L’osso nella paella, ovvero sulle disavventure delle serate organizzate

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Vi voglio raccontare la storia di un sole torrido, una paella e una località balneare. Questa è Alicante, in Spagna a sud di Valencia, più conosciuta per la sua vita notturna che per la bellezza discreta del suo piccolo centro storico annegato dai casermoni asserragliati sul lungomare. La città di giorno sonnacchiosa per il caldo, di notte si trasforma in un grande salotto: ombrelloni, tavoli, gente che va e che viene, musica, risate, bevande e buon cibo.

A proposito di buon cibo, prima di procedere con la storia, devo proprio fare una digressione per consigliare a chiunque si trovasse ad Alicante di fermarsi da Tio Faustino (Virgen del Socorro, 79). Un piccolo ristorante e tapas bar che ha un menù del giorno sempre fresco e a soli 12 euro a persona! Tre portate, tra le quali spicca carne alla brace o pesce. Chiusa parentesi, continuiamo. Sono ad Alicante per due scopi ben precisi: partecipare ai MediGames (Giochi Mondiali della Medicina) come accompagnatore sportivo, e osservare da vicino le proposte gastronomiche della manifestazione. E’ stata infatti prevista una serata dedicata al piatto più famoso della cucina spagnola, la paella.

Dopo la gara di scherma in un palazzetto bollente e il pomeriggio a zonzo per Alicante, arrivo alla serata paella piena di speranze. Credevo di trovare qualcosa di sopraffino per il palato o almeno una paella degna di questo nome. Il luogo scelto per la serata aveva un certo fascino: un molo arroventato dal sole spagnolo, senza ombra e col mare calmo e tiepido a fare da sfondo. Sudando faccio un giro intorno alla zona transennata per vedere cosa sta bollendo in “padella”. La zona deputata per la cena mi ha ricordato una triste sagra di paese, sedie e tavoli di plastica senza nemmeno una tovaglietta. Miseri piattini di stuzzichini talmente minuti da non essere a loro agio sul tavolo. Olive sott’olio, patatine e arachidi del supermercato (ho visto la confezione!) e poi un vassoietto di salatini a base di pastafrolla ripiena, che non erano male ma decisamente pochi rispetto al numero di sedie e alla lunghezza dei tavoli!

La speranza è l’ultima a morire e tento di non farmi prendere dallo sconforto per una cosetta del genere. Il padellone usato per la paella è veramente grande e vedere il cuoco che mescola riso, carne e verdure avvolto in una nuvola densa di vapore mi fa supporre di essere davanti ad un manicaretto. Nell’attesa, prima che la paella sia pronta, rigorosamente alle 10 di sera quando ormai ho fame da almeno due ore, vado al bancone del bar per prendere una delle tre bevute di cui posso usufruire gratuitamente (e non tre acqua, o tre birra o acqua e birra, no, si ha diritto ad una bevanda alcolica, una analcolica e acqua, perciò il rischio è iniziare la cena con la birra continuare con l’acqua e finire con una coca cola!). A questo punto inizio ad avere dei forti dubbi sull’organizzazione…ma finalmente l’odore della paella raggiunge il mio naso e il mio stomaco gorgoglia di gioia all’idea di riempirsi. Mi sarei aspettata che ci servissero al tavolo vista la presenza di camerieri, ma invece abbiamo dovuto metterci in fila e attendere pazientemente il nostro turno per accaparrarci un triste piatto di plastica con forchetta infilzata nel riso e tornare al tavolo facendo attenzione a non ustionarci una mano e a non far piegare a mo’ di panzerotto il piatto…

Seduta al tavolo vicino ad una coppia di tedeschi e ad un gruppo di spagnoli, prendo la prima forchettata di paella che ha qualcosa di strano ma non so cosa. Alla quarta forchettata, però, mi rendo conto che la paella è a base di riso, verdure poche, ossa e pelle di pollo. Inizio a guardarmi intorno per vedere la reazione degli altri commensali e noto che i miei vicini tedeschi stanno mangiando la loro porzione “con i denti davanti” come si fa con il pesce pieno di lische, prendono una forchettata di paella e poi lentamente per non farsi saltare otturazioni e denti sputano le ossa tentando di non farsi notare troppo. Ad un certo punto, più o meno a metà porzione desistono, si alzano e se ne vanno non certo con l’aria contenta e soddisfatta di chi ha appena gustato un manicaretto.

Dopo questa disavventura ho dovuto poi trovare un posticino in cui mangiare qualcosa che almeno somigliasse alla paella, e l’ho trovato in una via di Alicante proprio dietro il lungo mare: Da Gilda, un misto tra tavola calda, take-away, e tapas bar. Dove ho mangiato una buona “paella de la huerta” (paella vegetariana) e mi sono ripresa un po’ dallo shock!

Lola Teale

3 COMMENTS

  1. Non è stato piacevole ma mi ha permesso di scriverci un articolo! Perciò non tutti i mali vengono per nuocere…

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