Marchesi Alfieri: 30 anni di Barbera d’Asti Superiore Alfiera in verticale

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Circa un mese fa ho avuto il piacere di presenziare ad una masterclass dedicata ai 30 anni della Barbera d’Asti Superiore Alfiera. L’evento, riservato a stampa ed esperti di settore, si è tenuto presso il noto castello di Marchesi Alfieri a San Martino Alfieri (AT). Questa storica realtà vitivinicola piemontese, situata in un’area piuttosto particolare denominata Terre Alfieri – appellativo che identifica anche l’omonima DOCG istituita nel 2020 –, rappresenta il punto in cui Roero, Langhe e Monferrato si incontrano: un territorio dove la biodiversità regna incontrastata.

Percorrendo le principali arterie stradali di quest’areale è piuttosto facile notare la presenza di vigneti ordinati, noccioleti, boschi e campi coltivati. Ci troviamo esattamente sulla sinistra orografica della valle del fiume Tanaro, la cui origine geologica è collegata a processi erosionali di età Pleistocenica su un ambiente deposizionale di tipo marino, denominato Bacino terziario piemontese. Il suolo di queste colline è simile in parte a quello del Roero, dove sabbia e calcare sono protagonisti indiscussi e spesso plasmano l’identità dei vini: finezza, eleganza, e una rotondità leggermente pronunciata, le caratteristiche principali.

La storia di Marchesi Alfieri vanta origini che si perdono davvero nella notte dei tempi, basti pensare alla data d’inizio, che risale al 1616, epoca in cui Carlo Emanuele I di Savoia concede a Urbano Alfieri il feudo di San Martino. Al timone, oggi, troviamo Emanuela, Antonella e Giovanna San Martino di San Germano, affiancati dalle nuove generazioni di famiglia; gestiscono un patrimonio di 140 ettari di cui solo 20 vitati, e questo testimonia quanto sia importante per l’azienda il concetto di biodiversità, visto che tutto il resto è a noccioleti, prativi, boschi, campi coltivati e parco storico.

Impossibile non citare il castello, icona indiscussa dell’azienda, realizzato dal 1696 al 1721 dall’ingegnere Antonio Bertola, ripreso e restaurato nell’Ottocento grazie alle opere di rifacimento in stile neobarocco dell’architetto Ernesto Melano; un vero spettacolo per tutti gli appassionati del genere, ma non solo, una gioia per gli occhi di tutti.

Le nuove leve della famiglia San Martino di San Germano, con grinta e determinazione, continuano un viaggio che parla di grandi tradizioni piemontesi attraverso alcuni tra i vitigni più importanti della regione. Tra questi vi è senza ombra di dubbio la barbera, cultivar del popolo e vino onnipresente sulle tavole di tutti i giorni, ma al contempo – se scelta opportunamente in cantina – nettare in grado di non sfigurare davanti a qualsivoglia cavallo di razza autoctono a bacca rossa italiano.

La verticale di Alfiera conferma ampiamente la tesi. Veniamo dunque alla descrizione del vino in questione, prodotto per la prima volta nel 1993 e frutto di vigne situate nel comune di San Martino Alfieri (AT), messe a dimora nel 1937 e reimpiantate nel 1996. Le uve crescono su terreni ricchi di sabbie astiane, oltre a una matrice limosa, ricca di calcio, potassio e magnesio. Ci troviamo a circa 270 metri sul livello del mare, 5 ettari originari – oggigiorno 3.40 – costituiscono il vigneto Alfiera all’interno di un vero e proprio cru chiamato Quaglia, collina che gode di un’esposizione a sud.

Tempi addietro la selezione clonale era orientata su un concetto di quantità, tuttavia negli anni Novanta, al contrario, lo studio vira verso la ricerca dei migliori cloni in grado di donare qualità, con acini più piccoli. Nel 1995 vengono effettuati i primi diradamenti, gli inerbimenti spontanei, la trinciatura solo nel sottofila e le prime lavorazioni meccaniche per eliminare piante infestanti senza alcun utilizzo di diserbanti. L’azienda crede fortemente nei principi che regolano un’agricoltura ragionata, essenziale, dov’è l’ambiente circostante l’unico tesoro da difendere a ogni costo.

Mario Olivero, dal 1999 enologo e direttore aziendale, ha condotto la masterclass raccontando i principali cambiamenti che ho illustrato sopra; ha inoltre risposto in maniera esauriente alle svariate domande poste dai giornalisti presenti, e ha descritto le principali caratteristiche dell’Alfiera riguardo il lavoro svolto in vigna e in cantina: il diradamento dei grappoli viene effettuato nella prima metà di agosto al momento dell’invaiatura, la produzione per ceppo è di 1 – 1,2 Kg. Raccolta manuale delle uve in cassette nella prima parte del mese di settembre, scelta e controllo degli acini sul tavolo di cernita, seguita da diraspapigiatura soffice. Fermentazione sulle bucce in vasche di acciaio alla temperatura di 28 – 30 °C per 15 – 20 giorni con délestage e leggeri rimontaggi, fermentazione malolattica in legno con bâtonnage. L’affinamento avviene in barrique e tonneau di rovere francese (Allier e Troncais) da 225 L e 500 L.

Prima di offrire il mio punto di vista riguardo la verticale – trent’anni di storia riassunti in dieci annate-, è corretto asserire che il vino mostra quasi sempre una tonalità rubino squillante dai riflessi porpora, che svaniscono man mano che si va indietro nel tempo. Al contrario, le annate 1998 e 1993 si presentano in veste “nebbioleggiante”, ovvero di un bel granato caldo, vivace e ancora luminoso. Questa premessa, soprattutto, per evitare di ripetermi in ogni singola recensione riguardo al colore del vino.

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Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2019

Timbro olfattivo intenso di ciliegia matura e ribes rosso, la parte floreale è molto fine e vira su ricordi di violetta e rosa rossa; fa capolino il chiodo di garofano, unito a suggestioni di pepe verde e pietra polverizzata. Tannino ancora leggermente slegato, è normale considerando la giovane età del vino, corpo piuttosto pronunciato e perfettamente in linea con una sapidità marcante e una freschezza che gli fa eco.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2017

Sin dal principio è la coltre balsamica a regalare una sensazione fresca e vitale, eucalipto in primis, seguito da una traccia lievemente ematica e da un dolce respiro di frutti neri in confettura (mirtillo e ribes); scia di sottobosco sul finale, soprattutto funghi secchi e terriccio umido. Sorso pieno, dove la rotondità non manca, vivacizzata di continuo da lampi di acidità incalzante e da un tannino serico e piuttosto dolce; sorso lungo, potente ma con garbo, e classe da vendere.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2015

L’esordio al naso è incentrato sulla dolcezza dei frutti disidratati: amarena, ribes, mirtillo nero; con lenta ossigenazione aumenta la complessità grazie ad incursioni di caucciù, cuoio, liquirizia e legni nobili/vaniglia derivati più dal frutto che dal contenitore di affinamento. In bocca è “tridimensionale”: inizialmente fresco e slanciato, gode di un equilibrio già piuttosto ragguardevole per via della componente sapida perfettamente allineata alla lunghezza del sorso; a cesellare l’insieme un tannino percettibile con angoli smussati dal tempo. Gran bella evoluzione a circa mezz’ora dalla mescita.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2011

L’annata complessivamente calda si fa sentire, e gli 11 anni dalla vendemmia, in questo caso, non giovano all’insieme. Il frutto appare stanco ed eccessivamente maturo, assorbito da una componente alcolica piuttosto evidente che non consente di decodificare i sentori in maniera corretta, salvo qualche ricordo di liquirizia e una traccia di sottobosco. Palato in netta contrapposizione, dominato da una freschezza di tutto rispetto e da una lunga scia sapida; alcol ben digerito e finale pulito, vivo: che strani scherzi che fa quest’Alfiera!

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2007

Musica pressoché identica per Alfiera 2007, figlia di un’annata torrida con temperature medie, nel periodo gennaio-settembre, che si collocano al primo posto tra le più elevate degli ultimi dieci anni precedenti. Questa volta però il naso è più espressivo: frutti in confettura, ravvivati da flebili note balsamiche, e una spezia che in parte richiama i dolci di Natale del Nord Europa, dove la cannella è protagonista; lieve nota ematica in chiusura, e poi rabarbaro. Con un palato leggermente più maturo rispetto all’annata 2011, è un vino che attualmente invoca l’abbinamento con qualche buon piatto della tradizione piemontese, come ad esempio gli agnolotti gobbi astigiani.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2005

Ciò che tiene legato il degustatore seriale alla passione per il vino – soprattutto dopo tanti anni – si può tranquillamente riassumere attraverso poche parole: Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2005. Il cosiddetto coup de coeur, e proveniente per di più da un’annata anni luce dal potersi definire eccellente. Insomma, ci ha spiazzato, e all’unanimità. Senza meno “IL” vino della verticale. Naso integro, austero, pulitissimo: inizialmente la parte empireumatica domina la scena, addolcita da legni nobili ma ben fusi, spezie orientali e paprika. Dopo lenta ossigenazione accade il miracolo: affiora un floreale immacolato, nitido – per ovvie ragioni leggermente appassito – tuttavia stupendo, dove la violetta rincorre il geranio selvatico e i frutti rossi canditi (arancia rossa sanguinella in primis) rinfrescano ulteriormente l’insieme. La vera magia è al palato: freschissimo, vitale, un “succo d’arancia rossa” inserito in un corpo di tutto rispetto – per nulla ingombrante – domina l’equilibrio, regalando armonia e soprattutto piacevolezza di beva. Tra le migliori Barbera d’Asti degustate in vita mia, e non faccio alcuna fatica ad ammetterlo.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2003

Anche l’annata 2003 regala una piacevole sorpresa; inutile ricordare quanto la stessa abbia battuto ogni record in termini di afa e siccità. Ritrovo un naso dove il frutto maturo sa di amarena, susina nera, chiodo di garofano e lieve goudron; via via che il vino si apre si trasforma in sottobosco, cera, incenso. La verticalità del sorso è in effetti spiazzante, l’arma segreta del vino: arioso, vitale, con l’armonia d’insieme data da un tannino dolce e da una materia proporzionata alla lunghezza del vino.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 2001

Il mondo del vino è tutto e il contrario di tutto. L’esperienza sopradescritta riguardo Alfiera 2005 me la sarei francamente aspettata dall’annata 2001; perlomeno questo è quanto ho imparato negli ultimi 20 anni dai numerosi assaggi effettuati soprattutto in Piemonte, la mia terra. Ritrovo un naso confuso, ho provato anche a cambiare bottiglia ma nulla, è ormai il suo stampo: frutti rossi maturi e un floreale acre coperto interamente da una sensazione alcolica che fatica a svanire. In bocca suona più o meno la stessa musica: freschezza poco incisiva su corpo medio, timbro evanescente e finale corto, ridondante.

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 1998

Come già anticipato, il colore di questa Alfiera 1998 è spiazzante, la tonalità granata è davvero luminosa e ti predispone di già all’eleganza che andrà a caratterizzarla. Pari merito con la 2005, a mio avviso, stupisce per l’originalità dei toni boschivi e di spezie orientali, in un continuo affacciarsi di sensazioni floreali leggermente appassite – soprattutto viola e rosa rossa – e frutti di bosco canditi; a circa 20 minuti dalla mescita esce il cuoio e un richiamo al tartufo scorzone. Nonostante l’originalità aromatica, ciò che a mio avviso ne fa lievitare la considerazione è la capacità di mantenere una beva disarmante e una pulizia che invoglia il secondo, terzo, quarto sorso e così via, oltre a un timbro di tutto rispetto e a una lunghezza mai banale. L’Alfiera 1998 è tutto questo, chapeau!

Barbera d’Asti Superiore Alfiera 1993

Non so quanti esimi colleghi possano dire di aver bevuto un Barbera d’Asti Superiore, a trent’anni dalla vendemmia, in uno stato di grazia così eloquente, e soprattutto cangiante dal primo all’ultimo minuto. La magia di questo vino risiede nella capacità di evolvere man mano che l’ossigeno diviene protagonista a contatto con la materia. Inizialmente scontroso e dai toni prettamente dark da film di Tim Burton, cambia registro a circa 20 minuti dalla mescita, palesando un profilo speziato, dai toni empireumatici e di erbe officinali da grande amaro: dunque genziana, pepe verde, timo, china e zolfo. In bocca prevale l’equilibrio tra parti sapide e acide, totale assenza di alcol percepito e un corpo leggermente inferiore rispetto all’annata 1998; tuttavia è proprio il finale fresco e dissetante a convincere, soprattutto considerato il fatto che stiamo parlando di un vino che ha trent’anni sulle spalle, e che di sentirsi arrivato non ne ha la minima intenzione.

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Crediti fotografici di Danila Atzeni

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

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