Dal 2014 dunque si respira un’aria diversa passeggiando per le vie di alcuni tra i borghi protagonisti della Langa del Barolo. Cito i più frequentati a partire proprio da Barolo sino ad arrivare a Serralunga d’Alba, Monforte d’Alba, La Morra e Castiglione Falletto. Durante i fine settimana o nei periodi festivi, per non parlare dei tanti week end della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, si registra un’affluenza di turismo nazionale – e soprattutto internazionale – da far invidia alle località balneari durante la piena stagione estiva. Sempre più investitori esteri hanno iniziato a “corteggiare” alcune tra le cantine storiche della Langa del vino, spinti dal desiderio di investire i propri capitali all’interno di un territorio che ormai nulla ha da invidiare ad altre aree vitivinicole a livello planetario.
Paglierino vivace, caldo, estratto notevole. Al naso ricordi di mandorla fresca e frutta tropicale disidratata, idrocarburi appena accennati; con lenta ossigenazione maggiorana, scorza di cedro e pepe bianco. Palato in divenire: attualmente la sapidità è in netto vantaggio sulla freschezza che comunque si impone regalando un sorso equilibrato, lungo e dove l’alcol percepito fa la sua comparsa soltanto alla fine.
Colli Tortonesi Timorasso Derthona 2019
Questa volta la trama cromatica è a vantaggio dell’oro antico con riflessi paglierino. Si muove lentamente all’interno del calice. L’espressività è ciò che apprezzo di più e non sto parlando di sentori esuberanti e sfacciati, tutto il contrario. Un mix di erbe aromatiche e scorza d’agrume apre la strada a suggestioni di pietra focaia, fieno secco, smalto e mandorla tostata. In bocca il vino sorprende per doti di leggiadria e al contempo profondità. Un peso massimo travestito da centometrista. Grande vino.
Rubino caldo e profondo, unghia porpora. La quintessenza del Barbera. I frutti di bosco maturi rincorrono qualche nota ancor vinosa e un bel bouquet floreale che sa di violetta e geranio selvatico. Apprezzo specialmente la finezza del pepe nero e una curiosa nota lattica in chiusura. Ne assaggio un sorso e ritrovo una freschezza travolgente commisurata ad un corpo medio, anche a livello di sapidità, che non stanca il palato. Il vino sfuma lentamente con garbo e classe.
Barbera d’Alba Vigna Vecchia Scarrone 2021
Il Vigna Vecchia Scarrone viene prodotto mediante uve barbera allevate all’interno di un vigneto piantato nel 1918. Trama cromatica rubino squillante con incursioni porpora di notevole impatto. Respiro intenso e al contempo ricco di sfumature in levare, quasi sommesse e mai sfacciate. Distinguo: amarena, susina nera, rosa rossa lievemente appassita e caucciù. Con lenta ossigenazione affiorano ricordi legati al terreno. Quelle lunghe passeggiate autunnali tra i filari di Castiglione Falletto, compresa Vigna Scarrone s’intende. In bocca avverto maggior sapidità ed estratto senza nulla togliere alla leggiadria del sorso, allo slancio di questa interessante Barbera che a mio avviso invecchia molto bene.
A proposito di vini Barbera che invecchiano bene La Crena 2011 è un fulgido esempio. Tra il rubino e il granato, tonalità ancora vivace. Naso pulitissimo: toni dolci di frutti di bosco ormai in confettura e un fresco respiro balsamico e lievemente terroso; un vino che cambia registro di continuo ingentilendo sempre più i suoi toni. Palato ricco, voluminoso, il tempo ha saputo stemperare l’irruenza del tipico terroir del Nizza. Godibile soprattutto a tavola.
Breve inciso. Prima di illustrare il mondo del nebbiolo di casa Vietti, e per evitare di ripetermi nelle singole recensioni, è giusto far presente che la tonalità di questi vini è contraddistinta quasi sempre da un bel granato di media trasparenza, vivace e luminoso, che assume tonalità mattone-arancio con il passare degli anni. Lo dimostra ampiamente l’annata 2005, la più datata dell’intera batteria.
L’Mga Roncaglie è situata nel comune di Barbaresco. Il terreno da queste parti è ricco di calcare e argilla. Ritrovo un naso bellissimo, ricco di sensazioni fresche e stimolanti: finocchietto selvatico, anice stallato, mentolo financo zagara e arancia rossa sanguinella. Si tratta di un vino succoso dotato di una spinta notevole, quest’ultima scivola in bocca con disinvoltura non priva di centro bocca, tannino, densità gustativa e allungo finale. Promette molto bene.
E’ l’unico Barolo di Vietti prodotto mediante uve provenienti da vari appezzamenti. I vigneti sono sparsi nei diversi comuni della denominazione, con età delle viti compresa tra i 10 ed i 45 anni, e su terreni calcareo-argillosi. Il respiro è suadente, toni caldi e in parte “autunnali”: amarena matura, rosa rossa macerata, sottobosco e alloro, liquirizia dolce e anice stellato. In bocca, senza se e senza ma, è il classico Barolo che ha segnato un’epoca. Un trionfo di classicismo. Lunghissimo e ricco di estratto senza in alcun modo prevaricare la beva che a tratti diviene irresistibile. Complice un’annata davvero interessante.
Cerequio è tra le Mga più importanti del comune di Barolo. La vigna in questione è stata piantata nel 1982. Uve nebbiolo allevate su terreni calcarei-argillosi con la presenza di Marne di Sant’Agata. Accosto il vino al naso e l’eleganza, termine di cui spesso si abusa, qui trova un significato assoluto. Nell’ordine: ribes rosso maturo, anice stellato, grafite e incenso, viola e tabacco. Trascorsi venti minuti dalla mescita effluvi minerali e di sottobosco. In bocca nonostante la potenza restituisce un finale di bocca ammandorlato, succoso e ricco di estratto; il tutto in totale assenza di eccessivo alcol percepito. Sto parlando di un vino che raggiunge i 14% Vol. mostrando una freschezza sbalorditiva.
Questa volta ci troviamo a La Morra all’interno della storica Mga Brunate sul versante sud verso Barolo. Vigne piuttosto vecchie d’età compresa tra 65 e 55 anni, terreni calcarei-argillosi con forte presenza di Marne di Sant’Agata. Un vino di grande complessità. Mostra subito il suo assetto olfattivo incentrato su toni che rimandano inesorabilmente al terroir di cui è figlio. Trascorsi 15-20 minuti dalla mescita affiora il frutto in confettura (amarena) contornato da guizzi speziati e un eco balsamica che sa di eucalipto. Lo assaggio e vengo subito rapito dal suo lento incedere privo di eccessi, sbavature di ogni sorta. Il tannino è giustamente incisivo e la persistenza supera il minuto di orologio.
Poteva mancare all’appello un cru di Castiglione Falletto? Ovviamente no. L’azienda è situata proprio nel pieno centro di questo caratteristico borgo langarolo. L’Mga in questione vanta terreni ricchi di marne gialle-bluastre e nella fattispecie le vigne di Vietti risalgono al 1959 e 1963. Ritrovo tutta l’ariosità del nebbiolo allevato fra queste colline: tanti fiori e frutti rossi, un po’ di agrume, tabacco in foglie, grafite e anice stellato. Di grande pregio anche l’evoluzione che vira su note lievemente balsamiche ed ematiche. Tra i più buoni dell’intera batteria perché in bocca trasmette gran parte delle sensazioni percepite al naso con una coerenza imbarazzante. Vino lunghissimo e appagante.
Arriviamo dunque ad uno dei comuni più importanti del disciplinare del Barolo. Sto parlando di Serralunga d’Alba e dell’Mga Lazzarito. Vietti è proprietaria di un appezzamento ad anfiteatro, a dir poco spettacolare, con esposizione sud-ovest. La pendenza è notevole e il terreno contiene tanto calcare e anche argilla. Possiamo suddividere il tutto in tre vigne piantate rispettivamente nel 1960, 1983 e 2002. Questa volta al naso avverto suggestioni di oli essenziali, eucalipto, menta e amarena matura. In bocca è forse il Barolo più in divenire. Attualmente sconta un tannino davvero importante e una verticalità che fatica ad amalgamarsi con il resto delle sensazioni gustative. La curiosità di riassaggiarlo tra 3-5 anni è tanta. Non ve lo nascondo.
L’Mga più importante del comune di Novello è senza dubbio Ravera e ovviamente Vietti l’ha scelta per produrre l’etichetta omonima di uno dei suoi Barolo. L’altitudine è pari a 400 metri sul livello del mare e l’uva nebbiolo viene allevata su terreni ricchi di calcare, argilla e Marne di Sant’Agata. Le vigne risalgono al 1969 – 2000 – 2005. Tra note di cola, liquirizia, violetta e spezie che ricordano i dolci di Natale, ritrovo un frutto “carnoso” che sa di amarena sotto spirito. Trascorsi alcuni minuiti dalla mescita cambia registro palesando suggestioni ferrose e lievemente affumicate. Anche questa volta la potenza del vino è commisurata al proprio slancio, alla verticalità gustativa che non inganna, al contrario appaga lasciando un finale di bocca pulito e balsamico.
Eugenio Palumbo, l’enologo di Vietti, ha volutamente lasciato per ultimo il Monvigliero. L’Mga più nota del comune di Verduno negli ultimi anni ha fatto parlare molto di sé. Il motivo è da attribuirsi alla particolare zona geografica ove è situata. Sto parlando di uno dei vigneti più a nord dell’intero disciplinare del Barolo che, soprattutto negli ultimi anni, a causa dell’aumento vertiginoso delle temperature sta regalando grandi soddisfazioni. Da segnalare il fatto che soltanto questo vino, in fase di macerazione, vede la presenza del 60% dell’uva intera. Le vigne di Vietti risalgono al 1977-78 e anche in questo caso troviamo terreni ricchi di calcare, argilla e Marne di Sant’Agata. Il vino qui assume toni completamente diversi sia in termini olfattivi che gustativi. Richiama in parte alcune assonanze con i nebbioli del nord Piemonte. Ritrovo erbe officinali, timo, pepe nero e tracce ematiche, frutti rossi croccanti, arancia rossa sanguinella e una violetta appena sussurrata. Ne assaggio un sorso e vengo letteralmente rapito dalla sua freschezza, dal vigore di un tannino praticamente ricamato a mano. La bevibilità di questo vino è un qualcosa che faccio davvero fatica a descrivere a parole. E ben inteso non sto parlando di quei “nebbiolini” scarichi e soltanto acidi, ma di un grande vino che fa dell’austerità olfattiva la sua arma vincente e della profondità gustativa il suo asso nella manica. Chapeau bas!
L’unica etichetta di Barolo Riserva dell’intera batteria, la prima prodotta da Vietti, corrisponde all’annata 2015. Indubbiamente calda pur tuttavia lontana anni luce dai millesimi ben più “roventi” quali ad esempio il 2003 o il 2017. Eugenio Palumbo descrive così questo vino – è il risultato di una “selezione nella selezione”. Mentre lavoravamo alla definizione del blend del Barolo Castiglione, siamo rimasti colpiti da alcuni di questi vini elaborati a partire da specifiche parcelle dei singoli cru –. Indubbiamente il frutto in questa fase ammicca a toni di confettura, la spezia dolce e suadente rivela alcuni tratti dell’annata e un ricordo di sottobosco, e pellame, rendono l’insieme ancor più complesso, “scuro” se vogliamo. In bocca la morbidezza è piuttosto accentuata e il tannino fatica ad imporsi, così come la freschezza che non latita ma tende un po’ a sedersi. Un vino godibile soprattutto a tavola a mio avviso.
A distanza di dieci anni dalla vendemmia questo Barolo spicca per intensità di profumi e soprattutto varietà di suggestioni. Ritrovo nell’ordine: pellame e cuoio, tabacco, amarena matura. Trascorsa quasi un’ora dalla mescita squaderna ricordi di alloro, timo, oli essenziale e genziana; in chiusura funghi secchi e tartufo estivo. Ne assaggio un sorso e ritrovo un equilibrio straordinario tra componenti sapide ed acide. Una sinfonia ammaliante che non tralascia il suo peso, la sua indomabile corsa verso un arrivo che tarda a palesarsi. Grande vino.
Chiudiamo in bellezza grazie ad un Barolo che ha raggiunto proprio quest’anno la maggior età. E non un Barolo qualsiasi, sia ben inteso, sto parlando di un vino prodotto con uve nebbiolo allevate a La Morra all’interno della nota Mga Brunate. Il respiro questa volta fatica ad ingentilirsi nonostante l’ossigenazione. E’ il suo stampo e ha tutto il diritto di vantare un assetto tanto complesso. Ritrovo suggestioni di cuoio, humus e fughi secchi, amarena sotto spirito e caffè. Lascio che l’ossigeno continui a modellare la sua impronta ma niente, la parte floreale acre prende il sopravvento unita a ricordi di rosolio e catrame. In bocca al contrario gode di una “luce” particolare. L’elemento che più di tutti cattura la mia attenzione è l’assenza di eccessivo estratto nonostante l’annata calda. Il finale di bocca è appannaggio del frutto maturo e il finale di liquirizia e pepe nero invoglia la beva. Un Barolo che ricorderò a lungo e che conclude questa importante degustazione che ho avuto il piacere di vivere in prima persona.
Le foto sono di Danila Atzeni