Vinitaly 2008: il mondo del vino sotto tiro

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VERONA – Un uno-due che avrebbe messo al tappeto anche un campione del mondo dei pesi massimi. Questo si è trovato ad affrontare il mondo del vino italiano in occasione della sua più importante riunione, Vinitaly, che ogni anno viene attesa e preparata, e nella quale produttori grandi e piccoli investono risorse ed energie considerevoli.

Nei giorni precedenti monta l’affaire Brunello di Montalcino: vigne di cabernet sauvignon, merlot, syrah, petit verdot vengono trovate dove ci dovrebbe stare solo il sangiovese dedicato al Brunello. Aziende indagate, una ventina: i primi nomi che escono sono illustri: Antinori (ossia Pian delle Vigne), Frescobaldi (ossia Castelgiocondo), Argiano; ad essi si aggiungerà il nome di Castello Banfi, sul quale sarebbe poi trapelato il maggior numero di dettagli sui sequestri di vigne e bottiglie, e poi quello di Col d’Orcia, significativo perché ad essere raggiunto dall’avviso di garanzia è stato lo stesso presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Francesco Marone Cinzano.

Ma giovedì, giornata d’esordio della fiera, sembrava tutto normale. In una partenza “forte” in termini di affluenza che premiava come al solito la Toscana nessuno, fra i produttori, sollevava l’argomento se non sotto esplicita e magari imbarazzata richiesta. Usciti dalla regione invece fioccavano i commenti spontanei, talvolta solidali, talvolta ironici.

Ma nessuno poteva immaginare che di lì a poco sarebbe arrivata la seconda botta: mentre una delle punte di diamante del made in Italy agroalimentare che sembrava intoccabile vacillava, arrivavano le prime anticipazioni di una inchiesta de L’espresso su un possibile secondo scandalo del vino al metanolo: “sostanze cancerogene, acqua, zucchero e solo un quinto di mosto. Così sono stati prodotti 70 milioni di litri di vino rosso. Venduti in tutta Italia”. E dunque, mentre frotte di “buyers” da tutto il mondo raggiungevano Verona, le edicole nella zona della fiera cominciavano ad esporre le locandine del settimanale con un lapidario “Velenitaly” e tutto ha iniziato a sovrapporsi e a mescolarsi. Questa micidiale confusione fra procedure deleterie per la salute (peraltro poi successivamente smentite, visto che gli acidi sono stati eliminati dal “cocktail” lasciando dei banalissimi acqua e zucchero) e violazioni di regole che salvaguardano le tradizioni e l’identità e di un territorio, faceva ulteriormente imbestialire il mondo del vino che a quel punto non ha avuto più dubbi, e si è sentito oggetto di un cecchinaggio studiato a tavolino nelle uscite giornalistiche, peraltro da parte di un gruppo editoriale attento al comparto enogastronomico che segue da vicino editando guide di settore.

Ma mentre l’affare sofisticazione era in mano a lontane procure, la questione Brunello trovava molta “materia prima” in fiera per cercare di capirne di più e i produttori rimanevano osservati speciali, fra voci di finanzieri in borghese in agguato e il sospetto che sia stato proprio uno di loro che, invece di rivolgersi al collegio dei probiviri del Consorzio, sia andato direttamente dall’autorità giudiziaria. In una atmosfera che sembrava normale (affluenza alta, la solita piccola folla in attesa di essere accolta davanti agli imponenti stand di Castello Banfi e Frescobaldi) paradossalmente la bufera che ormai coinvolgeva tutto il sistema vino aveva ridato coraggio e orgoglio, favorendo vibranti reazioni contro i metodi di “certa stampa e certa magistratura”. Fino alla riunione di ieri mattina (la prima di una serie), dove i produttori hanno potuto ascoltare le parole del presidente del Consorzio Cinzano Marone: l’inchiesta vada avanti, sperando che in tempi brevi possa chiarire una situazione e sanare eventuali irregolarità che nessuno nega a priori. E dove è stata indirettamente confermata la tesi di una denuncia “interna” come causa dell’inchiesta.

La speranza è che, dopo che tutto il polverone si sarà diradato, si potranno focalizzare una volta per tutte i problemi del Brunello autentico e non, problemi che finalmente sono stati tirati fuori con chiarezza (purtroppo ci è voluta la magistratura) e che sarà difficile insabbiare di nuovo facendo finta che nulla sia successo. E che le comunità dei produttori, dei giornalisti, dei degustatori si uniscano per salvaguardare la tipicità e l’identità, parlando finalmente con chiarezza e segnalando all’attenzione generale, ognuno con i suoi strumenti, chi preferisce le scorciatoie alla via maestra violando regole liberamente scelte.

Nella terza immagine: lo stand di Castello Banfi a Vinitaly

Riccardo Farchioni

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