rassicurante di un luogo conosciuto alla perfezione: che si tratti di un luogo fisico o di un luogo mentale”, nelle sagge parole di Edmund Husserl.
Questo tema già tematizzato è riemerso alla mia coscienza di bevitore attraverso un “uno/due” pugilistico di rimandi simbolici nelle ultime ore.
Il primo: una coppia di amici stranieri viene in Italia, a Roma, e si dispone a sopportare una fila interminabile – sotto un sole di ghisa incandescente – per intravedere una trentina di secondi la celeberrima Pietà di Michelangelo. Un esercito di visitatori da ogni pizzo del mondo, infatti, presidia gli accessi alla basilica di San Pietro a tutte le ore possibili: forse anche nella fascia oraria 23/4 di notte.
Allo stesso tempo, nella più completa indifferenza delle mandrie di turisti accaldati, nella bellissima chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, accanto al Pantheon, si erge solitaria un’altra opera scultorea del Buonarroti, il Cristo portacroce. Una statua forse non così sublime come il gruppo della Pietà, ma diamine, sempre di altissimo pregio. Davanti al manufatto, tre o quattro sparuti osservatori. E basta.
Un equivalente enoico l’ho sperimentato pochi giorni fa, quando l’amico e sodale Armando Castagno ha stappato un magnifico Bourgogne Côte Chalonnaise La Fortune 2020 del Domaine De Villaine. Chi conosce un po’ la Borgogna avrà già capito. Si tratta proprio di “quel” De Villaine, vale a dire del proprietario (co-proprietario) dell’inattingibile Domaine de la Romanée Conti. Cioè la casa vinicola che produce i vini più rarefatti e costosi del pianeta. Questo Bourgogne 2020 ha proposto da subito una caratteristica meravigliosa, una timbrica di frutto di impressionante purezza e delicatezza. Una timbrica rara anche all’interno della celebrata bellezza del frutto dei grandi Borgogna.
Ora, non mi metterò certo a dire che questo Bourgogne equivalga per qualità a un Richebourg, a un Romanée Saint-Vivant, o men che meno a un La Tâche o a un Romanée Conti. Però affermo con assoluta convinzione che la distanza di esiti tra una qualsiasi etichetta del DRC e questo La Fortune del più modesto e appartato Domaine De Villaine, a Bouzeron, non giustifica nemmeno lontanamente la relativa forbice di prezzi: migliaia di euro per i primi (decine di migliaia, nel caso del sommo Romanée Conti), una trentina di euro o giù di lì per il Bourgogne.
La finezza quintessenziale del frutto è molto simile, la percezione della qualità, da parte della massa di bevitori, molto diversa.
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