La filosofia di Meleto è da sempre attenta all’impatto ambientale. Il gruppo ha scelto dunque di applicare pannelli fotovoltaici e di adottare sistemi di monitoraggio dei consumi di acqua, limitare l’uso di detergenti, utilizzare pompe di calore a energie rinnovabili. Vengono inoltre introdotti nelle aree ricettive alcuni sistemi di refrigerazione ad aria e free cooling con recuperatore di calore termodinamico. Madre natura è stata indubbiamente generosa nei confronti del territorio senese. Il paesaggio è incantevole dunque il minimo che si possa fare è cercare di mantenerlo il più inalterato possibile. Nell’interesse di tutti s’intende. Castello di Meleto oggi è soprattutto un progetto collettivo guidato da una realtà unica nel proprio genere. Sto parlando di circa 1.700 azionisti che, nel 1968, raccolsero la sfida di recuperare e rilanciare un bene storico e territoriale.
Completa l’offerta l’Osteria Meleto, situata ai piedi del Castello nella vecchia fornace che, in passato, serviva per cuocere i mattoni usati per costruire gran parte dei casali di Gaiole in Chianti. Quest’ultimo è tra i comuni situati più a nord dell’area vitivinicola del Chianti Classico. La storia di Castello di Meleto ha inizio nel XI secolo con i monaci benedettini ma è solo nel 1256 la prima citazione scritta del suo nome. Da allora l’aspetto esterno del castello è rimasto più o meno stesso: il maniero si presenta integro e perfettamente mantenuto. La vera rivoluzione inizia nel 1968 con la cosiddetta “Operazione Vigneti”, ovvero il primo crowdfunding italiano nel mondo del vino ad opera di Gianni Mazzocchi editore di riviste famose in campo automobilistico e di finanza.
Proprio ai lettori di quest’ultima testata fu proposto di acquistare delle quote di un patrimonio italiano che rischiava di andare in mani straniere. Nacque così “Viticola Toscana”, proprietaria del Castello e degli oltre 1100 ettari di terreno. Una vera rivoluzione che ha portato l’azienda, negli anni, ad essere considerata un punto di riferimento a livello turistico, vitivinicolo ed agricolo. La direzione intrapresa da quest’importante cantina si dirama su tre importanti strade, tre aspetti veri e propri che hanno massima priorità: l’impatto ambientale, l’aspetto sociale e ovviamente quello economico. Questo pregiato fazzoletto di terra toscana è attraversato dal torrente Massellone, un tempo chiamato Clante, dal cui nome pare derivi la parola Chianti. I terreni aziendali raggiungono i 600 m slm con altimetria media tra i 350 e i 450 metri, caratteristica che determina forti escursioni termiche tra giorno e notte ideali per lo sviluppo degli aromi ed il mantenimento della freschezza. Mediamente, la composizione generale dei terreni è argilla (25-30%), sabbia (35-40%), limo (35-40%). Lo scheletro rappresenta tra il 5-10% del terreno, ed è principalmente costituito da galestro e alberese, rocce caratteristiche del Chianti Classico.
Le sperimentazioni riguardo la lotta alle malattie sono all’ordine del giorno. Ho trovato molto interessante quella sulle piante di senape che pare funga da deterrente per combattere l’oidio. Questa particolare filosofia aziendale ha reso possibile l’ingresso di Meleto nel Bio Distretto del Chianti, uno dei primi a livello nazionale. Passeggiando tra i filari è impossibile non apprezzare la biodiversità che circonda le vigne. A tal riguardo il mantenimento del bosco, esteso su più di 700 ettari, ogni anno richiede al gruppo una manutenzione di centinaia di ore di lavoro. Oltre a depurare l’aria permette di conservare piante e specie animali che altrimenti rischierebbero l’estinzione, utilissime tra l’altro per l’equilibrio del vigneto. Le più importanti sono le api, allevate su un totale di 20 arnie che è possibile ammirare. Meleto produce dunque anche miele e olio extra vergine d’oliva da agricoltura biologica. Circa 1600 piante situate ad un’altitudine compresa tra i 300 e i 350 metri sopra il livello del mare. Le cultivar utilizzate sono: leccino, frantoio, pendolino e moraiolo. L’azienda alleva infine, allo stato brado, maialini di Cinta Senese.
Chianti Classico per quanto mi riguarda è sinonimo di sangiovese. Il disciplinare, nato nel 1967, prevede la possibilità di sfruttare svariate uve nazionali ed internazionali per un massimo del 20 % dell’assemblaggio. Per la categoria Gran Selezione questa quota scende al 10%. Tantissime aziende vitivinicole, soprattutto negli ultimi anni, hanno scelto di utilizzare soltanto l’uva sopracitata localmente chiamata sangioveto. Un vitigno straordinario che in Italia viene coltivato in diverse aree vitivinicole ma che proprio in questa zona restituisce una delle massime espressioni.
Castello di Meleto crede fortemente nelle potenzialità di questo grande vitigno toscano e ha deciso infatti di utilizzarlo in purezza in ogni etichetta “Chianti Classico” della sua gamma. Esistono diversi cloni ed è per questo che l’azienda alcuni anni fa ha scelto di intraprendere una sperimentazione con l’Università di Firenze. Il fine è individuare i biotipi che meglio si adattano alle cinque macro-aree all’interno della proprietà. Il lavoro ha richiesto lo studio delle macro-zone e una selezione di 150 viti. Le cinque zone sono diverse per clima, altimetria, esposizione, composizione dei suoli e pendenze. Nell’ordine troviamo: “Castello di Meleto”, ovvero la zona più calda e riparata dal vento.
Il terreno è principalmente argilloso e ricco di scheletro. “San Piero in Avenano” rappresenta la zona confinante con la Pieve di Spaltenna. Un’area più aperta e ventilata. Ciò permette di preservare la freschezza e mantenere una buona qualità delle uve. Qui il terreno è ricco di scheletro. “Poggiarso” è il comprensorio più arido e più freddo tra le tenute con pendenze che sfiorano i 530 m. slm. La produzione è inferiore ma la qualità dei vini è molto alta, i profumi sono intensi grazie alle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Il terreno è argilloso con grandi quantità di scheletro composto da alberese e galestro. “Moci” è invece la zona che guarda verso la città di Siena. L’altitudine varia dai 360 ai 420 m. slm. La primavera, salvo annate particolari, è caratterizzata da importanti escursioni termiche e l’estate è molto calda; l’inverno risulta piuttosto rigido con frequenti nevicate. I vigneti presentano un’ottima esposizione ed il suolo è composto da arenarie, argilla e galestro. Ultima, non certo in termini d’importanza, “Vigna Casi” situata nella valle sotto al borgo medievale di Vertine. Il clima da queste parti è temperato grazie alla presenza dei tanti boschi. Il Sangiovese trova qui condizioni ideali date da un terreno caldo e un clima fresco che resiste anche nei periodi più siccitosi. La sperimentazione in vigna è tra gli assi nella manica di Meleto: oltre 100 vinificazioni diverse le cui uve vengono mantenute separate per parcella. Tra i filari vige l’obbiettivo d’ottenere il massimo grazie alle selezioni che hanno portato ad effettuare più di 70 micro-vinificazioni. Quest’ulitme parcellizzate per vigna e microaree con fermentazioni in acciaio, vasche di cemento, tonneaux aperti e con alcune piccole sperimentazioni mediante lunghe macerazioni sui raspi. I grappoli destinati ai vini più importati sono sottoposti ad una doppia selezione: la prima in vigneto al momento della raccolta, la seconda sul tavolo di cernita dove ogni grappolo viene controllato manualmente. Un lavoro certosino che consente di ottenere uve sane e di ridurre l’uso di anidride solforosa, così come di optare per le fermentazioni spontanee e innescate dai lieviti autoctoni presenti sulle uve.
È giunto il momento di degustare tre etichette della gamma di Castello di Meleto. Tre cru appartenenti alla categoria Chianti Classico Gran Selezione: Casi, Trebbio (facente parte dell’area di San Piero in Avenano) e Poggiarso.
Rubino-granata tonalità brillante e vivace, buon estratto. Il naso non ostenta inutili esuberanze. Con il trascorrere dei minuti affiorano ricordi di violetta, ciliegia croccante e ribes rosso. La spezia è fine e accompagna gran parte degli altri sentori: pepe bianco, ginepro, tabacco e un fresco respiro balsamico. La chiusura è in netto favore della componente minerale data dal terreno composto da arenarie e galestro. Il palato, complice un’annata piuttosto classica, risulta giustamente “severo” anche a causa del tannino percettibile pur tuttavia dolce. Quest’ultimo ben si fonde all’interno di un registro gustativo la cui verticalità appare evidente e al contempo appagante.
Manto rubino luminoso e di media trasparenza. Lo avvicino al naso e dolci profumi di ciliegia matura e susina catturano la mia attenzione. Il comparto floreale appare nitido e incredibilmente vivo: viola, geranio selvatico unito a ricordi di macchia mediterranea e una lieve percezione ematica-ferrosa. Con lenta ossigenazione ritorna il frutto, una spigliata sensazione di agrume dolce. Questa volta la componente tannica appare risoluta pur tuttavia percettibile e ben amalgamata alla travolgente sapidità. Quest’ultima conquista subito la scena. Appare dunque inequivocabile il carisma di questo vigneto. La progressione del vino ed il suo equilibrio testimoniano le peculiarità di un’annata da tenere sott’occhio, oltre all’ottimo lavoro svolto dalla azienda s’intende.
Chianti Classico Gran Selezione Poggiarso 2019
Veste rubino vivace, riflessi granata che andranno via via intensificandosi con il passare degli anni. Buon estratto. L’esordio al naso è spigliato ma il timbro risulta sommesso e in sottrazione. Ricercare le sfumature all’interno del calice è un vero piacere perché il Poggiarso 2019 “avanza” con grazia e disinvoltura. Il frutto appare opportunamente maturo e ricorda l’aroma dei frutti neri spremuti tra cui ribes e mirtillo. Occorre un bel po’ di tempo, circa 20-25 minuti, per cogliere seriamente altre sfumature. Nell’ordine: alloro, pepe nero e geranio selvatico, toni boschivi e terriccio bagnato. In chiusura tabacco e pietra polverizzata. Il palato colpisce per coerenza. Quest’ultima è data principalmente da un frutto che ritorna intenso e maturo, qua e là stuzzicato da un tannino marcante e una freschezza sempre in primo piano. Cosi come la sapidità a tratti travolgente in tandem con una chiusura ammandorlata. Lunghissimo.
Nella seconda immagine, Stefano Ilari; nella terza e nella quinta Michele Contartese. Le foto dei vini sono di Danila Atzeni, le altre sono state fornite dall’azienda