Mentre il costo delle più note etichette piemontesi e toscane si isola in una remota torre di avorio, e quello dei cru borgognoni si muove ormai in uno spazio ultraterreno inattingibile, esistono ancora bottiglie di vino che un comune mortale può addirittura decidere di comprare. Avendo non soltanto la determinazione emotiva, ma anche i mezzi finanziari per farlo.
Un caso esemplare è fornito dall’azienda calabrese Spiriti Ebbri, che fin dal nome dovrebbe suscitare simpatia e interesse nel bevitore accorto. Ne ho seguito le sorti fin dagli esordi perché uno dei titolari, Pierpaolo Greco, iniziò ad approfondire la materia anche grazie a un’intervista che feci per il Gambero Rosso al leggendario Henri Jayer. Per essere più precisi, nelle parole di Pierpaolo, “il vino mi interessa in maniera consapevole dal 1992, quando ho cominciato a studiare da autodidatta anche viticoltura ed enologia. L’intervista a Jayer è stata la conferma che la mia filosofia, che è diventata quella di Spiriti Ebbri, era nel giusto.”
All’epoca Pierpaolo mi esternò il suo entusiasmo per il grande vignaiolo di Vosne e insieme espresse la sua intenzione di mettersi a produrre il liquido odorifero e spiritato – soluzione idroalcolica per la legge italiana “ottenuta esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve” – che chiamiamo comunemente “vino”.
Intenzione divenuta realtà concreta dalla metà degli anni Duemila (formalmente dal 2008), insieme ai sodali Damiano Mele e Michele Scrivano. Nelle campagne cosentine tra Lappano e Frascineto (Castrovillari) i soci contano oggi su una treina di ettari vitati di proprietà e su altrettanti in cogestione, nonché su un ettaro di uliveto (i cui frutti non entrano tuttavia, almeno a mia conoscenza, in alcuno degli assemblaggi dei vini prodotti).
Pratiche agronomiche ed enotecniche all’insegna della morigeratezza, dell’oculatezza, della consapevolezza, e di altre virtù in –ezza, fanno nascere vini di schietta autenticità. Per quanto ho potuto osservare, lo stile si è progressivamente affinato nell’ultimo decennio. L’originaria rusticità del tratto, verace ma qua e là un po’ troppo scapigliato, ha ceduto il posto a uno standard dove convivono in modo felice sia l’assenza di artefazione che la cura del dettaglio aromatico.
L’ultima tornata di assaggi mi ha fatto molto apprezzare il Daimon Rosso, in cui si esprime un frutto nitido e succoso; l’Appianum Rosato, delicatissimo all’olfatto ma sapido e tenace nella presa al palato; e in particolare il nuovo Riesling Frasnita, il quale – a dispetto del nome, che pare un anagramma della Settimana Enigmistica – ha tutte le lettere gustative al loro posto: freschezza, slancio, ritmo, progressione.
Tutt’e tre i vini provenienti dall’annata 2022. Costi umani e non ultraterreni, sui 15 euro in azienda (27 per il bianco). Per i dettagli enografici e tecnici basta andare sul sito dell’azienda.
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