Quelli di Bordeaux sono vini con un forte legame col territorio di produzione. In particolare, nel caso di Château Palmer siamo nella regione chiamata Mèdoc, un centinaio di km a nord della città, tra l’Oceano Atlantico e il fiume Garonna. Una zona dove i poveri terreni ciottolosi/sassosi, accumulatisi nel corso dei millenni, riescono a drenare perfettamente le abbondanti piogge e fanno crescere le viti in una condizione di stress-positivo, portandole a produrre frutti di grandissima qualità.
Château Palmer è senz’altro uno dei nomi più noti della appellatìon Margaux, venerata da appassionati e cultori di tutto il mondo. Un’azienda che, come tutte le grandi bordolesi, ha un’affascinante e lunga storia che abbraccia gli ultimi quattro secoli (gli interessati possono trovare tutto nel sito www.chateau-palmer.com).
Nei suoi 55 ettari trovano spazio le tre classiche varietà bordolesi: cabernet sauvignon, merlot e petit verdot. Il cabernet sauvignon, si sa, è considerato il vitigno principe da quelle parti, anche se a Château Palmer hanno una predilezione anche per il merlot, che, piantato in zone collinari più fresche e meglio esposte, riesce ad esprimersi al meglio e a donare ai loro vini carattere e personalità.
Ed è proprio questo mix di cabernet sauvignon e merlot in ugual percentuale, con l’aggiunta di un 5-6% di petit verdot, che contraddistingue i vini di Château Palmer, donando loro quella complessità, finezza ed eleganza, che sono i tratti distintivi di tutte le grandi etichette di Margaux. Vini affascinanti, spesso seducenti anche nella loro austerità, che hanno sempre un’eccezionale capacità di tenuta nel tempo, come testimoniano gli appunti di degustazione a cui vi lascio.
Château Palmer 2005
Duroux lo ha presentato come esempio di cosa può essere un Palmer in una grandissima annata. Ha una ricchezza e una potenza impressionante già al naso. Ribes, prugna, frutti neri in generale, poi note speziate, di spezie orientali, incenso, chiodo di garofano, infine liquirizia, vaniglia e tizzone bruciacchiato. In bocca conquista il palato con la sua eccezionale estrazione di frutto, e non lo molla più. Spinta acida e tannino finissimo. Ha un’intensità spaventosa che però in questa fase è ancora lontana da una piena espressione. Un “blocchetto di cemento”, per usare la definizione di Antonio Paolini. Sarà grandissimo!
Château Palmer 2001
Un’annata in tono minore che ci consegna però un vino godibilissimo e pronto da portare in tavola. I profumi sono più erbacei (nel senso nobile del termine) che fruttati. Certo che assaggiato dopo l’imponente 2005 in bocca sembra sparire. In realtà ha un buon equilibrio ed è molto fresco, con la solita tensione acida a guidare tutta la bevuta.
Château Palmer 2000
Se il 2005 era un “mostro”, questo 2000 è invece un Palmer che Duroux ha definito “ultraclassico”. Ci mette un po’ ad uscire dal bicchiere, ma poi è fantastico! Fiori secchi, mora, radice di liquerizia lasciano il posto a note speziate, che si intervallano a sbuffate di tabacco, caffè e cioccolato. Corpo ricco, acidità che spinge senza sosta, dinamica gustativa, fragranza fruttata molto lunga e tannini di un’integrazione e finezza esemplare. Finale pulitissimo, mix di spezie e frutto. Considerato, a ragione, uno dei migliori Palmer dell’ultimo decennio.
Château Palmer 1996
Una versione di Palmer più austera. Il naso, oltre ai soliti frutti neri, vira verso un registro di fiori macerati e sottobosco. Le note terziare sono qui più evidenti. Comunque una fievole nota di agrumi canditi lo arricchisce di un lampo di freschezza. Il tannino in bocca è ancora vivissimo, e il vino non mostra i minimi segni di cedimento. L’acidità sostiene e caratterizza l’assaggio nel suo complesso. Finale netto e lungo, dove il tannino è meno elegante e più polveroso rispetto ai mirabili assaggi precedenti.
Château Palmer 1990
Un Palmer d’altri tempi, prodotto in un’epoca in cui le rese erano assai maggiori di quelle attuali. All’inizio un po’di riduzione penalizza il profilo olfattivo, ma poi si apre alla grande e tira fuori una bella complessità aromatica con liquerizia, carruba, sottobosco, fiori macerati e una nota erbacea ancora fresca nonostante i vent’anni. In bocca ha un calore alcolico maggiore rispetto agli altri vini, che, complice la splendida evoluzione, contribuisce a renderlo un pizzico più arrotondato, meno “puntuto”. Impressionante il vigore e la sapidità con cui conquista ancora il palato. Lunghezza infinita.