Il cuore d’Irlanda – Parte 1: la Birra

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Il cuore d’Irlanda è sicuramente verde, un verde smeraldo che rifulge nonostante un cielo quasi sempre plumbeo, un cuore pulsante che però può avere anche un colore ambrato, come quello del whiskey e di alcune birre, ma a volte può essere ben più scuro … come le Irish Stout.

Alla fine, credo che sia la Repubblica d’Irlanda a restare sempre nel cuore di chi la visita. Questo è un viaggio che consiglio a tutti, in un Paese che è a portata di mano (tre ore di volo) e che fa parte della UE con tutte le comodità che ciò comporta (valuta, copertura sanitaria, tariffe telecomunicazioni, ecc). Un Paese che ha il fascino dell’isola e degli scenari nordici, dove il verde appunto impera, il clima è folle, ma lo spettacolo della natura è ipnotico. Un Paese che affonda la sua cultura nella storia celtica, che ha subito la dominazione inglese e che da essa si è affrancata ricostruendo quanto distrutto e rivendicando con forza tutte le tradizioni soppresse e oppresse.

Questa è la Repubblica d’Irlanda, dove ho potuto passare una settimana girando per bene tutta la parte centro-meridionale, dalla costa orientale dove spicca Dublino, alla costa occidentale, attraverso i fiordi e lungo la Wild Atlantic Way, percorrendo il suggestivo Ring of Kerry o sfiorando le isole Aran dalle scogliere di Moher, fino a spingermi nel Parco del Connemara. Non sarà un racconto a sfondo turistico ovviamente, quindi tralascio i dettagli sulle varie tappe in castelli, abbazie, siti archeologici e cattedrali, ma non posso sorvolare sul magnetismo che questo Paese mi ha trasmesso, lasciandomi sulla pelle umido e salsedine, nelle orecchie le ballate celtiche, negli occhi la profondità dei colori selvaggi, nell’anima l’orgoglio di un popolo fiero e festoso … nel naso i profumi del whiskey distillato tre volte e in bocca le fragranze delle birre più diverse fra cui spicca, inevitabilmente, la monolitica Guinness.

Oggi partiremo proprio dalle birre, uno dei prodotti nazionali primari, tra cui troviamo sicuramente anche il whiskey di cui parleremo in un secondo momento, ma anche la carne bovina e ovina, una carne pregiata frutto di allevamenti davvero eccellenti, dove gli animali pascolano liberamente, anche senza recinzioni, in un un immenso giardino incontaminato.

STOUT – La Guinness Draught 

Birre alla mano non possiamo non partire dalle Stout, prodotto tipico e largamente diffuso per motivi di economia e tradizione, fra cui spicca come detto la più famosa e istituzionale Guinness, il cui birrificio si trova a Dublino, unitamente ad una Storehouse che è un piccolo “paese dei balocchi” che include negozio, museo storico, narrazione immersiva del processo di produzione, ristorante, pub e bar. Questo tour totalmente libero costa 30€ e include una pinta di birra da fruire al Gravity Bar posto al roof top della struttura. Le Stout, come sappiamo, sono birre ad alta fermentazione caratterizzate dal classico colore nero e dalla quasi totale assenza di bollicine, in particolare per la Guinness, che invece di essere spillata con il classico sistema a CO2, adotta una spillatura irlandese a carboazoto che, per la caratteristica dell’azoto di restare separato dal liquido, rende questa birra quasi “ferma” e gli conferisce quella morbidezza di beva e quella cremosità caratteristiche.

Nella Storehouse il ciclo produttivo viene raccontato in modo teatrale in ogni sua fase, evidenziando tutti quei passaggi peculiari che rendono questa Stout così “speciale”. Si parte dagli ingredienti, che sono abbastanza conosciuti e comuni a tutte le birre: acqua, orzo, luppolo e lievito. Come per ogni birrificio che si rispetti, ogni ingrediente è selezionato accuratamente per garantirne una qualità superiore. Le iscrizioni lungo il percorso ci ricordano che “Ogni ingrediente è speciale di per sé, ma se mescolati insieme secondo la ricetta segreta di Guinness, si realizza un risultato eccezionale”.

Ovviamente il tipo di luppolo utilizzato è peculiare ed in grado di sviluppare oli naturali e fragranze uniche che conferiscono alla birra il gusto desiderato. Nella storia di questo marchio, precursore dell’esportazione in tutto il modo, l’alto contenuto di luppolo, che agisce come un conservante, consentiva ai barili di essere trasportati in lunghi viaggi che avvenivano via nave e treno. L’acqua utilizzata nella produzione della Guinness al St. James’s Gate Brewery proviene dalle vicine montagne di Wicklow, un’acqua purissima che sgorga dalla sorgente di Lady’s Well, dolce e a basso contenuto di minerali che, mentre scorre lungo il fianco della montagna, perde parte dei solfati di calcio e magnesio che la compongono.

Il lievito di Arthur (Guinness) è un vero tesoro nazionale. La leggenda narra che il lievito utilizzato nel birrificio derivi dallo stesso ceppo usato da Arthur Guinness nel XVIII secolo; forse è leggenda, ma si è certi che fin dagli inizi del XIX secolo parte del lievito di ogni birra veniva trasferito in quella successiva. Il lievito oggi utilizzato viene “coltivato” solo al St. James Gate ed è così prezioso che leggiamo “una scorta di lievito viene sempre conservata al sicuro nella cassaforte del direttore dello stabilimento; se qualcosa dovesse accadere alla fornitura principale, con questa preziosa riserva si potrebbe ricostituire una coltura in poche ore”.

Veniamo all’orzo, che viene utilizzato sia maltato che non, ma in questo caso specificatamente tostato ad alte temperature. E’ 232°C la temperatura di torrefazione utilizzata per ottenere il colore, il gusto e l’aroma unici della Guinness, dove c’è una lunga tradizione e un know how secolare che sono punti di forza del marchio, poiché l’abilità nel tostare in modo opportuno l’orzo richiede anni per essere padroneggiata.

Una volta composto il particolare mosto dolceamaro di questa iconica birra, con gli orzi e l’acqua, si passa al processo di fermentazione, in cui l’aggiunta dei preziosi lieviti descritti innesca la trasformazione degli zuccheri in alcol, con conseguente produzione di CO2. Il gas viene a sua volta raccolto e trasferito ad un impianto che tratta e purifica l’anidride carbonica per il suo reimpiego; in questo processo, la pressione del gas viene controllata per imprimere il giusto aroma e gusto al prodotto finale.

Il bicchierino di questa Draught che ho provato in sala degustazione,mi è sembrato un po’ diverso dalla pinta che mi ero goduto in un pub la sera prima; sembrava tirato giù dalla produzione, con una fragranza più spiccata e profonda, ma comunque sulla medesima lunghezza d’onda. Aroma intenso di tostatura con un gusto amarognolo, ma cremoso, con immediate variazioni di caffè e cioccolato fondente, poi resta un velo vagamente fruttato in bocca, e ricordi di caramello.

STOUT – La Murphy’s

Ecco un’altra birra storica e largamente diffusa, che dal 1856 resta fedele alle sue radici, nella “ribelle” contea di Cork, la più meridionale e più ampia della Repubblica, dove spicca la città portuale di Kinsale, considerata la capitale gastronomica d’Irlanda, ma dove la città medievale di Cork è sicuramente il capoluogo delle Dry Stout.

A dire il vero la storia di questo marchio versa qualche lacrima di nostalgia per un tempo in cui lo storico impianto nel cuore della città rappresentava anche un popolo e un luogo … oggi anche questo marchio (come altri che vedremo) è confluito dopo varie vicissitudini nel grande calderone Heineken. E’ una birra molto apprezzata nel sud d’Irlanda, dove insieme alla sua sorellastra proposta a seguire viene considerata “di casa”. Si tratta di una Stout dal colore quasi impenetrabile e dai profumi di torrefazione con velature vegetali; in bocca risulta effettivamente più abboccata delle altre provate, lo spunto amarognolo è meno incisivo, se non assente, cremosa al palato, con note di caramello e ovviamente caffè, ma anche un fondo di radice di liquirizia.

STOUT – La Beamish

Ecco la “sorellastra” di Cork, perché anche lei “adottata” ormai da Heineken, un altro marchio storico che pur resistendo alla crisi dei primi decenni del XX secolo, che decimò i birrifici irlandesi più che dimezzandoli, non ha invece resistito alla crescita del mercato negli anni della ripresa e si è consegnata al colosso olandese pur di sopravvivere. Dal colore meno scuro della Murphy, offre profumi forse più ricchi, sempre tipici delle dry Stout, ma con sentori di panetteria e pepe nero. Al palato la trovo decisamente più strutturata, meno rotonda ma sempre cremosa, meno caramello e più cacao amaro, con un finale asciutto e vagamente liquoroso.

STOUT – La O’Hara’s

Una realtà decisamente più giovane ma molto interessante e in grande crescita, sia di numeri che di idee. O’Hara’s è il marchio di punta della Carlow Brewing Company, fondata nel 1996 dalla famiglia O’Hara, antesignani del Craft Brewing irlandese, che in continua evoluzione propongono una buona varietà di prodotti che spazia dalle Stout alle Lager, dalle Ale alle birre di frumento, finanche birre stagionali e una linea dedicata a una specie di “cru” secondo una selezione dei migliori luppoli.

Ogni birra viene prodotta utilizzando metodi di produzione classici per ricreare i tradizionali stili di birra irlandesi un po’ abbandonati dalle produzioni industriali. La Irish Stout viene prodotta con almeno cinque diverse varietà di malto e frumento, una combinazione che si realizza attraverso un processo di ammostamento e bollitura curato attentamente, integrata con l’utilizzo di specifiche varietà di luppolo “old style”. Colore tipico, nero con riflessi violacei, propone una schiuma cremosa (io l’ho bevuta spillata) e aromi fedeli alla tradizione Stout in cui risaltano note di tostatura e liquirizia; in bocca ha una bella pastosità, e un gusto luppolato intenso e profondo, grazie all’apporto della tipologia Fuggle, che nel finale traccia una scia amaricante, aspra.

LAGER – La Guinness Hop House 13

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Le Lager, come sappiamo, sono birre a bassa fermentazione comunemente chiamate chiare o bionde, le più presenti nell’immaginario collettivo, ma che forse hanno un po’ subito il contraccolpo della produzione di massa dei grandi colossi industriali, perdendo quel fascino che una buona birra dovrebbe sempre avere.

In Irlanda ci sono probabilmente un paio di marchi più diffusi a rappresentare questa tipologia, ma voglio sempre partire dalla mia prima tappa dublinese, dove al Gravity Bar della Storehouse Guinness ho voluto provare questa alternativa della regina della casa. Una versione creata con i lieviti Ale tipici della Stout il cui nome deriva proprio dallo “Hop Store n°13” all’interno del St. James Gate, un magazzino in cui vengono conservate le tre tipologie di luppolo necessarie per questa produzione: Galaxy, Topaz e Mosaic. E’ stato un bel tasting, anche grazie alla location suggestiva che domina a 360° lo skyline di Dublino, con questa birra dai profumi sottilmente fruttati e un gusto coerente in cui spiccano sentori di pesca e albicocca unitamente a una freschezza di beva giustamente maltata. Un sorso corposo, non banale, con finale luppolato e asciutto.

LAGER – La Harp

Probabilmente la Lager più diffusa, almeno nella zona meridionale che ho battuto, dove in tutti i pub che ho frequentato aveva il suo posto al bancone, ma va detto che è un prodotto della Guinness che però viaggia con un brand tutto suo. Ha un bel colore intenso e una spuma compatta ma evanescente. I profumi solleticano il naso con lievi note vegetali e velature dolci di malto, quasi mielose. In bocca è molto viva la bollicina, forse troppo per i miei gusti, ma la beva è consistente, inizialmente abboccata e dissetante, poi più amaricante, con ritorno di luppolo e finale bello secco.

LAGER – La Murphy’s Golden Fire (Strong Lager)

Questa birra l’ho presa in bottiglia in un pub molto grazioso e gestito da sole ragazze a Dublino, in cui ho dovuto rimediare a un errore da ignorante. Guardando la batteria di spillatori ne ho indicato uno dove campeggiava la scritta Bulmers con un logo che non era diverso, nello stile, dagli altri, ma che poi al bicchiere si è rivelato essere Sidro. Già, forse parleremo anche di questo, in Irlanda anche il Sidro ha una grande tradizione … che forse deriva dal mitico idromele celtico? Approfondirò. Comunque, passato il bicchiere a mia moglie, ho guardato la vetrina delle bottiglie e un’etichetta dove campeggiava un drago mi ha colpito, così ho provato questa Strong Ale prodotta da Murphy-Dreher (Heineken) che si è rivelata interessante, ma forse un pò piatta. Colore oro antico offre profumi tipici, vagamente fruttati e freschi, regalando però in bocca un sorso piacevolmente luppolato, senza spigolature o eccessi, ma deciso e armonico, dal tenore alcolico più sentito e con una nota agrumata nel finale che lascia un buon ricordo seppur breve.

ALE – La Smithwick’s (Kilkenny) Red Ale

Torniamo all’utilizzo dei ceppi di lievito per l’alta fermentazione, in particolare alle tipologie di birra che poi sono più largamente diffuse in Irlanda dopo le Stout. Qui le Ale sono prevalentemente rosse, tipicamente corpose e con una gradazione superiore alle precedenti categorie. La Smithwick’s ha una grande tradizione che affonda le sue radici nel XVII secolo, quando John Smithwick avviò a Kilkenny, a fari spenti, la produzione con un socio (c’erano ancora le leggi che proibivano le proprietà ai cattolici). In seguito altre otto generazioni di Smithwick si sono susseguite alla guida dell’azienda, attraverso periodi floridi e momenti di crisi, ma perseverando tenacemente nel voler affermare un’identità precisa ed un sentimento di indipendenza, sicurezza e vittoria sulle avversità. Questa Red Ale è rosso rubino-ambrato che tende al nocciola, con una bella spuma compatta e cremosa che lascia i baffi. I profumi che emergono sanno di tostatura, malto e caramello in cottura, mentre in bocca colpisce una complessità aromatica piuttosto ricca, che varia dalle sfumature Stout di caffè e malto tostato, per virare alle fragranze di frutta sia candita che secca, con note di mou, succo d’acero e radice di liquirizia, con un finale amaricante e leggermente acidulo.

ALE – La O’Hara’s Irish Red Nitro

Di questa Craft Brewery abbiamo già parlato, la qualità è maniacale e la produzione variegata. Nella Irish Red che ho provato (versione Nitro da fusto) osservo un colore rosso rubino cupo dalle sfumature ambrate, con un cappello di spuma ricco e cremoso. Al naso rimane un po’ chiusa (alta fermentazione) ma si percepiscono note di caramello che poi ritroviamo anche all’assaggio, dove il corpo del malto è notevole, richiamando le Bock o le stesse Stout, ma la morbidezza è peculiare, accattivante e avvolgente, in un gioco di equilibrismo dolceamaro che mi ricorda il miele di castagno. Invidiabile la complessità aromatica, davvero ricca di sfumature, dall’orzo tostato al sandalo, dalla nocciola al tabacco, dal cacao al crem caramel. La mia preferita fra le non Stout.

ALE – La Galway Bay Bay Red Ale

A Galway, nella Contea omonima che ospita la spettacolare Abbazia/Castello di Kylemore nel cuore del Connemara, ho fatto una breve ma piacevole tappa in un raro pomeriggio di sole che ci ha concesso una bella passeggiata proprio in uno dei giorni in cui si svolge uno dei meeting ippici più noti al mondo: Le Galway Races. Parliamo di sette giorni di emozioni pure in un contenitore ricco di eventi ispirati ai principi storici di questo Paese che trasformano la città in un vivacissimo contesto, brulicante di turisti e appassionati che riempiono le vie del centro e, vestiti a festa, si mettono ordinatamente in fila per salire sui pulman che li condurranno all’ippodromo di Ballybrit. Sorvolo sullo shopping sfrenato che con la famiglia mi ha fagocitato in caratteristiche gioiellerie locali, mentre mi soffermo sulla sosta al pub per il goccetto pomeridiano, in cui ho provato questa birra che omaggia la baia che ospita questa città portuale. La Galway Bay Brewery è una realtà giovane che si cimenta nell’affinamento in botte di alcune birre, con risultati apprezzabili e tanta passione. Questa Bay Red Ale ha bel colore limpido e luminoso (ma c’era il sole) ed offre profumi di frutta secca e pasticceria; al palato si presenta mediamente corposa, con fragranze maltate e note classiche di caramello, con un finale leggermente amaricante e velature erbacee con riverberi di humus.

ALE – La Wicklow Wolf Wildfire Hoppy Red

Il Wicklow Wolf Brewery è un birrificio moderno situato a Newtown Mount Kennedy nella contea di Wicklow (a sud di Dublino) che include un “giardino dei luppoli” e che sulle varietà di luppolo basa la sua impronta produttiva. Qui infatti, nella Wicklow Wolf Hop Farm, si coltivano molte tipologie del luppolo che viene poi usato in produzione, e questo è solo uno degli aspetti che rende questa azienda molto attenta alla sostenibilità. L’immagine del lupo mi ha attratto subito, anche se l’animale non entra in questa scelta di marketing, infatti è ispirata proprio alla pianta del luppolo il cui nome botanico è Humulus Lupulus, dove Lupulus significa anche lupo.

La Wildfire Hoppy Red, che appare ramata alla vista, rivela al naso un sorprendente bouquet aromatico, da cui emergono note di malto tostato, toffee e cioccolato, ma anche frutta rossa e l’immancabile caramello. Anche in bocca ritrovo una piacevole armonia gustativa, in cui i sentori di bosco ritornano insieme a note di tamarindo e di erbe aromatiche. Un gusto incipiente dolce bilanciato subito dal complesso retrogusto dei luppoli, con un finale asciutto in cui ritorna il malto e un tocco legnoso. Una Irish Red Ale particolare e intrigante. in cui la spinta “hoppy” dei luppoli incide in modo sorprendente e gradevole sull’impronta gustativa.

 

 

Riccardo Brandi

Riccardo Brandi (brandi@acquabuona.it), romano, laureato in Scienze della Comunicazione, affronta con rigore un lavoro votato ai calcoli ed alla tecnologia avanzata nel mondo della comunicazione. Valvola di sfogo a tanta austerità sono le emozioni che trae dalla passione per il vino di qualità e da ogni aspetto del mondo enogastronomico. Ha frequentato corsi di degustazione (AIS), di abbinamento (vino/cibo), di approfondimento (sigari e distillati) e gastronomia (Gambero Rosso). Enoturista e gourmet a tutto campo, oggi ha un credo profondo: degustare, scrivere e condividere esperienze sensoriali.

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