Evidentemente era scritto che le mie peregrinazioni al Vinitaly 2023 avrebbero più volte intercettato i vini prodotti nella provincia di Treviso. A parte una visita presso lo stand dell’Asolo Prosecco DOCG, di cui ho dato conto in altra sede, sempre in goduriosa balìa di una studiata leggerezza, facendomi guidare dagli inviti che gli accreditati stampa ricevono per la kermesse veronese, ho visitato la stand di Giusti Wine.
E’ un’azienda giovane, creata agli inizi degli anni ‘00, il cui nome inglese tradisce il vissuto di emigrazione in Canada di Ermenegildo Giusti, che ha fatto fortuna nel campo delle costruzioni nella West Coast. L’amore per il natìo Veneto e una tradizione familiare ultrasecolare di produzione di vino, hanno condotto ad un primo investimento di due ettari da destinare a vigna, impiantati nel 2006. Adesso si contano ben 130 ettari vitati su 250 complessivi, divisi tra 10 distinte tenute, parte sui contrafforti del Montello, su suoli carsici ricchi di argilla e di ossidi di ferro, e parte sulla riva destra del Piave presso Nervesa della Battaglia. Si contano inoltre anche 8 ettari in Valpolicella presso Negrar, già tra i fornitori di uve per un nome come Quintarelli.
In provincia di Treviso le denominazioni di riferimento non si limitano solo al Prosecco, bensì si annovera anche la Montello – Colli Asolani DOC, sancita addirittura nel 1977, che valorizza una quantità di tipologie varietali tra cui spiccano gli autoctoni Bianchetta e Recantina (rosso). Ne è stata estrapolata nel 2011 la DOCG “Montello Rosso” (o Montello), riservata ai tagli bordolesi con preponderanza del Cabernet Sauvignon, e la curiosità locale della possibile aggiunta del Carmenère. Importanti nel corpo aziendale i terreni intorno all’Abbazia di Sant’Eustachio, ex monastero benedettino ove Giovanni Della Casa scrisse il Galateo, ceduto in gestione all’azienda con l’impegno di restaurarlo e di aprirlo alla fruizione del pubblico. Nei pressi è stata realizzata una cantina ipogea che scende ben 5 piani sottoterra (!), con uno sbancamento ben integrato nel paesaggio in quanto il tetto è ricoperto da 65 cm di terra: vi è stato piantato un vigneto e vi si trova un belvedere sul Montello.
Si tratta ovviamente di una realtà variegata e impegnativa, perfetta per stimolare il desiderio di novità di un enologo/a che non abbia paura di mettersi alla prova al di fuori della propria comfort zone. La sfida è stata accettata da una professionista di vaglia come Graziana Grassini: già nota per cesellare bianchi equilibrati e profumati, si è reinventata “rossista” con la prestigiosa consulenza presso la Tenuta San Guido. In questa occasione, da un lato si è cimentata nelle sue prime prove di spumantizzazione, dall’altro ha potuto mettere a frutto la propria esperienza bolgherese in un territorio che ha l’ambizione di produrre dei rossi importanti. E questo sia con i tagli bordolesi, sia con la (il?) Recantina, la sperata brand new thing in un mercato rossista che cerca di coniugare struttura e bevibilità, e che è alla continua ricerca di novità.
Gli assaggi propostimi inizialmente sembravano voler accrescere la mia aspettativa per l’assaggio dei vini rossi più ambiziosi. Riuscito l’Asolo Prosecco Superiore Extra Brut, da una vigna esposta a Nord su terreno carsico, selezionato per il suo apporto di mineralità. E’ noto come trattasi di termine “scivoloso”, la cui definizione ed individuazione all’assaggio si barcamena tra sensazioni olfattive e gustative, e si esalta nella compenetrazione di esse. Una bollicina fine alla vista (e al gusto lo sarà anche pure) introduceva a un olfatto di adeguata intensità, giocato tra note agrumate e una delicata fragranza floreale e vegetale. La bocca gli corrispondeva, con una buona sapidità (eccola!) che distendeva un finale più spiccatamente erbaceo.
Ritrovavo la suadenza “grassiniana” nel Sauvignon Nepis 2021, proposto come IGT, ovvero volto più a esaltare i toni varietali piuttosto che ad esprimere l’identità territoriale delle vigne presso Sant’Eustachio. Non troppo carico nel colore, risultava paradigmatico in un naso piacevolmente fresco, floreale (gelsomino?), con un lieve richiamo vegetale (una volta per tutte: non era pipì di gatto!). Il sorso era morbido, di media tensione ma non bolso, ben corrispondente aromaticamente con uno slanciato allungo su una fragranza innata. Vista la sua bevibilità, se questi sono i vini “piacioni” auspichiamo di averne a disposizione in quantità. Di rilievo la convenienza del prezzo, a 12 euro al consumatore finale.
Ed ecco la prima Recantina della mia vita: l’Augusto (dal nome del genitore di Ermenegildo), un Montello Colli Asolani Recantina (in purezza) DOC, annata 2018. Il vitigno gode di buona stampa sin dalle prime testimonianze che lo riguardano, risalenti al ‘700. Grande la fiducia nella maturazione dell’uva e nella qualità del tannino, visto che alla vinificazione in acciaio segue un affinamento di un anno di botte grande in rovere di Slavonia. Mi colpiva subito il colore, impressionante, tra i più profondi e luminosi in cui mi sia mai imbattuto. Buona l’intensità olfattiva, con un impatto fruttato leggermente surmaturo (confettura di mora e mirtillo) che si screziava tra cioccolato e pepe, e dopo adeguata ossigenazione con richiami affumicati e di grafite. Il palato dal canto suo era avvolgente e gentile nella presa tannica (e vista l’illuminata mano enologica non c’era da dubitarne). Mi riservo il giudizio sul vitigno, anche perché un indizio non fa una prova. A parte la profondità colorante straordinaria, è certamente in grado di esibire tannini eleganti. Per quanto mi concerne, è da verificare se la ricerca di una maggiore struttura (e quindi potenzialmente di maggiore longevità), non rischi di condurre ad un loro irrigidimento, e alla necessità di una stramaturazione che potrebbe semplificare lo spettro aromatico verso un che di “già sentito”. Inoltre, non ho trovato traccia del richiamo varietale di viola che la Recantina dovrebbe esibire. Resta il fatto che il vino si beve volentieri, e che potrebbe certo cimentarsi anche con abbinamenti piuttosto impegnativi.
Il bisogno, oserei dire la missione di esaltare l’operosa storia familiare, trovava il suo culmine nell’Umberto I (ça va sans dire, il nonno), Montello Rosso Superiore DOCG 2019, taglio di Cabernet Sauvignon e Merlot, ancora dalle vigne presso l’abbazia, che affronta 24 mesi di barrique. Profondo nel colore, sfodera un olfatto dove la presenza pervasiva e gradevole del frutto rosso risulta in qualche modo scandita dal tono vegetale del Cabernet, e dalla balsamicità che è la cifra stilistica dei Merlot perfettamente maturi. La bocca è ben disegnata, e occupa tutto il volume garantito dalla componente ferrosa dei terreni con sapidità e acidità integrate in un corpo possente. L’opulenza fruttata diviene uno slanciato lungo finale di erbe aromatiche, con legno a corredo, certo giustificato dalla fittezza della trama tannica. Si può comunque ragionevolmente aspettarsi che il tempo consentirà di “digerirlo” meglio.
Era questo l’ultimo di una sequenza di assaggi di impeccabile fattura, dal frutto sempre godibile, dal sorso sempre pieno e appagante. Ciò che mi ha maggiormente impressionato è l’innegabile capacità del comprensorio del Montello di sfornare rossi in cui la pienezza non è disgiunta dall’eleganza. Quanto alla Recantina è un’opportunità: il futuro del Montello potrebbe essere dalla sua parte.
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