Mars e il suo “Cosmo”: la distilleria più alta del Giappone

0
2348


Mars è una delle distillerie giapponesi di “nuova” generazione
, che hanno saputo intercettare il boom del whisky nipponico di questi ultimi 15-20 anni, imponendosi in breve tempo come brand di nicchia molto apprezzato dagli appassionati. Il virgolettato non è casuale, perché quella di Mars è una storia che parte da lontano e che, tra fallimenti e rinascite, arriva fino a noi. La distilleria è di proprietà dell’azienda Hondo Shuzo, attiva nel mercato dei liquori fin dai primi anni del Novecento. La licenza per la produzione di whisky arriva nel 1949. Per una decina d’anni la produzione è di bassa qualità, destinata a quel mercato del Giappone del dopoguerra, che non aveva certo l’ambizione di soddisfare palati particolarmente fini.

Le cose cambiano nel 1960, quando la distilleria decide di iniziare seriamente a produrre whisky, affidandosi alla direzione di Kiichiro Iwai, uno dei maggiori esperti del paese. Iwai aveva infatti conosciuto molti anni prima Masataka Taketsuro – figura “mitologica”, considerato uno dei padri del whisky giapponese – da cui aveva avuto il famoso “blocco degli appunti”, dove vi erano annotati tutti i segreti di produzione che Taketsuro aveva appreso durante i suoi lunghi viaggi in Scozia.

Basandosi su quegli appunti, Iwai disegnò degli alambicchi ispirati a quelli della tradizione scozzese, usati per produrre whisky corposi e complessi che, nelle intenzioni, non dovevano sfigurare a confronto con gli “originali” provenienti dal Nord Europa. Questi prodotti, a lungo andare, si rivelarono troppo difficili per i palati giapponesi di quel tempo, senza mai riuscire a decollare per davvero sul mercato. Il fallimento del progetto è la naturale conseguenza, con l’azienda che torna a concentrarsi sulla produzione di liquori e altri distillati.

Nel 1985, la Hondo acquista un nuovo impianto di produzione in Shinshu, nella prefettura di Nagano, una zona in piena montagna, nel cuore delle Alpi giapponesi, a circa 800 metri slm (diventando, di fatto, la distilleria più “alta” del Giappone). Un’area incontaminata, adiacente ad una sorgente di acqua purissima (fattore determinante per la produzione di un buon distillato) e dove il clima freddo spinge in maniera naturale verso affinamenti più prolungati: gli alambicchi di Iwai vengono trasportati qui e parte la messa in commercio di whisky più leggeri e delicati, capaci di incontrare più facilmente le richieste del mercato. Purtroppo, dopo qualche anno di ottimi affari, la riforma delle tasse nel paese finisce per penalizzare pesantemente i produttori di alcolici, affossandone i margini: nel 1992 la Hondo decide di chiudere la distilleria e di non produrre più whisky.

Passano ben 19 anni prima che, nel 2008, le condizioni di un mercato impazzito, che vede le richieste di whisky giapponesi crescere in maniera esponenziale in tutto il mondo, convincono la Hondo a riattivare la distilleria dormiente, usando nuovi alambicchi costruiti come copia fedelissima di quelli che aveva disegnato Iwai 50 anni prima. Da lì riparte una produzione varia e di ottima qualità, declinata in numerose etichette: single malts ottenuti da malti torbati e non torbati, world blends composti da grain whiskies importati da tutto il mondo, e pure malts whiskies ottenuti da blend di single malt distillati a Shinshu insieme a single malts importati prevalentemente dalla Scozia.

L’azienda adotta oggi una politica green, con un occhio attento ai principi di sostenibilità e salvaguardia ambientale, come testimoniato anche da una serie di imbottigliamenti dedicati alla fauna e alla flora locale. Inoltre, si distingue per una continua sperimentazione sia nella produzione che nelle tecniche di affinamento, che la porta a immettere sul mercato prodotti sempre nuovi e ben realizzati, che hanno saputo attrarre l’interesse crescente di consumatori ed appassionati.

Il test di questo mese riguarda uno dei blended whisky di maggior successo, molto richiesto a partire dal suo lancio commerciale, avvenuto nel 2015: il Mars Maltage Cosmo. Ottenuto da single malt di provenienza scozzese miscelati con single malt distillati a Shinshu, ti attrae subito con un odore intenso e accattivante: la dolcezza della vaniglia è la prima cosa che spicca, seguita da note di nocciola, miele, frutti rossi e un delicato fumé. In bocca ha un ingresso deciso, dal mio punto di vista personale un po’ troppo marcato dall’alcol. Esce poi il cioccolato, il caramello, la tostatura, inframmezzate da note di cereali e frutta secca.

Un prodotto che può andar bene per una bevuta liscia (forse un po’ troppo basic), ma che mi sembra perfetto per alzare il livello di un buon cocktail. In quest’ultimo caso, la sferzata bruciante dell’alcol può essere bilanciata da una corretta miscelazione, lasciando poi spazio al carattere del distillato. Provatelo in un classico whisky&soda e fatemi sapere!

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here