Tra le piazze italiane più sensibili alla tradizione dei “cibi o mangiari di strada” – oggi più noti come “street food”, secondo gli ormai onnipresenti inglesismi che farciscono il nostro lessico – Padova è probabilmente una delle meno conosciute, nonostante il suo centro storico, tra Piazza della Frutta e via Dante, pulluli di indirizzi assai raccomandabili. Il più celebre è probabilmente la rinomata Folperia conficcata nel “Canton de le Busie”, a due passi da Piazza delle Erbe, un chiosco aperto nel tardo pomeriggio che serve i “folpi” caldi, ovvero i moscardini della laguna, insieme ai “bovoetti”, le lumache di terra, i “peoci”, le cozze, le “moeche” (i granchietti teneri del periodo della muta) e le rare “masanete”, le femmine dei granchi con guscio, talvolta piene di uova, le “masanete col coràl”.
La più recente è invece Sì– Streetalian Food di via Dante Alighieri 42. Se il nome potrebbe apparire non particolarmente ispirato, originale o suggestivo in relazione al tema che lo governa, la proposta è per contro un susseguirsi di piatti invitantiche abbracciano le principali tradizioni del cibo di strada italiano riviste alla luce di un taglio più contemporaneo nello stile (la presentazione non è più elementare ma studiata con una mise en place molto curata), nella sostanza (uso di materie prime derivanti da agricoltura e allevamenti biologici certificati) e nelle cotture (che hanno ormai incorporato le tecniche moderne).
La memoria del cibo povero – la sua spontaneità, la sua veracità – sono presenti al banco con il formato più conosciuto del “cicchetto” e siedono invece al tavolo nella veste di un’interpretazione moderna all’insegna del gusto e della raffinatezza (il cuoco è Nicola Cogo): ecco allora moscardini al sugo (appunto) e sarde in saor, il baccalà mantecato (in versione spumosa o su polenta croccante di mais), la polpetta di carne, il “patérocher” (sfere di paté di fegatini ricoperti di granella di pistacchi con albicocche secche e riduzione di passito), lo gnocco fritto e la piadina, testimoni dell’Emilia e della Romagna (accomunati dal crudo di Parma 30 mesi sono poi completate in modi differenti: accompagnate da culatello di Zibello, speck Dagostin, soppressa, lonza e pancetta Bazza il primo, farcite con mozzarella di bufala, fichi e basilico la seconda), la tartare di Fassona (con tartufo), la porchetta (con maionese tonnata e zucchine alla scapece), i carciofi alla romana (con essenza di menta), la mozzarella in carrozza, la pizza fritta (con pomodoro del Piennolo, caciocavallo podolico e pepe Sarawak), i culurgiones (interpretati con ricotta, profumi di agrumi e zafferano), la crema fritta in tavolozza di colori…
La cantina, curata da Livio Cavaletto, è all’altezza della situazione e offre etichette non scontate: assaggiare per credere lo Champagne Nature Dosage Zéro Grand Cru della maison Encry Vue Blanche Estelle o l’Alto Adige Sauvignon Blanc Edler di Gilfenstein. Padrone di casa, regista e anima di questo locale polivalente (laboratorio, bottega, osteria, ristorante), dentro cui transitare o sostare lungo l’arco di tutta la giornata per uno stuzzichino, un aperitivo, un pranzo di lavoro o una cena, è il quarantatreenne Alessandro Mazzone, trevigiano di nascita, personalità eclettica (sommelier, cuoco, maître), un pedigree tra Malga Larieto a Cortina d’Ampezzo, Palazzo Grassi a Venezia, Calandrino Alajmo a Sarmeola, più una parentesi in California e alcune esperienze tra Milano e Padova (con il locale Gourmetteria). Amante delle cose belle e buone, ha trovato, con l’aiuto dei fratelli Gianni e Carlo Celentano di Jolly Pubblicità, il proprio naturale approdo in un locale-bomboniera accogliente ed elegante dentro cui coccolare il commensale.
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